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L’incompatibile distanziamento del Cav.

Giuliano Ferrara

Storie di una relazionalità che mal si combina con un’epidemia (e auguri)

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Berlusconi è l’uomo più relazionale, versato nel contatto personale, nell’amicizia, nella promiscuità compagnona e fraterna, e tuttavia sempre gentile, che si possa incontrare nella vita. Chi ha lavorato con lui, chi lo ha frequentato, chi gli è amico e ha osservato da vicino la sua cortese disponibilità, il suo senso dell’ospitalità, sa che era un candidato ideale per un contagio, purtroppo. Ma quella è la sua personalità, la sua cifra fortunata e felice che si combina male con gli effetti di un’epidemia.

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Berlusconi è l’uomo più relazionale, versato nel contatto personale, nell’amicizia, nella promiscuità compagnona e fraterna, e tuttavia sempre gentile, che si possa incontrare nella vita. Chi ha lavorato con lui, chi lo ha frequentato, chi gli è amico e ha osservato da vicino la sua cortese disponibilità, il suo senso dell’ospitalità, sa che era un candidato ideale per un contagio, purtroppo. Ma quella è la sua personalità, la sua cifra fortunata e felice che si combina male con gli effetti di un’epidemia.

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Non è mai solo, scorta e collaboratori a parte. Un mondo fatto di tutto, un po’ di tutto, gli gira intorno da sempre, da quando metteva insieme industria immobiliare e tv, editoria e convention, pubblicità e affabulazione con il sole in tasca. Chi non ha cura di lasciar vivere lo ha sfottuto per l’accompagnamento musicale di una vita, il gusto dello spettacolo domestico, le cene eleganti, i giochi in villa con amici e capi di stato, tutto quell’apparato di travestimento e della noia e di ricerca spudorata della felicità ludica, e via dicendo, ma ciascuno è fatto a suo modo, e essere socievole, non avere idea di cosa sia il distanziamento sociale o antisociale, come volete, è un diritto della persona, un tratto perfino magico di una personalità che gli anglosassoni definiscono con un’espressione come larger than life, più grande della vita, ingombrante e invasivo e accogliente. Elisabetta II è un tipo di donna e di regina che si può isolare del tutto, cavalli, cani, castelli scozzesi, e può godere di una solitudine a prova di bomba, può immergere età e ricordi in una infinita e illustre malinconia, in un dovere dinastico e aristocratico.

 

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Il Cav. no, è un re popolare, ubuesque, la sua corte è di volta in volta seria, commerciale, calcistica, ridanciana, fraterna, non mancano l’adulazione e l’ironia, una certa libertà di tono e una disciplina naturale, non mancano gli scollacciamenti burlesque, i divertimenti esagerati, ma anche le cene natalizie e familiari, gli incontri politici, la fatale e tediosa vita di partito, tutto è segnato sempre e comunque dal suo fremente bisogno di contatti di ogni genere.

Quando si era rifugiato in Provenza dalla figlia Marina ho pensato, vedi che è diventato saggio, vedi che ha capito l’antifona, vedi che ha appreso a valutare i rischi, bravo, non ci fa stare in pensiero e non ci mette in ansia, a noi che gli vogliamo bene. C’era tutta una evoluzione, anche politica, una distanza almeno dalle focosità brutali di una coalizione che era diventata meno pop e meno divertente da quando un ragazzaccio gliela aveva scippata, tolta di mano come una borsetta. Si era ricostruito un’immagine, senza ancora avere sanato del tutto le ferite di due decenni di galoppo politico, di corsa sfrenata, e com’era naturale la nuova nozione del Cav. era meno virata alla ricerca del consenso a tutti i costi, si manifestava una maggiore attenzione alle consuetudini di società e di stato, seppure il cittadino privato Berlusconi non guarirà mai dalla problematica eppure magnifica mancanza di gravitas che ne fa un fenomeno unico nel mondo intero. Poi sono arrivati i riti di Villa Certosa, è evidentemente prevalso il tratto dell’umore vacanziero, della spensieratezza, di una vita tutta energia fatta di gioco e di trenino, e probabilmente è lì che il virus lo ha colpito o lui ha colpito il virus, come ci piace credere augurandogli ogni ulteriore fortuna.

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