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Referendum, nel Pd tanto tuonò che non piovve. I No si fermano a 13

Giulio Seminara

La direzione approva la relazione di Zingaretti con 213 voti. Il Sì al taglio dei parlamentari passa con 188 favorevoli, Gianni Cuperlo contrario e Matteo Orfini diserta il voto

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Alla fine il Partito democratico non ha tradito il suo segretario e si è stretto a questo esecutivo, al premier Giuseppe Conte e perfino al Sì del referendum sul taglio dei parlamentari. A nulla sono valsi gli appelli dei "grandi vecchi", da Emanuele Macaluso a Romano Prodi: i voti favorevoli al No si sono fermati a 13. 

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Alla fine il Partito democratico non ha tradito il suo segretario e si è stretto a questo esecutivo, al premier Giuseppe Conte e perfino al Sì del referendum sul taglio dei parlamentari. A nulla sono valsi gli appelli dei "grandi vecchi", da Emanuele Macaluso a Romano Prodi: i voti favorevoli al No si sono fermati a 13. 

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Nicola Zingaretti, messo alla prova da una discussione che ha posticipato il più possibile e avvenuta sostanzialmente in via telematica, strappa quasi un plebiscito sulla sua linea politica: insistere sull'esecutivo giallo-rosso (“finché il Pd sarà utile al Paese”,chiaro), sull'alleanza con il Movimento 5 stelle (la cui poca corrispondenza nella realtà, Liguria a parte, è stata da lui definita “paradossale”) e soprattutto sul voto favorevole alla consultazione referendaria sulla riduzione dei parlamentari. Proprio su questo tema il Partito Democratico sembrava da settimane diviso e tormentato, politicamente e filosoficamente. Il decisivo via libera in Parlamento a questo referendum costituzionale, dall'esito scontato, è stato votato a settembre dai democratici con grande riluttanza, come pegno da pagare per la nascita del governo Conte 2, un'amara cicuta valida per tenere lontano Matteo Salvini e i suoi pieni poteri. Ed è anche apparsa come una grande resa all'antipolitica, all'odiata narrazione delle Camere come costosissimo bivacco e dopolavoro della Casta. Ma era ciò che i neo-alleati pentastellati pretendevano: o riduzione delle poltrone o nessun governo. O si permetteva a Luigi Di Maio di sfoderare la grande forbice davanti Montecitorio o “il governo più di sinistra della storia” non nasceva.
   

            
Qualcuno ha detto No: quel Gianni Cuperlo fuori dal Parlamento ma sempre in connessione sentimentale con i militanti, Matteo Orfini e i suoi turchi -sempre giovani ma mai così tanto in minoranza nel Pd- la pasionaria agèe Laura Boldrini e altri. Tutti megafoni di un malcontento molto sentito ed esplicitato dalla base, torturata da questo Sì che ritiene innaturale, una clava contro la democrazia della rappresentanza, la politica. Ma questo dissidio non ha trovato forma nella direzione di oggi. Zingaretti, che ha chiesto due voti separati, uno per la sua relazione politica e un altro per confermare il Sì sul referendum, ha ottenuto due lasciapassare. La faticosa relazione, rafforzata quasi in diretta dalla notizia che Conte andrà domani alla festa dell'Unità di Modena, è stata approvata a larghissima maggioranza con 213 favorevoli, 1 astenuto e 6 delegati che non hanno partecipato al voto. Invece l'ordine del giorno sul referendum ha ottenuto 188 pareri favorevoli, 13 contrari, 8 astenuti e la non partecipazione al voto di 11 delegati. Al Nazareno evidentemente i molti difensori della Repubblica basata sui partiti e della democrazia rappresentativa, dopo aver molto abbaiato, non hanno morso.

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