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il giorno della marmotta

Così la De Micheli s'inventa una matrioska sul ponte dello Stretto per salvare la faccia a Conte

Valerio Valentini

La commissione istituita al Mit dovrà valutare progetti già scartati vent'anni fa. Lo sconforto degli esperti coinvolti. Le ironie di Provenzano. L'immobilismo del governo come prezzo della stabilità

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Roma. Ricapitolando: c’è un ministero, che s’avvale di una struttura tecnica di missione, che istituisce una commissione sotto forma di “gruppo di lavoro”, che a sua volta potrà ricorrere a ulteriori consulenti. Una matrioska a Porta Pia, dentro quel dicastero dei Trasporti che si pretende impegnato alla velocizzazione, alla semplificazione. E che invece s’avvale di una struttura tecnica di missione, per istituire una commissione, per chiedere aiuto a dei consulenti, per arrivare finalmente a comparare dei progetti già comparati venticinque anni fa, con lo scopo d’individuare un progetto già assegnato nel 2011 o magari sostituirlo con quelli scartati nel ’95, o magari – che poi sarebbe l’esito più giusto, per questa farsa all’italiana – stabilire che è meglio non fare nulla, e chiuderla lì.

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Roma. Ricapitolando: c’è un ministero, che s’avvale di una struttura tecnica di missione, che istituisce una commissione sotto forma di “gruppo di lavoro”, che a sua volta potrà ricorrere a ulteriori consulenti. Una matrioska a Porta Pia, dentro quel dicastero dei Trasporti che si pretende impegnato alla velocizzazione, alla semplificazione. E che invece s’avvale di una struttura tecnica di missione, per istituire una commissione, per chiedere aiuto a dei consulenti, per arrivare finalmente a comparare dei progetti già comparati venticinque anni fa, con lo scopo d’individuare un progetto già assegnato nel 2011 o magari sostituirlo con quelli scartati nel ’95, o magari – che poi sarebbe l’esito più giusto, per questa farsa all’italiana – stabilire che è meglio non fare nulla, e chiuderla lì.

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In fondo in questa sceneggiata non ci crede neanche chi pure dovrebbe sforzarsi di farlo, se non altro per fedeltà al personaggio. E invece Paola De Micheli sa bene che tutta questa messinscena della commissione è una trovata, neanche tanto riuscita, che serve solo a dare un contesto, inevitabilmente scombiccherato, alla proposta partorita in piena estate dalla piazza di Ceglie Messapica, quella da cui Giuseppe Conte s’è ritrovato a vagheggiare l’idea del tunnel tra Scilla e Cariddi, tanto per trovare al M5s un modo per poter riconoscere che sì, i due lembi dello Stretto di Messina vanno collegati, ma non cedendo al progetto che fu del Cav., in principio, e che venne poi recuperato da Renzi. E dunque lei, la De Micheli, ha dovuto assecondare le istanze scomposte di Palazzo Chigi e votarsi al situazionismo. “Abbiamo istituito – ha annunciato mercoledì sera via tweet – una commissione per capire qual è lo strumento migliore per collegare Sicilia e Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile”.

 

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E non che s’aspettasse il tripudio dei follower. Ma neppure credeva di vedersi sbeffeggiata da quel suo collega di governo e compagno di partito che è Peppe Provenzano, che ieri ha pensato bene di farsi delle gran risate della sua amica Paola: “Il ponte? E perché non la funivia o la catapulta?”.

 

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E se questo è l’atteggiamento di chi la commissione l’ha proposta, non c’è da stupirsi se, tra le sedici persone che quella commissione dovranno comporre, a titolo gratuito e sotto il coordinamento del prof. Giuseppe Catalano, c’è chi, dietro garanzia di anonimato, si lascia andare a un certo sconforto, dopo la riunione di benvenuto che s’è svolta al Mit due giorni fa. E non perché, tra i professori scelti e gli amministratori delegati convocati (tra gli altri, quelli di Anas e Rfi), manchino competenze o buona volontà. Lo scetticismo sta semmai nella vaghezza del mandato ricevuto. Perché, nel giro di due mesi, svolgendo audizioni, vagliando progetti e definendo parametri, insomma seguendo quella canonica trafila di procedure che impantanano i lavori pubblici in Italia, il gruppo di lavoro dovrà redigere delle valutazioni propedeutiche a consentire che il governo possa decidere sul da farsi.

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Magari indicendo un altro bando di gara per vagliare poi nuovi progetti. Perché, come in una specie di giorno della marmotta, si è tornati a comparare la fattibilità di quattro diverse opzioni già confrontare a metà anni Novanta. Da un lato il ponte classico (a campata singola, come sarebbe quello che WeBuild potrebbe già costruire, o magari a più luci); dall’altro il ponte flottante. Nel mezzo, la tentazione del tunnel tanto cara a Conte, con buona pace per i rischi sismici e per la lunghezza abnorme della galleria. E infine, incombente come l’inconcludenza che sempre caratterizza questi processi decisionali finalizzati a non decidere, il nulla. Non fare nulla. Che è sempre la soluzione migliore, quando non si sa che fare.

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