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Uno spasso il referendum che fa ballare i no e i finti puristi dell’antipopulismo

Claudio Cerasa

Gli intransigenti del no al taglio dei parlamentari si augurano con sfumature diverse di avere un aiuto da parte dei populisti per poter battere i populisti. Altre note di comicità da Salvini, dai meloniani, dai dissidenti di FI e dal mondo di Repubblica

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La gustosa battaglia culturale che si sta combattendo attorno al referendum sul taglio dei parlamentari offre notevoli spunti di interesse non solo per le ragioni di carattere costituzionale che dovrebbero spingere a votare sì (perché mai regalare ai populisti una battaglia per l’efficienza del Parlamento che tutto è tranne che populista?) ma anche per ragioni legate a una sempre più evidente carrellata di scene tipiche di una nuova e involontaria comicità politica. Il primo fronte spassoso da mostrare con divertimento è quello dei famigerati puristi dell’antipopulismo, che dopo aver affermato di voler sabotare il referendum costituzionale a colpi di no, in nome per l’appunto dell’antipopulismo, si ritrova a combattere fianco a fianco con una truppa niente male di populisti, che parte dai campioni del Palasharp (da Libertà e Giustizia ad Asor Rosa) e finisce alla flotta degli anti euro (Borghi e Bagnai). I puristi dell’antipopulismo, che tendono ogni tanto a trasformare l’antipopulismo in una battaglia a sua volta populista (Carlo Calenda per motivare il suo no al referendum costituzionale ha fatto proprio il lessico anti casta dicendo, in un’intervista a Repubblica, di voler votare no perché la vera “casta” ormai è il M5s), oggi non lo possono dire fino in fondo, ma hanno un sogno nel cassetto che faticano a nascondere. 

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La gustosa battaglia culturale che si sta combattendo attorno al referendum sul taglio dei parlamentari offre notevoli spunti di interesse non solo per le ragioni di carattere costituzionale che dovrebbero spingere a votare sì (perché mai regalare ai populisti una battaglia per l’efficienza del Parlamento che tutto è tranne che populista?) ma anche per ragioni legate a una sempre più evidente carrellata di scene tipiche di una nuova e involontaria comicità politica. Il primo fronte spassoso da mostrare con divertimento è quello dei famigerati puristi dell’antipopulismo, che dopo aver affermato di voler sabotare il referendum costituzionale a colpi di no, in nome per l’appunto dell’antipopulismo, si ritrova a combattere fianco a fianco con una truppa niente male di populisti, che parte dai campioni del Palasharp (da Libertà e Giustizia ad Asor Rosa) e finisce alla flotta degli anti euro (Borghi e Bagnai). I puristi dell’antipopulismo, che tendono ogni tanto a trasformare l’antipopulismo in una battaglia a sua volta populista (Carlo Calenda per motivare il suo no al referendum costituzionale ha fatto proprio il lessico anti casta dicendo, in un’intervista a Repubblica, di voler votare no perché la vera “casta” ormai è il M5s), oggi non lo possono dire fino in fondo, ma hanno un sogno nel cassetto che faticano a nascondere. 

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E basta leggere con attenzione in questi giorni le pagine di Repubblica (schierata per il no) per capire che il partito del no sarebbe in fondo più che contento se la truce Lega del populista Salvini piuttosto che schierarsi per il sì (populisti!) si schierasse per il no (illuminati!). Sono spassosi gli antipopulisti che sognano di avere una mano dai populisti puri per proteggersi dal populismo di governo. Sono spassosi gli antipopulisti che combattono il sì al referendum sostenendo di voler proteggere la democrazia rappresentativa – dimenticando però che l’organo che rappresenta la democrazia rappresentativa, il Parlamento, ha votato con cifre record la riforma costituzionale (al Senato nella seconda votazione i sì sono stati 180 su 231 presenti, ovvero il 77,9 per cento e il 56 per cento dei componenti nel loro complesso, mentre alla Camera i sì, 553 su 569 presenti, hanno raggiunto il 97,2 per cento, quasi l’88 per cento dei componenti), e dimenticando pure che aver rispetto della democrazia rappresentativa significa anche evitare che le scelte della democrazia rappresentativa vengano costantemente minate dalla democrazia diretta (e mai come oggi votare no confermerebbe l’irriformabilità delle nostre istituzioni politiche). Ma lo sono, un po’ spassosi, anche certi populisti, che si rendono conto di che trappola mortale sia per loro questo referendum costituzionale.

     

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Il discorso non vale tanto per Giorgia Meloni ma vale prima di tutto per Matteo Salvini, impegnato oggi in una battaglia che ricorda da vicino quella che nel 1991 provò a combattere Umberto Bossi ai tempi di un altro referendum: quello per la riduzione dei voti di preferenza. All’epoca, la Lega non era contraria a quella riforma, poi Umberto Bossi sospettò che fosse un rischio dare ai propri elettori la stessa indicazione di voto del Pds e del Pli e così invitò i leghisti ad andare al mare. I leghisti invece non andarono al mare e contribuirono a far trionfare il sì. Salvini oggi si trova in una situazione simile: ha votato sì in Parlamento ma capisce che una vittoria del sì rafforzerebbe più la coalizione dei suoi nemici che quella dei suoi alleati e per questo ha scelto di posizionare la Lega su un messaggio che più spassoso non si può: noi siamo per il sì, ma se volete votare per il no noi non ci offendiamo. Spassosa è la Lega, spassosa è la posizione di Fratelli d’Italia (il partito di Giorgia Meloni sostiene di voler votare sì al taglio dei parlamentari utilizzando le stesse argomentazioni contro le quali combatteva nel 2016 ai tempi di un altro referendum costituzionale, quello di Renzi: i meloniani oggi dicono che una riforma che contiene cose giuste la si deve votare anche se imperfetta mentre nel 2016 dicevano che quando si riforma la Costituzione una riforma imperfetta semplicemente non la si può votare). Ma spassosa è anche la posizione dei dissidenti di Forza Italia, che dopo aver votato no alla riforma complessiva della Costituzione nel 2016 oggi sostengono di voler votare no al taglio del numero dei parlamentari perché – oplà! – senza una riforma complessiva della Costituzione non si va da nessuna parte (e non è male neanche Romano Prodi, che pur ribadendo di condividere il taglio al numero dei parlamentari invita a non votare la riforma che taglia il numero dei parlamentari). E spassosa è anche la posizione di alcuni renziani, che dopo aver costruito nel 2016 buona parte della campagna elettorale a favore del referendum costituzionale suggerendo di votare sì per “tagliare le poltrone” oggi invitano a votare nì giudicando non solo la riforma incompleta (giusto) ma anche populista il taglio delle poltrone (meno giusto).

      

Il purissimo fronte del no al taglio (e del no al populismo) si augura dunque con sfumature diverse di avere un qualche aiuto da parte dei populisti per poter battere i populisti. E più passeranno i giorni e più molti intransigenti del no si accorgeranno forse di una verità difficile da negare: combattere contro il taglio dei parlamentari non ha come controindicazione solo quella di regalare ai populisti una battaglia che populista non è, ma ha anche quella di perseguire lo stesso disegno che sotto sotto coltiva il re dei populisti: trasformare il referendum in una formidabile battaglia per far cadere il governo. Niente male come battaglia antipopulista.

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