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Le trame sotto il trono del pd

La danza tribale intorno a Zingaretti, che ora pensa a un congresso "difensivo"

Valerio Valentini

Se si perde la Puglia, si apre il processo. Ma se in Puglia si vince, potrebbe essere il segretario a far saltare il banco. Bonaccini è lo sfidante designato (anche da Renzi). Lo strano attendismo di Lotti

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Roma. Se è vero che c’è un tempo per ogni cosa, e che in politica i tempi sono tutto, allora si capisce perché nessuno dei dirigenti del Pd abbia davvero scoperto le sue carte, in attesa di una resa dei conti che però, su questo almeno sono tutti abbastanza concordi, in autunno arriverà. E così, nell’attesa del responso dell’oracolo dell’urna del 20 settembre, il gioco di posizionamento dei vari capicorrente si è trasformato in una specie di danza tribale – Zingaretti al centro, e intorno a lui il vice Orlando, il capodelegazione al governo Franceschini, i leader riformisti Lotti e Guerini in coppia – col segretario nel supposto ruolo di vittima sacrificale, quel segretario che però ha dimostrato di saper fare dell’equilibrismo, dell’arte di conciliare l’inconciliabile, la sua forza. E in effetti anche adesso, nelle tattiche solo vagheggiate durante le cene agostane, negli schemi abbozzati duranti i conciliaboli sul bagnasciuga in vista della pugna che verrà, perfino tra i suoi presunti avversari spuntano i dubbiosi, i cauti, i tiepidi di spirito: quelli che in fondo pensano sia meglio rimandare lo scontro.

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Roma. Se è vero che c’è un tempo per ogni cosa, e che in politica i tempi sono tutto, allora si capisce perché nessuno dei dirigenti del Pd abbia davvero scoperto le sue carte, in attesa di una resa dei conti che però, su questo almeno sono tutti abbastanza concordi, in autunno arriverà. E così, nell’attesa del responso dell’oracolo dell’urna del 20 settembre, il gioco di posizionamento dei vari capicorrente si è trasformato in una specie di danza tribale – Zingaretti al centro, e intorno a lui il vice Orlando, il capodelegazione al governo Franceschini, i leader riformisti Lotti e Guerini in coppia – col segretario nel supposto ruolo di vittima sacrificale, quel segretario che però ha dimostrato di saper fare dell’equilibrismo, dell’arte di conciliare l’inconciliabile, la sua forza. E in effetti anche adesso, nelle tattiche solo vagheggiate durante le cene agostane, negli schemi abbozzati duranti i conciliaboli sul bagnasciuga in vista della pugna che verrà, perfino tra i suoi presunti avversari spuntano i dubbiosi, i cauti, i tiepidi di spirito: quelli che in fondo pensano sia meglio rimandare lo scontro.

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Perché nel canovaccio immaginato da tutti, il congresso è ormai inevitabile. Lo chiederebbero i rivali interni – Stefano Bonaccini per primo, insieme ai sindaci Gori e Nardella – se le regionali andassero male, se cioè anche la Puglia – oltre alle Marche ormai date irrimediabilmente per perdute – finisse in mano alla destra meloniana. Ma forse, stando agli ultimi sospiri fuggiti dal seno del segretario, il congresso ci sarebbe anche se la Puglia venisse vinta da Emiliano: e a chiederlo, magari nel suo surrogato di “congresso a tesi”, sarebbe proprio Zingaretti, che sfrutterebbe quel rinnovato, magari fuggevole slancio per garantirsi una rinnovata legittimazione e una più lunga sopravvivenza. E insomma, in un caso o nell’altro, che farebbero i suoi avversari? Bonaccini non si tirerebbe indietro, questo ormai è assodato: ma forse proprio sulle timidezze e i tatticismi delle correnti romane dovrebbe passare con una marcia travolgente, per evitare di rimanerci impantanato. Perché in effetti, dentro il correntone di Base riformista, non tutti sembrano propensi a forzare la mano. E di certo non lo pare Luca Lotti.

 

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Impressioni, certo, piccoli indizi: di questo si sostanziano i sospetti intorno all’attendismo dell’ex braccio destro di Matteo Renzi. Ma che prendono consistenza anche da certe sue dichiarazioni sibilline, da quel suo predicare cautela ai suoi parlamentari più scalpitanti, “ché coi congressi è meglio non scherzare”, che insomma è meglio rimandare tutto al semestre bianco. Figurarsi. Su Bonaccini, poi, meglio rifletterci. Un po’ perché sarebbe un podestà straniero, un candidato affine al sentire di Base riformista e però non organico alla corrente. E un po’ perché pare chiaro che, se fosse Bonaccini a vincere, a quel punto le prospettive di un rientro nella casa madre di Renzi sarebbero concrete (e ieri, a Castrocaro, l’intesa che l’“amico Matteo” e il “fratello Stefano” hanno esibito ha rafforzato questa convinzione). E a chi tanto ha sudato per potersi affrancare dall’ombra renziana, l’idea di ritrovarselo di nuovo davanti non sarebbe entusiasmante. Forse anche per questo, si dice, perfino in Emilia, a casa di Bonaccini, i lottiani starebbero trattando con gli uomini di Zinga per scegliere insieme, e in ostilità al governatore, il prossimo segretario regionale. Pettegolezzi, certo. E poi però ci sono anche le cene estive, appunto, certi ragionamenti attribuiti a volte allo stesso Lotti, altre volte ai suoi suggeritori più fidati: quell’idea, cioè, che a tendere l’agguato a Zinga “non dovremo essere noi”, e anzi “noi dovremo attendere che siano altri, per poi accorrere in soccorso di Nicola e ottenerne riconoscenza”.

 

I pretoriani del segretario, insomma, gli ascari che lo salvano dall’accoltellamento? Chissà. Ma poi, soprattutto: dall’accoltellamento di chi? “E vuoi che Orlando non voglia prendere il posto di Nicola?”, ti rispondono quando provi a capire. Ma in verità, almeno a giudicare dagli ultimi giorni, Orlando sembra più che altro interessato a non inimicarselo, Zinga. Venerdì scorso, quando tutti i capicorrente si sono organizzati per smentire il teorema Bettini (ritornare a Ds e Margherita, con Renzi leader del centro) e stanare il segretario, Orlando s’è reso irreperibile per qualche ora, evitando così di dover firmare quella nota congiunta che nei fatti, rischiava di mettere il capo del Nazareno in minoranza. Cercato da più parti per un parere sulla baruffa intorno al referendum, il vicesegretario s’è schermito: “Su questo è bene che parli il segretario”. Ai pochi che hanno avuto modo di intercettarlo, ha fatto capire di non voler partecipare al rodeo settembrino, e che magari alla fine della fiera, se il Pd manterrà la Puglia, a quel punto Zingaretti ne uscirebbe rafforzato e potrebbe perfino incassare sul governo, con un eventuale rimpasto.

 

Ma Franceschini, che le redini dell’esecutivo le tiene nelle sue mani, e con quelle amministra anche le sue rendite nel corpaccione del partito, sarebbe d’accordo? Ed ecco allora che la danza tribale ricomincia, il gioco degli sguardi ricomincia. Il 20 settembre, in fondo, è vicinissimo.

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