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scuole riaperte

Il ritorno della delega e la fine dell’uno vale uno

Claudio Cerasa

Perché la scena più bella del ritorno in aula è vedere i genitori finalmente fuori dalla scuola

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C’è un’immagine bellissima che fotografa meglio di qualunque editoriale un dettaglio importante dell’Italia che lentamente riporta i suoi figli a scuola. Quel dettaglio non ha a che fare con quello che è successo ieri mattina all’interno delle scuole – i nostri insegnanti sono infinitamente migliori dei sindacati che li rappresentano – ma ha a che fare più specificamente con quello che è successo all’esterno delle scuole, dove i genitori sono stati costretti a compiere un gesto a suo modo rivoluzionario: restare, finalmente, fuori dalla scuola.

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C’è un’immagine bellissima che fotografa meglio di qualunque editoriale un dettaglio importante dell’Italia che lentamente riporta i suoi figli a scuola. Quel dettaglio non ha a che fare con quello che è successo ieri mattina all’interno delle scuole – i nostri insegnanti sono infinitamente migliori dei sindacati che li rappresentano – ma ha a che fare più specificamente con quello che è successo all’esterno delle scuole, dove i genitori sono stati costretti a compiere un gesto a suo modo rivoluzionario: restare, finalmente, fuori dalla scuola.

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Nel caso specifico, restare fuori dalla scuola non è solo un tema legato alle misure di sicurezza adottate per garantire il distanziamento sociale e per evitare inutili assembramenti ma è qualcosa di molto più profondo, che inquadra una nuova condizione a cui dovranno finalmente abituarsi i genitori italiani: fidarsi dei presidi, fidarsi degli insegnanti, fidarsi delle scuole, fidarsi della didattica e mettere finalmente da parte l’idea che ciò che si decide in una chat di genitori sia più importante di ciò che si decide in un collegio dei docenti. Il grande virus culturale con cui la scuola ha drammaticamente dovuto fare i conti negli ultimi anni è un virus che ha contribuito a diffondere un’idea distorta della rappresentanza e della competenza. E spinti dall’idea tossica che un genitore valga quanto un insegnante e che un argomento deciso su una chat valga più di un indirizzo scelto dai docenti, poco prima della stagione pandemica non era raro imbattersi in scene di madri e di padri convinti che i maestri e le maestre d’Italia dovessero essere qualcosa di simile ai portavoce dei genitori. Si fa quello che si decide a casa, non quello che si decide a scuola, e sulla base di questo principio, uno vale uno, non era raro imbattersi in qualche caso di genitori decisi a prendere a schiaffi un insegnante, di genitori decisi a inviare a scuola pec di diffida con la stessa disinvoltura con cui si inoltra un meme su Whatsapp, di genitori decisi a richiedere ai presidi la rimozione di un qualche insegnante sulla base di un semplice gnè gnè di un proprio figlio. Gli insegnanti, secondo questa logica, altro non erano che, come prescriverebbe Davigo, tutti incompetenti non ancora scoperti e da questo punto di vista il ritorno a scuola, costringendo i genitori a fare un passo indietro dalle loro vecchie abitudini, costituisce un’occasione preziosa, per le mamme e per i papà, per tornare a innamorarsi di una parola che, giusto in queste settimane, sta ritrovando una sua seconda giovinezza e forse una sua nuova dignità: la delega.

 

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Fidarsi vuol dire anche affidarsi. Affidarsi vuol dire anche farsi rappresentare. Farsi rappresentare vuol dire accettare il fatto che una volta che si sceglie la persona che deve rappresentarci bisogna anche avere la forza di dare fiducia a quella persona. Vale quando si parla di una scuola, naturalmente, e ci auguriamo che il governo utilizzi lo stato d’emergenza per abolire con decreto ogni gruppo su Whatsapp formato da più di due genitori, distanziamento sociale please e ci auguriamo anche che ai rappresentanti di classe alla fine dell’anno venga data una medaglia al valore civile. Ma vale anche quando si parla di politica, e quando si parla di Parlamento, e per quanto ci si possa appassionare alle ragioni del Sì e del No alla riforma costituzionale (diffidare di chi vuole trasformare i referendum sulla Costituzione in referendum sui partiti) c’è un dato interessante che merita di essere notato e che ha a che fare con un tratto che in fondo è presente in entrambi gli schieramenti referendari. E anche qui il punto è sempre lo stesso: lavorare per avere una delega migliore.

 

Il fronte del Sì (tranne qualche esagitato grillino) sostiene che avere un Parlamento meno dispersivo sia un modo utile per avere un Parlamento più efficiente e dunque più rappresentativo. Il fronte del No (tranne qualche furbetto che vuole usare il referendum solo per regolare conti interni alla politica) sostiene che avere un Parlamento più piccolo sia invece un rischio per la rappresentatività. E anche qui, se ci permettete, è un bel progresso. Due anni fa, la politica discuteva di come superare la democrazia rappresentativa rendendo ogni parlamentare eletto legato a un vincolo di mandato. Oggi la politica discute, da una parte e dall’altra, come rafforzare la democrazia rappresentativa rendendo il Parlamento più efficiente. E sia che si parli di scuola sia che si parli di politica, la rivoluzione che in molti non vogliono vedere è lì, è imponente ed è anche importante: il formidabile ritorno della delega e la fine inesorabile di una boiata chiamata uno vale uno.

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