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Zingaretti s’affanna sul correttivo alla tedesca, che però corregge poco

Valerio Valentini

La legge elettorale è un ginepraio. Gli incontri di Delrio con Boschi, le ironie di una parte del Pd e il segretario incagliato

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Roma. La volta scorsa, nel 2016, il refrain era quello del “combinato disposto”, quell’abominevole congiuntura tra il superamento del bicameralismo perfetto e una legge elettorale maggioritaria: roba da deriva autoritaria, da “democratura”, un “vulnus”. E via di appelli, petizioni, stracciarsi di vesti e di capelli. Stavolta il tic lessicale si ripropone, puntuale, sul “correttivo”. E via di appelli, petizioni, stracciarsi di vesti e di capelli. E come sempre accade, essendo fumoso il problema additato, finisce che pure la soluzione proposta sia un poco evanescente. Nicola Zingaretti, infatti, per rassicurare quella pattuglia di deputati e senatori critici sul taglio dei parlamentari, s’è acconciato al gioco delle parti, e ha detto che per votare Sì c’è bisogno che prima venga onorato l’accordo di maggioranza siglato alla nascita del governo giallorosso, che prevede l’approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale. E qui, dovendo prendere sul serio la promessa del segretario, viene da osservare che il correttivo, in verità, correggerebbe ben poco. Nel senso che l’unico risultato che si può ragionevolmente sperare di portare a casa, prima della consultazione del 20 settembre, è l’approvazione del testo base – presumibilmente nella prima decade del mese – del cosiddetto “Germanicum” in commissione Affari costituzionali alla Camera. Dove, stando agli accordi che Graziano Delrio avrebbe stretto con Maria Elena Boschi, e stando soprattutto ai pettegolezzi parlamentari che di questi accordi favoleggiano, Italia viva e Leu “non si opporrebbero”. Significa, cioè, che si asterrebbero, con la prospettiva che la soglia di sbarramento contenuta nel documento, il 5 per cento, verrà poi abbassata in Aula. Il che dà già prova di un correttivo un poco friabile, che verrebbe approvato nell’ottica di essere poi corretto a sua volta (nella palude dei voti segreti, peraltro). Sempreché, comunque, l’aritmetica supporti il patto: perché in commissione, senza i tre voti di Iv e quello di Leu, la maggioranza si ritroverebbe con 22 persone; nel centrodestra sarebbero 19. E nel mezzo i tre rappresentanti, decisivi, del Misto. Di cui due fanno già sapere che a questo gioco non ci stanno. “Io voterò contro a questa forzatura procedurale che aprirebbe la strada a una riforma sbagliata”, dice Riccardo Magi. E come lui farà anche, pare, Alessandro Colucci. Si resterebbe allora aggrappati all’umore di giornata di Renate Gebhard, della Svp.

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Roma. La volta scorsa, nel 2016, il refrain era quello del “combinato disposto”, quell’abominevole congiuntura tra il superamento del bicameralismo perfetto e una legge elettorale maggioritaria: roba da deriva autoritaria, da “democratura”, un “vulnus”. E via di appelli, petizioni, stracciarsi di vesti e di capelli. Stavolta il tic lessicale si ripropone, puntuale, sul “correttivo”. E via di appelli, petizioni, stracciarsi di vesti e di capelli. E come sempre accade, essendo fumoso il problema additato, finisce che pure la soluzione proposta sia un poco evanescente. Nicola Zingaretti, infatti, per rassicurare quella pattuglia di deputati e senatori critici sul taglio dei parlamentari, s’è acconciato al gioco delle parti, e ha detto che per votare Sì c’è bisogno che prima venga onorato l’accordo di maggioranza siglato alla nascita del governo giallorosso, che prevede l’approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale. E qui, dovendo prendere sul serio la promessa del segretario, viene da osservare che il correttivo, in verità, correggerebbe ben poco. Nel senso che l’unico risultato che si può ragionevolmente sperare di portare a casa, prima della consultazione del 20 settembre, è l’approvazione del testo base – presumibilmente nella prima decade del mese – del cosiddetto “Germanicum” in commissione Affari costituzionali alla Camera. Dove, stando agli accordi che Graziano Delrio avrebbe stretto con Maria Elena Boschi, e stando soprattutto ai pettegolezzi parlamentari che di questi accordi favoleggiano, Italia viva e Leu “non si opporrebbero”. Significa, cioè, che si asterrebbero, con la prospettiva che la soglia di sbarramento contenuta nel documento, il 5 per cento, verrà poi abbassata in Aula. Il che dà già prova di un correttivo un poco friabile, che verrebbe approvato nell’ottica di essere poi corretto a sua volta (nella palude dei voti segreti, peraltro). Sempreché, comunque, l’aritmetica supporti il patto: perché in commissione, senza i tre voti di Iv e quello di Leu, la maggioranza si ritroverebbe con 22 persone; nel centrodestra sarebbero 19. E nel mezzo i tre rappresentanti, decisivi, del Misto. Di cui due fanno già sapere che a questo gioco non ci stanno. “Io voterò contro a questa forzatura procedurale che aprirebbe la strada a una riforma sbagliata”, dice Riccardo Magi. E come lui farà anche, pare, Alessandro Colucci. Si resterebbe allora aggrappati all’umore di giornata di Renate Gebhard, della Svp.

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Certo, poi c’è la politica: che è fatta anche di intese indicibili. “Ma è proprio dal punto di vista politico che il correttivo di Zingaretti è debolissimo”, contesta Matteo Orfini, che il suo No alla riforma lo ha già annunciato. “Anche perché il segretario è chiamato non già a garantire a ciascuno la sua libertà di coscienza, ma a determinare una posizione del partito. Per farlo, servirà una direzione, che però avverrà ben prima del famigerato voto in commissione. E dunque al massimo Zingaretti ci porterà, a garanzia del suo accordo, un’intervista di Di Maio o di Renzi”. Renzi, appunto. Davvero rinuncerà a far valere la sua forza d’interdizione, sulla legge elettorale? “Noi ribadiamo che la fretta, su questa materia, è sempre improduttiva”, dice Ettore Rosato. “Specie se con questa legge elettorale si pensa di poter dividere il fronte del centrodestra: perché forzando la mano a una settimana dalle regionali, è evidente che otterremmo semmai l’effetto opposto”. Quello, cioè, di rinsaldare l’asse tra FI e il polo sovranista.

   

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Insomma, se proprio di “correttivi” si deve parlare, forse la legge elettorale non è il tema più rilevante. E infatti lo stesso Delrio, nei giorni scorsi, ha suggerito ai suoi deputati di concentrarsi sul cosiddetto “ddl Fornaro”, il testo ideato dal capogruppo di Leu alla Camera che ridefinisce i collegi senatoriali su base circoscrizionale, e non più regionale, aggirando alcune delle distorsioni che il taglio dei parlamentari causerebbe. E’ un testo agile, condiviso da maggioranza e opposizione senza grosse perplessità. Se proprio bisogna correggere, si potrebbe partire da lì. 

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