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Sorpresa: il populismo è diventato infetto

Claudio Cerasa

Elezioni e riforme. Lo show dei politici in lotta contro il populismo degli altri

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Populista a chi? Se si sceglie di osservare senza schemi ideologici gli ultimi scampoli di questa doppia campagna elettorale (regionali e referendum) e se si accetta di paragonare poi questa campagna con quella più famosa che precedette la nascita di questo Parlamento (4 marzo 2018) non si potrà non notare un fatto interessante, e divertente, che costituisce forse la vera novità della fase politica che sta vivendo oggi l’Italia: la progressiva trasformazione del populismo nel principale nemico pubblico del nostro paese. C’è stata una stagione in cui i politici italiani rivendicavano con orgoglio la propria appartenenza alla cultura populista e basta scorrere la timeline di questa legislatura per ritrovarsi di fronte a diversi casi di esponenti politici impegnati a combattere più l’antipopulismo che il populismo. Giuseppe Conte fino a un anno e mezzo fa rivendicava spesso “la natura populista di questo governo”. Lo stesso faceva Salvini (“Populista a me? Un complimento”). Lo stesso faceva Meloni (“Meglio populista che servi”). Lo stesso faceva Di Maio (“Il M5s è populista, né di destra né di sinistra”). Il dato curioso di questa doppia campagna è che non c’è un solo leader che non si senta in dovere di comunicare con solennità ai propri elettori di essere lui, e non un altro, il vero unico e originale argine contro la deriva populista degli avversari.

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Populista a chi? Se si sceglie di osservare senza schemi ideologici gli ultimi scampoli di questa doppia campagna elettorale (regionali e referendum) e se si accetta di paragonare poi questa campagna con quella più famosa che precedette la nascita di questo Parlamento (4 marzo 2018) non si potrà non notare un fatto interessante, e divertente, che costituisce forse la vera novità della fase politica che sta vivendo oggi l’Italia: la progressiva trasformazione del populismo nel principale nemico pubblico del nostro paese. C’è stata una stagione in cui i politici italiani rivendicavano con orgoglio la propria appartenenza alla cultura populista e basta scorrere la timeline di questa legislatura per ritrovarsi di fronte a diversi casi di esponenti politici impegnati a combattere più l’antipopulismo che il populismo. Giuseppe Conte fino a un anno e mezzo fa rivendicava spesso “la natura populista di questo governo”. Lo stesso faceva Salvini (“Populista a me? Un complimento”). Lo stesso faceva Meloni (“Meglio populista che servi”). Lo stesso faceva Di Maio (“Il M5s è populista, né di destra né di sinistra”). Il dato curioso di questa doppia campagna è che non c’è un solo leader che non si senta in dovere di comunicare con solennità ai propri elettori di essere lui, e non un altro, il vero unico e originale argine contro la deriva populista degli avversari.

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E’ così per il Pd, che alle regionali invita a votare per i propri candidati per scongiurare “l’avanzata del populismo” e che al referendum invita a votare Sì assicurando (sono parole di Nicola Zingaretti) che “la vittoria del Sì non aprirà una stagione di vento populista”. E’ così per i sostenitori del No al referendum, che invitano a bocciare la riforma “per dare una lezione ai populisti”. E’ così per Italia viva, che alle regionali invita a votare le proprie liste anche per arginare “la deriva populista del Pd”. Ma è così anche per i vecchi teorici del populismo, che si stanno facendo in quattro per passare un po’ di cipria sopra il proprio tratto populista. E’ così per il M5s, che pur argomentando con ragioni populiste il Sì al referendum (tagliamo i costi della politica!) ricorda che dire di No al referendum è un modo per aiutare gli altri populisti (la Lega). E’ così per Fratelli d’Italia, che alle regionali invita a votare i propri candidati per mandare a casa “un governo populista”. Ed è così anche per la Lega di Salvini, che ha smesso di suonare citofoni in campagna elettorale e che pur avendo votato per quattro volte di fila, in Parlamento, il Sì al taglio dei parlamentari oggi tenta di far capire ai propri elettori che votare Sì è un aiuto al populismo di governo (e ieri è arrivato il No al referendum di Giancarlo Giorgetti, che mai si muove senza aver consultato il leader). La fuga dal populismo non è sempre impeccabile e i populisti spesso fanno fatica a mantenere il trucco sul loro viso (no Mes!). Ma a due anni di distanza dalle elezioni che “dovevano cambiare la storia dell’Italia” si può dire che questa legislatura la storia la sta cambiando in un modo diverso: trasformando l’antipopulismo in un nuovo, spassoso e sorprendente mainstream politico. Niente male, no?

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