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le incognite sulla riapertura

Elogio dei prossimi eroi della pandemia: i presidi

Claudio Cerasa

Archiviare l’epoca dei WhatsApp tra genitori e salvare le scuole dando pieni poteri ai dirigenti, e magari facendo lezioni all’aperto

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Ti svegli la mattina, accendi il computer, navighi qua e là sulla rete, sfogli per un attimo alcuni giornali in giro per il mondo e ti accorgi ancora una volta che in tempi di pandemia i problemi che appaiono essere locali, ah se solo facessimo come gli altri paesi, in realtà altro non sono che complicatissimi e intricatissimi problemi globali. E’ andata così nella fase 1 della pandemia, quando si è pensato che fosse una peculiarità locale e nazionale la presenza nel nostro paese di un elevato numero di medici contagiati, di ospedali infettati e di Rsa decimate (è stato così in tutto il mondo). E sta andando così nella fase 3 della pandemia, quella della convivenza con l’ondata di ritorno del virus, durante la quale più ci si avvicina a una data cruciale, quella del ritorno a scuola, e più si ha l’impressione che quello che sta capitando sul tema della riapertura delle aule – impreparazione, inesperienza e confusione – sia un tratto peculiare del nostro paese.

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Ti svegli la mattina, accendi il computer, navighi qua e là sulla rete, sfogli per un attimo alcuni giornali in giro per il mondo e ti accorgi ancora una volta che in tempi di pandemia i problemi che appaiono essere locali, ah se solo facessimo come gli altri paesi, in realtà altro non sono che complicatissimi e intricatissimi problemi globali. E’ andata così nella fase 1 della pandemia, quando si è pensato che fosse una peculiarità locale e nazionale la presenza nel nostro paese di un elevato numero di medici contagiati, di ospedali infettati e di Rsa decimate (è stato così in tutto il mondo). E sta andando così nella fase 3 della pandemia, quella della convivenza con l’ondata di ritorno del virus, durante la quale più ci si avvicina a una data cruciale, quella del ritorno a scuola, e più si ha l’impressione che quello che sta capitando sul tema della riapertura delle aule – impreparazione, inesperienza e confusione – sia un tratto peculiare del nostro paese.

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Ti svegli la mattina, accendi il computer, navighi qua e là sulla rete e ti accorgi che in realtà non c’è un solo paese in giro per il mondo che sul tema della riapertura delle scuole, pur non avendo gli altri paesi la fortuna di avere un commissario come Domenico Arcuri, non si trovi in una condizione simile a quella in cui si trova l’Italia (dati utili, fonte Unesco: tra il 27 marzo e i primi di aprile del 2020 la chiusura delle scuole ha interessato oltre il 90 per cento degli studenti in tutto il mondo, per un totale di circa 191 paesi coinvolti, e al 24 luglio le chiusure riguardavano circa il 60 per cento degli studenti nel mondo).

 

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In Francia, a sei giorni dalla riapertura delle scuole, l’associazione nazionale dei pediatri rimprovera ancora il governo per non aver deciso cosa fare con le mascherine per gli studenti. In Spagna, l’opposizione rimprovera il governo Sánchez per “aver lasciato che un’intera generazione di bambini venga trattenuta dall’istruzione a causa della mancanza di pianificazione”. In Germania, dove le scuole hanno riaperto in nove dei sedici länder del paese, nel giro di poche settimane sono stati chiusi più di cento istituti. In Israele, che ha scelto di riaprire le scuole prima dell’estate, tra maggio e la fine dell’anno scolastico il ministero dell’Istruzione è stato costretto a chiudere circa 240 scuole. A New York, molti insegnanti, ancora oggi, si chiedono se non abbia senso rinviare di qualche mese la riapertura delle scuole.

 

Fino a oggi, ogni paese, esattamente come l’Italia, ha stilato una lunga serie di indicazioni, prescrizioni e linee guida su come comportarsi a scuola durante la fase 3. Ma ogni paese alla fine, per quanto possa essere ben indirizzato, si trova a fare i conti con una condizione simile a quella in cui si trovano in queste ore i genitori e gli insegnanti italiani: una sensazione un po’ di spaesamento, un po’ di preoccupazione e un po’ semplicemente di panico. E per quanto si possa sperare che vi sia un governo centrale che si prenda in carico la risoluzione dei problemi di ogni scuola, ciascun genitore oggi sa perfettamente che, così come nella fase 1 gli eroi della pandemia sono stati i medici e gli infermieri, nella fase che ci apprestiamo a vivere a partire dalla prossima settimana gli eroi della pandemia sono destinati a essere semplicemente i presidi delle scuole italiane e, pasticcio dei banchi e disorganizzazione complessiva a parte, ha un senso l’idea del governo di valorizzare quanto più possibile l’autonomia dei responsabili delle scuole.

 

Toccherà a loro decidere come rendere la scuola più sicura. Toccherà a loro decidere come riorganizzare le classi. Toccherà a loro decidere come cambiare l’orario delle lezioni. Toccherà a loro decidere quando far entrare e quando far uscire gli studenti dalle scuole. Toccherà a loro decidere che lavori far fare per adeguare le strutture scolastiche. Toccherà a loro interfacciarsi con le Asl, all’interno delle quali vi sarà una persona dedicata al rapporto con le scuole, per decidere cosa fare in caso di alunni o di insegnanti positivi. Toccherà a loro gestire l’epoca delle scuole che si apriranno e si chiuderanno come accade in tutto il mondo in modalità fisarmonica. Toccherà a loro utilizzare al meglio i poteri speciali concessi loro dal governo a giugno, decreto “Liquidità”, con una legge che li tutela offrendogli di fatto già oggi una sorta di scudo penale. Toccherà a loro mettere in pratica, con un po’ di buon senso, un’organizzazione scolastica all’insegna dell’anarchia responsabile. E toccherà a loro infine rimpossessarsi di quella funzione guida, di uomini e donne soli al comando, che nella tragica stagione dell’uno vale uno molti genitori avevano irresponsabilmente provato a annacquare a colpi di isterici gruppi su WhatsApp.

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Toccherà a loro fare tutto questo e toccherà a loro anche promuovere soluzioni fantasiose, per dimostrare che a governare il futuro della scuola e quello dei nostri figli non sarà solo la logica della burocrazia ma sarà anche la logica della creatività. E se si volesse essere creativi, per cominciare, i presidi, insieme con i loro insegnanti, avrebbero una soluzione facile per preparare con gradualità il ritorno a scuola: seguire l’esempio offerto poco dopo il lockdown da una ormai famosa maestra di Prato, Francesca Sivieri, che a giugno, recuperando un’antica tradizione italiana che si andò a sviluppare all’inizio del Novecento per proteggere i bambini dai rischi di contagio della Tbc, fece quello che oggi fanno diverse scuole nel nord Europa e si inventò, scatenando la reazione indignata dei sindacati, alcune letture pomeridiane in un giardino pubblico per provare a dare continuità alla didattica dei bambini. E se i presidi vorranno essere davvero i prossimi eroi della pandemia forse potrebbero partire proprio da qui: ridando letteralmente un po’ di ossigeno alla scuola italiana.

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