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La condanna di Raggi

Simone Canettieri

A ottobre parte il processo d’Appello che può cambiare la corsa elettorale a Roma. Lei: “Sono serenissima”

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Roma. Lo scenario serpeggia nei Palazzi. Di bocca in bocca. Rimbalza dal Campidoglio e piomba su Montecitorio, passando dal Nazareno. Una vocina stridula e poco garantista, ma turborealista e feroce. Tanto feroce: e se l’unico modo per sbarrare la strada alla ricandidatura di Virginia Raggi a Roma fosse la condanna della sindaca nel processo d’Appello che inizierà il 19 ottobre? Un pensiero proibito, che si fa, eccome se si fa nelle stanze che contano, ma non si può dire. Di fatto sarebbe l’unica scappatoia dei rossogialli per togliersi di mezzo (forse) la grillina che, a dispetto delle liturgie, il mese scorso ha giocato d’anticipo. Lasciando di stucco la politica sotto l’ombrellone: signori, mi ricandido; chi mi ama, mi segua; e del Pd me ne infischio.

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Roma. Lo scenario serpeggia nei Palazzi. Di bocca in bocca. Rimbalza dal Campidoglio e piomba su Montecitorio, passando dal Nazareno. Una vocina stridula e poco garantista, ma turborealista e feroce. Tanto feroce: e se l’unico modo per sbarrare la strada alla ricandidatura di Virginia Raggi a Roma fosse la condanna della sindaca nel processo d’Appello che inizierà il 19 ottobre? Un pensiero proibito, che si fa, eccome se si fa nelle stanze che contano, ma non si può dire. Di fatto sarebbe l’unica scappatoia dei rossogialli per togliersi di mezzo (forse) la grillina che, a dispetto delle liturgie, il mese scorso ha giocato d’anticipo. Lasciando di stucco la politica sotto l’ombrellone: signori, mi ricandido; chi mi ama, mi segua; e del Pd me ne infischio.

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Sicché, ecco il cortocircuito politico-giudiziario farsi largo. Di nuovo, più forte che pria. Sotto forma di speranza meschina. A nessuno, infatti, sfugge una serie di elementi: il secondo grado – emergenza Covid a parte – di norma ha tempi celeri. Non sfilano i testimoni. Si va dritti con le prove documentali. E la sentenza potrebbe arrivare prima delle prossime comunali.

 

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Raggi è imputata per falso, in caso di pollice verso dei giudici non finirebbe sotto la legge Severino, ma tra le grinfie (spuntate) del codice etico del M5s: niente condannati, please. A quel punto inizierebbero i distinguo, le questioni di opportunità, forse il pressing di Beppe Grillo, chissà gli off di Luigi Di Maio e Paola Taverna, il gelo di Palazzo Chigi. Giornalese, certo. Ma che spiega bene lo scenario B. Senza Virginia – che ieri si è punzecchiata per l’ennesima volta con Nicola Zingaretti sulla sanità, beccandosi una rispostina sul Mes al vetriolo – la ricerca del candidato unico, modello coalizione di governo sarebbe cosa fatta. Per la serenità di Giuseppe Conte, per esempio. Ma anche per la spartizione interna delle principali città che andranno al voto la prossima primavera: oltre a Roma, Torino, Napoli, Bologna e Milano.

 

Ora in Campidoglio si dicono serenissimi più della repubblica di Venezia. Andrà tutto bene? “Certo che sì”.

 

Piccola cronistoria essenziale: la sindaca venne assolta il 10 novembre 2018 in primo grado dal giudice Roberto Ranazzi dall’accusa di falso documentale per la vicenda per la nomina di Renato Marra, fratello dell’allora plenipotenziario del Campidoglio Raffaele, alla guida della Direzione Turismo. Fu una giornata abbastanza campale a piazzale Clodio e nei server del M5s: con la condanna, la grillina si sarebbe dovuta dimettere. I post erano già pronti. Alla fine avvenne il contrario e tutta la compagnia cantante dei pentastellati che contano se la prese con i giornalisti, osannando la sindaca casta e immacolata.

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Furono surreali le motivazioni della sentenza: la Raggi fu vittima di un raggiro ordito ai suoi danni dai due fratelli. Insomma, non si sarebbe accorta di nulla. E quindi: assolta perché il fatto non costituisce reato. La Procura di Roma sostiene il contrario. E’ convinta che la grillina abbia mentito all’Anticorruzione sulla nomina. Così ha impugnato la sentenza. L’udienza era fissata per lunedì 8 giugno, dopo un primo rinvio avvenuto a marzo, in pieno lockdown. A ottobre – salvo scherzi del virus – è atteso il gong. E da qualche giorno si è rimessa in moto la macchina delle congetture. E dei sussurrati: “Speriamo in un giudice a Roma!”.

 

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L’arma letale, la chiamano i nemici di Raggi. Sono convinti che alla fine arriverà la mazzata, la botta che la costringerà alle corde. Al gran rifiuto. Quello che può – potrebbe – sbloccare la situazione. Per arrivare così al mister X che si giochi tutto contro il centrodestra melonian-salviniano. In un bipolarismo muscolare, senza il terzo incomodo. Primo turno, poi ballottaggio e via. Ma intanto, in questa vicenda piena di cattivi e disperati pensieri, c’è in mezzo lei. La sindaca che non si era accorta di nulla, ma che ora è consapevole di voler andare avanti, tra una buca e l’altra, lungo il viale che porta alle comunali. Un nome c’è già: Sansone e i filistei. Salvo sorprese giudiziarie.

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