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L'agenda per resistere al post-voto

Ecco perché Conte medita la proroga dello stato d'emergenza e un Semplificazioni Bis

Valerio Valentini

Nei piani di Palazzo Chigi c'è il prolungamento della stagione dei dpcm fino al 31 dicembre, e un nuovo "sblocca cantieri" per accompagnare il Recovery plan. Il modello Expo per convincere Bruxelles e gli scontri col ministro Costa

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C’è chi ci vedrà la tentazione dell’arrocco, l’asserragliarsi dentro a Palazzo Chigi, coi sacchi di sabbia alle finestre, in questa vigilia incerta e tribolata di elezioni; e c’è chi, per converso, apprezzerà il tentativo di esorcizzare la paura del precipitare degli eventi rilanciando sull’agenda di governo. E insomma l’emergenza politica, quella che s’ingarbuglia nel chiacchiericcio sul rimpasto e i suoi vari derivati, su un Pd spinto verso il congresso da un eventuale tracollo elettorale, da un M5s sempre più ostaggio delle sue paranoie autoreferenziali (ieri altri tre deputati si sono autosospesi per protesta contro Davide Casaleggio), nella mente di Giuseppe Conte trascolorerà in altre emergenze, ben più concrete, la cui gestione giustificherebbe, e anzi esigerebbe, la rinnovata compattezza del suo esecutivo.

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C’è chi ci vedrà la tentazione dell’arrocco, l’asserragliarsi dentro a Palazzo Chigi, coi sacchi di sabbia alle finestre, in questa vigilia incerta e tribolata di elezioni; e c’è chi, per converso, apprezzerà il tentativo di esorcizzare la paura del precipitare degli eventi rilanciando sull’agenda di governo. E insomma l’emergenza politica, quella che s’ingarbuglia nel chiacchiericcio sul rimpasto e i suoi vari derivati, su un Pd spinto verso il congresso da un eventuale tracollo elettorale, da un M5s sempre più ostaggio delle sue paranoie autoreferenziali (ieri altri tre deputati si sono autosospesi per protesta contro Davide Casaleggio), nella mente di Giuseppe Conte trascolorerà in altre emergenze, ben più concrete, la cui gestione giustificherebbe, e anzi esigerebbe, la rinnovata compattezza del suo esecutivo.

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La prima è quella sanitaria, ovviamente. Ed è proprio ribadendo la costante incombenza del virus e delle rogne che si porta dietro, che il premier ha sondato nei giorni scorsi il ministro della Salute Roberto Speranza e i capi delegazione di maggioranza, a tutti spiegando – col suo eloquio cauto e compassato – che “sarebbe ragionevole” prorogare lo stato d’emergenza che scadrà il 15 ottobre, estendendolo fino alla fine del 2020, e da tutti ricevendo un sostanziale cenno di conferma. La decisione ovviamente andrà ponderata, condivisa con tutti i membri del Cdm e poi portata in Parlamento, com’è già avvenuto a fine luglio. Quando il termine di metà ottobre venne fissato alla fine di una lunga contrattazione, corredata da polemiche e tatticismi da ogni parte, dopo che il premier aveva prospettato inizialmente una proroga più lunga, per tutto il secondo semestre. 

Ed è in fondo lì, che si torna: a quella scadenza naturale del 31 dicembre che permetterà al governo non tanto, come pure s’affretteranno a dire Meloni e Salvini, di esercitare i pieni poteri, quanto piuttosto di gestire in modo ordinato l’auspicata uscita dalla pandemia. Perché il rischio del riacutizzarsi dei contagi connesso alla riapertura delle scuole, la probabilità non scarsa di dover procedere a chiusure localizzate, “zone rosse” da disporre in modo chirurgico, renderanno inevitabile il ricorso a nuovi dpcm (sempre con previa comunicazione alle Camere), anche per evitare di ingolfare il Parlamento con decreti d’urgenza proprio mentre deputati e senatori saranno chiamati a discutere della legge di Bilancio e del Recovery plan, di cui ieri sono state diffuse le linee guida.

E qui si viene allora all’altra emergenza, quella economica, che Conte vuole dar mostra di sapere, e dovere, amministrare. Ed è per questo che, con una tattica del raddoppio analoga a quella già adottata a metà maggio – quando promosse un decreto “Semplificazioni” mentre ancora il Cdm era concentrato sul varo del decreto “Rilancio” – anche stavolta Conte ha deciso di accelerare nel momento in cui sembrava che la marcia dell’esecutivo stesse rallentando: e così ha già dato mandato ai suoi tecnici di mettere mano a un “Semplificazioni bis”. Un nuovo piano choc che risponda all’imperativo che tanto assilla ogni premier che varca la soglia di Palazzo Chigi, quello cioè di sbloccare cantieri e falciare la burocrazia, e che però stavolta diventa quanto mai categorico: perché se i progetti su cui Bruxelles ci concederà prestiti e sussidi dovessero finire incagliati nelle inconcludenze delle trafile legislative dei ministeri, il contraccolpo sull’immagine del governo, oltreché sull’economia italiana, sarebbe esiziale. Ed è per questo che Conte, dopo una riunione di quattro ore del Ciae in cui ha visto i suoi ministri accapigliarsi per strappare un titolo in più nell’elenco delle opere da varare, s’è convinto che servirà probabilmente recuperare quel “modello Expo” adottato a suo tempo da Matteo Renzi con Beppe Sala, e prevedere il ricorso – ancora da definire, nei dettagli – a figure commissariali che intervengano in caso di ritardo, con strutture ad hoc e un regime amministrativo snellito, per evitare l’impantanarsi dei cantieri. 

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Sarà questa una delle novità principali del provvedimento, pensato come un decreto legge da sottoporre all’esame delle Camere nel mese di ottobre, e studiato appositamente per tentare di aggirare quella matassa di complicazioni e prescrizioni tanto care alle varie soprintendenze di turno, un groviglio burocratico contro cui Conte sperava del resto d’intervenire con più incisività già nel decreto “Semplificazioni”, prima di scontrarsi – non senza escandescenze – col ministro Sergio Costa, fino al punto di arrivare alla scena surreale di pezzi di provvedimento – in particolare l’articolo 10, quello sulla rigenerazione urbana – scritti appositamente dagli uffici di Palazzo Chigi e smontati nelle commissioni del Senato da un gioco di sponda tra i grillini più intransigenti (come Vilma Moronese), la capogruppo di Leu Loredana De Petris e lo stesso ministero dell’Ambiente, col sollazzo delle opposizioni per questi cortocircuiti tutti interni alla maggioranza. E dunque bisogna riprovarci, ora: e farlo con solerzia. E qualcuno dirà che non è nuovo, questo zelo di sbloccare e di accelerare quel che in Italia pare refrattario alla velocità: ma forse, per persuadere alla benevolenza la Commissione europea, anche le attestazioni di buone volontà contano. Dell’emergenza, d’altronde, non si butta via niente. 

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