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Il Terzo Valico di Toti

David Allegranti

Pd e M5s si giocano la faccia in Liguria, l’unica regione dove va in scena la santa alleanza. Il centrodestra sovranista, con Toti che sorride, dirà chi è più forte fra Salvini e Meloni

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La Liguria è tutto un monito vivente a costruire e ricostruire, a potenziare e raddoppiare. Qui, che pure è la patria di Beppe Grillo, la decrescita infelice non può attecchire ancora (già nel 2018 i Cinque stelle presero i 30 per cento alle Politiche e tanto è bastato), in una Regione che ha da sempre bisogno di strade e ferrovie, quindi ferro e cemento. Ha anche avuto purtroppo bisogno di un nuovo ponte, crollato due anni fa in una tragica estate e velocemente ricostruito.

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La Liguria è tutto un monito vivente a costruire e ricostruire, a potenziare e raddoppiare. Qui, che pure è la patria di Beppe Grillo, la decrescita infelice non può attecchire ancora (già nel 2018 i Cinque stelle presero i 30 per cento alle Politiche e tanto è bastato), in una Regione che ha da sempre bisogno di strade e ferrovie, quindi ferro e cemento. Ha anche avuto purtroppo bisogno di un nuovo ponte, crollato due anni fa in una tragica estate e velocemente ricostruito.

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Forse è per questo che alla fine il centrodestra che attualmente governa la Regione troverà il bis dopo quello del 2015 in cui un candidato allora improbabile – Giovanni Toti nemmeno ci credeva – vinse le elezioni grazie anche a una forte spinta della Lega. “Chilometri quadrati alla mano, questa lingua di terra è la regione più montuosa d’Italia e quella che è bagnata di più dal mare”, dice al Foglio l’ex ministro Claudio Scajola, oggi sindaco di Imperia: “Questo ha come naturale conclusione la necessità di un piano infrastrutturale straordinario e di un piano straordinario per il dissesto idrogeologico, essendo questa una regione a rischio continuo come è stato evidente negli ultimi anni. Ci auguriamo quindi che l’Europa e il governo italiano finanzino queste opere in modo che la Liguria possa beneficiarne”.

 

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Proprio per questo, sottolinea Scajola, i partiti del No come modo di agire e di vivere politico non possono arrivare al governo della Regione. Gli oppositori del “partito del cemento”, dal titolo del libro del giornalista Ferruccio Sansa, candidato di Pd e M5s rimasto coerente con gli ideali della propria giovinezza ma pure dell’età adulta, sono contrari alle opere pubbliche, che per l’appunto è proprio ciò di cui la Liguria oggi ha bisogno.

 

Il Terzo Valico dei Giovi, che nel 2023 dovrebbe collegare Genova fino a Rotterdam; la Gronda di Genova, che raddoppia l’attuale A10 nel tratto di attraversamento di Genova e serve a evitare alle persone che non devono passare dalla città di non entrarci; il quadruplicamento della linea ferroviaria fino a Milano; il raddoppio della linea ferroviaria verso Ponente. E via così.

 

Certo è che il centrosinistra, segnatamente il Pd, segnatamente il vicesegretario Andrea Orlando (spezzino e sponsor da Roma della candidatura Sansa e dell’accordo grillopidì), ci si gioca l’osso del collo in Liguria. Questa è l’unica regione in cui l’accordo si fa, nonostante le (passate) opposizioni del Pd regionale e quelle dell’ex candidata del M5s, Alice Salvatore, nel frattempo uscita dal partito per lanciare una sua lista civica con cui si presenta alle elezioni. Da una parte insomma c’è Giovanni Toti, abile comunicatore in questi cinque anni (“Adesso sa fare anche un pesto perfetto”, dice al Foglio Alessandro Cavo, presidente di Fipe-Confcommercio Liguria), dall’altra la guerra civile.

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Pd e Cinque stelle insieme, dopo essersene detti di tutti i colori (specie il candidato Sansa, figlio di Adriano già sindaco di Genova, nei suoi articoli ha descritto per anni il Pd come un covo di banditi), Italia viva per fatti propri, come in Puglia. I renziani – che in Liguria non sono esattamente dei rottamatori, visto che dentro ci sono Claudio Burlando & soci, un po’ come se in Emilia-Romagna Pier Luigi Bersani fosse diventato capo di Italia viva – hanno scelto l’ex preside di Ingegneria Aristide Massardo, che prima di Sansa era stato concretamente vagliato come candidato presidente pure dal M5s.

  

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Toti invece non ha nemmeno la preoccupazione di trovarsi come avversario l’ex ministro Scajola, dal 2018 sindaco di Imperia. Dopo aver titubato un po’, Scajola – che due anni fa ha fondato un suo movimento, Polis – ha deciso di appoggiare Toti con uno schieramento che mette insieme Forza Italia e Liguria Popolare, nel tentativo di rendere meno sovranista il centrodestra. Dice Scajola al Foglio: “Io credo che la sinistra abbia deciso in partenza di dare soltanto una testimonianza per garantire la presenza in consiglio regionale di qualche consigliere del Pd. Perché la sinistra arriva divisa e per di più, all’interno dello stesso Pd, che ha fatto questa alleanza con i Cinque stelle, ci sono dichiarazioni pubbliche di molti esponenti del Pd che non hanno approvato la scelta di Sansa come candidato presidente, perché considerato un esponente del partito del giustizialismo. La sinistra ha fatto una scelta di testimonianza. Dunque è scontata la vittoria di Toti”.

 


La competizione dunque si è spostata all’interno del centrodestra. Riusciranno i vecchi scogli liberali ad arginare il mare sovranista? “La novità del centrodestra, e io ho dato una mano in questo, è il primo tentativo di un raggruppamento moderato che si intende rifare alla tradizione liberale, cristiana e riformista e che mette nel suo manifesto l’Europa e il garantismo”, aggiunge l’ex ministro. Un modo, dice Scajola, per “distinguersi dagli altri alleati della coalizione di Toti. Sennò ci sarebbe un partito unico”.

 

I liberali di Forza Italia insomma non sono defunti, sotto i colpi di Cambiamo, il partito di Toti che avrebbe voluto fare – in epoca pre Papeete – la spalla della Lega? “Questo tentativo dimostra che non sono morti, nonostante siano stati cannibalizzati dalla lista Toti. E’ un primo seme gettato per vedere se può nascere un nuovo raggruppamento, che sia un segnale per il paese, fatto di moderati e riformisti”. Toti ha intanto depredato Forza Italia. In provincia di Imperia, il nipote di Scajola, Marco, recordman di preferenze e assessore regionale all’urbanistica, ha lasciato i berlusconiani ed è entrato in Cambiamo nel 2019.

 

Angelo Vaccarezza, ex presidente forzista della Provincia di Savona, è entrato in Cambiamo nel 2019. Un tempo erano colonne portanti di Forza Italia. Adesso fanno parte della creatura politica di Toti insieme ad altri, come Ilaria Cavo, assessore ai rapporti con il Consiglio regionale e comunicazione istituzionale, e Giacomo Giampedrone, assessore ai lavori pubblici, braccio destro di Toti.

 
Le baruffe interne al centrodestra, per quanto accese, non provocano però grandi scossoni. Lo schema è sempre il solito, a parte questo ritrovato spirito liberale ancora tutto da pesare nelle urne: chi è più forte nelle urne? Giorgia Meloni o Matteo Salvini, che alle Politiche del 2018 prese il 20 per cento, alle Europee del 2019 il 33 ed è fortissimo in Riviera? Anche in questo caso a fare la differenza è la “periferia”.

 

Salvini ha preso il 30 nella provincia di Genova, a La Spezia il 34, a Savona il 38 e a Imperia il 40. Ma forse sono proprio gli scossoni che i liguri non vogliono. Già hanno passato un’estate – l’estate autarchica causa emergenza sanitaria – incolonnati sulla A10 e sulla A7 a causa dei lavori nelle gallerie. Meglio evitare il caos di una giunta giallo-rosé.

 


Dice al Foglio Cavo, presidente di Fipe-Confcommercio Liguria, liberale per cultura e formazione: “La Liguria, che ha avuto da questo particolarissimo e sfortunato 2020 una bella botta, veniva già da una serie di eventi negativi, più o meno naturali, che l’hanno coinvolta negli ultimi dieci anni. La grande alluvione del 2011, quella del 2014, il crollo del ponte Morandi nel 2018. Tre mesi dopo il crollo del Morandi c’è stata la più grande mareggiata di questo inizio secolo, che ha distrutto stabilimenti balneari e devastato la strada che conduce a Portofino. La Liguria è stata ed è coesa nell’affrontare queste difficoltà e non ha nessun desiderio divisivo”.

 
Il che è apparsa, per gli stessi genovesi e per gli stessi liguri, come una novità, visto che amano autorappresentarsi come un popolo iper individualista che tuttavia, come sottolinea Cavo, nelle difficoltà del momento sa ritrovare una sua “unità della terra”. D’altronde era stato proprio il grande Friedrich Nietzsche, nella sua Gaia Scienza, avviata proprio nel suo soggiorno a Genova, a identificare lo spirito individualista dei suoi abitanti: “Mi sono guardato per un bel pezzo questa città, le sue villette e i parchi e il circolo vasto delle sue colline e i declivi abitati; devo dire infine che vedo volti di generazioni scomparse; questa contrada è disseminata di simulacri di uomini arditi e sicuri di sé. Essi hanno vissuto e hanno voluto continuare a vivere, questo mi dicono con le loro case edificate e abbellite per i secoli e non per l’ora fuggitiva; si sentivano ben disposti verso la vita, per quanto malvagi potessero spesso essere stati con se stessi. Vedo sempre l’uomo che costruisce, che fa riposare il suo sguardo su tutto quanto gli è stato edificato intorno, lontano e vicino, e così pure sulla città, sul mare e sulle linee delle montagne; vedo che, con questo sguardo, esercita il suo potere e la sua conquista; tutto questo egli vuole inserire nel suo disegno e farne infine sua proprietà, essendo diventato una parte dell’uno e dell’altra. Questa intera contrada trabocca, nel suo crescere, di questo magnifico, insaziabile egoismo che gode del possesso e della preda”.

 


Un tale spirito conduce inevitabilmente ai duelli, ai particolarismi. Ma le botte sono state così tante, osserva Cavo, che la Liguria non cerca stavolta “alcun tipo di lacerazione, politica men che meno. Si cerca anzi di remare tutti nella stessa direzione, che poi è la cosa che ci ha mantenuti vivi. Sa, le alluvioni non sono un evento così raro dal farci rimanere attoniti, quando avvengono dopo lo scoramento si prende la pala e ci rimettiamo al lavoro. Ma il ponte Morandi è stato diverso, abbiamo visto crollare un simbolo della grandezza della città”.

 La grandezza di un tempo, quantomeno. In quarantacinque anni, la città è stata attraversata da una feroce crisi demografica. Nel 1971 a Genova c’erano 816.872 residenti, mentre nel settembre 2016 i residenti erano 583.973, di cui 54.779 stranieri (il 10 per cento). E Genova ha un peso enorme, non solo politico: in tutta la regione gli abitanti sono un milione e mezzo. “Quando ad agosto abbiamo rivisto il ponte San Giorgio terminato, abbiamo ritrovato un simbolo della nostra straordinaria resilienza”, dice ancora Cavo.

 

Le elezioni regionali insomma si posizionano, dice il presidente della Fipe, “in un periodo storico di unità e coesione per Genova e la Liguria in cui le lacerazioni non sono vengono ricercate. La campagna elettorale è stata senza aspra battaglia”. Persino la vecchia inimicizia fra Toti e il sindaco di Genova, Marco Bucci, è stata ricomposta.

 

Il governatore ligure ha guardato con sospetto il sindaco genovese perché sperava di metterci uno dei suoi a candidato di Genova nel 2017, ma poi è stato l’ex presidente di Liguria digitale a spuntarla. E ora, dice al Foglio Antonio Bettanini, già portavoce della presidenza del Senato, oggi candidato con il centrodestra, il rapporto fra i due funziona. Con ruoli diversi, certo: “Bucci ha grande concretezza e capacità di decisione, al netto dei tratti che possono apparire spigolosi. Ma ha saputo, fra le altre cose, riportare in vita Euroflora, manifestazione sepolta, puntando sui parchi di Nervi, un azzardo dal punto di vista della mobilità, dando di nuovo un riposizionamento internazionale della città in un settore specifico”. Il resto è tutto ancora da fare. A partire dalle infrastrutture, un problema così atavico da essere difficilmente ascrivibile a questa o quella giunta: “Un po’ cinicamente il centrodestra si è intestato la ricostruzione del ponte, che è l’evento dell’ultimo anno per Genova. E ora la legislatura regionale si apre in maniera promettente per la città, che ha bisogno di opere infrastrutturali. Anche perché il crollo del ponte e la sua ricostruzione hanno materializzato l’isolamento di Genova”, dice ancora Bettanini.

 

“La sinistra, che ha governato quasi ininterrottamente per 30 anni la Regione non ha mai pensato alle infrastrutture come condizione per il futuro”. Il “modello Genova”, spiega Bettanini, potrebbe diventare un modello Liguria. Almeno, è una speranza. “Ero in consiglio comunale negli anni Novanta quando fu approvato il progetto della bretella – allora si chiamava così - Voltri-Rivarolo, che oggi è stato modificato e si chiama Gronda, osteggiato dai Cinque stelle”. La Liguria ha necessità di svilupparsi secondo alcune direttrici, una di queste è senz’altro quella con Milano, “città che potrebbe essere a mezz’ora di treno e invece ce ne vuole un’ora e mezzo”: “Per Genova il rapporto con Milano è assolutamente vitale per l’economia ligure. Oltretutto non è escluso che con il Covid venga ridisegnato anche il modello Milano. Le seconde case in Liguria da luoghi di vacanze potrebbero diventare luoghi di smart working”, dice Bettanini.

 

Non va infatti sottovalutato l’impatto dell’emergenza sanitaria nel bilancio politico delle elezioni regionali. Ogni Regione, come abbiamo visto nel corso del viaggio che il Foglio sta facendo nei territori al voto, ha subito le conseguenze socio-economiche del coronavirus in maniera differente.


Secondo l’indagine straordinaria della Banca d’Italia sugli effetti del virus, l’85 per cento delle imprese dell’industria in senso stretto e dei servizi con almeno 20 addetti ha accusato conseguenze negative della pandemia e delle connesse misure di contenimento, con l’attesa di un calo significativo delle vendite nel primo semestre del 2020, che potrebbe essere solo parzialmente recuperato – scrive un rapporto di Banca d’Italia – “nella seconda parte dell’anno. L’impatto sarebbe maggiore per le aziende del terziario rispetto a quelle industriali”.

 

Dunque, spiega il rapporto di Bankitalia sulla Liguria, “l’economia ligure, che presenta la più elevata terziarizzazione tra le regioni del Nord, trae una porzione non trascurabile del proprio prodotto da comparti che si basano sulla mobilità di merci e persone: trasporti, logistica e turismo, tra cui il comparto crocieristico, che negli ultimi anni aveva registrato una forte crescita”. I risultati delle imprese dipenderanno quindi dalla loro effettiva capacità di operare in condizioni di equilibrio economico compatibilmente con le cautele di distanziamento sociale e a fronte di una maggiore prudenza da parte della clientela. La contrazione della domanda interna viene indicata dalla maggioranza degli operatori intervistati come la prima conseguenza dell’emergenza sanitaria, sia nell’industria, sia nei servizi”. Il sistema produttivo sta affrontando la crisi in condizioni migliori rispetto al passato: nell’ultimo decennio è aumentata la redditività ed è calato l’indebitamento; è diminuita la percentuale di aziende finanziariamente vulnerabili. L’emergenza sanitaria tuttavia può incrementare il fabbisogno finanziario delle imprese”. Per quanto riguarda la situazione delle famiglie in Liguria il reddito disponibile pro capite si colloca stabilmente al di sopra della media italiana, “ma con riferimento alle fasce più deboli della popolazione le quote di famiglie in povertà assoluta e di individui che vivono in nuclei familiari senza reddito da lavoro si situano su livelli prossimi al complesso del Paese e superiori a quelli del Nord Ovest”.

 

In media, tuttavia, “le condizioni finanziarie delle famiglie rimangono solide. La loro ricchezza totale è a circa 11 volte il reddito disponibile”. Di tutto insomma i liguri sembrano aver bisogno tranne che del partito della crescita infelice.

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