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Immunizzarsi dai nuovi cialtro-libertari

Claudio Cerasa

Politici e influencer diano il buon esempio contro quei testoni travestiti da finti difensori della libertà che si oppongono al tracciamento in nome della privacy. Più app scaricate individualmente meno restrizioni di libertà. Parla Speranza

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Testare, tracciare, trattare. Ricordate? All’interno del dibattito pubblico relativo alla gestione della pandemia, c’è stato un tempo in cui la classe dirigente italiana non perdeva occasione per ricordare un concetto semplice e lineare, che grosso modo suonava così: la capacità di ciascun paese di convivere in modo non troppo traumatico con il virus dipende dalla capacità di ciascun paese di rispettare le famose tre “T”. Ovverosia: testare, tracciare, trattare. Sulla prima “T” e sull’ultima “T” il sistema sanitario italiano ha mostrato di essere uno dei più solidi al mondo e almeno su questo fronte il nostro paese non si può dire che si stia avvicinando con approssimazione a quella che promette di essere purtroppo la fase tre: la convivenza con l’ondata di ritorno.

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Testare, tracciare, trattare. Ricordate? All’interno del dibattito pubblico relativo alla gestione della pandemia, c’è stato un tempo in cui la classe dirigente italiana non perdeva occasione per ricordare un concetto semplice e lineare, che grosso modo suonava così: la capacità di ciascun paese di convivere in modo non troppo traumatico con il virus dipende dalla capacità di ciascun paese di rispettare le famose tre “T”. Ovverosia: testare, tracciare, trattare. Sulla prima “T” e sull’ultima “T” il sistema sanitario italiano ha mostrato di essere uno dei più solidi al mondo e almeno su questo fronte il nostro paese non si può dire che si stia avvicinando con approssimazione a quella che promette di essere purtroppo la fase tre: la convivenza con l’ondata di ritorno.

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I test ormai funzionano, sono tanti e sono tutto sommato veloci (circa 70 mila al giorno). Gli ospedali sono decisamente più attrezzati rispetto a qualche mese fa nel trattare le infezioni da Covid-19 (più cure a domicilio, meno ospedalizzazione, più posti letto per i malati, più personale disponibile, più trattamenti mirati per chi finisce in ospedale e di conseguenza anche meno morti). Misteriosamente, invece, c’è una “T” di cui nessuno si occupa più e che riguarda un dossier, per così dire, che fino a qualche mese fa veniva considerato da tutti come “decisivo” per misurare la capacità di un paese di gestire la fase del durante. E quel tema coincide con un verbo rimosso dal dibattito pubblico: tracciare.

 

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Quest’ultima “T” è stata in parte cancellata dal dibattito pubblico nel momento stesso in cui l’Italia ha offerto una soluzione per tracciare i possibili contagiati attraverso uno strumento tecnologico trasformato dal circo mediatico quasi in un sinonimo di barzelletta: Immuni. A cose serve Immuni lo sanno tutti: permette a ogni cittadino dotato di smartphone di sapere se si è stati a contatto, per un tempo superiore ai 15 minuti e a meno di due metri di distanza, con un soggetto poi risultato positivo al coronavirus. L’app ti avvisa con una notifica e poi, attraverso la collaborazione dell’utente, permette all’autorità sanitaria di monitorare l’eventuale trasmissione del virus e consente alla persona potenzialmente contagiata di adottare le misure necessarie per prevenire il possibile contagio con altre persone.

 

Se ogni cittadino avesse Immuni sarebbe più semplice intervenire su un focolaio, sarebbe possibile isolare solo le persone effettivamente contagiose e sarebbe possibile archiviare per sempre, fino alla scoperta del vaccino, ogni modalità di lockdown, con gli ovvi vantaggi che ne ricaverebbe la nostra economia e con gli ovvi vantaggi che ne deriverebbero per la difesa della nostra libertà individuale (meglio chiudere una città o scaricare una app?).

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E invece, complice una assurda campagna libertaria in difesa della privacy che ha preventivamente depotenziato la app, Immuni è stata prima progettata con una tecnologia che non prevede la possibilità di utilizzare lo stesso strumento di geolocalizzazione che permette per esempio a Google Maps o a una qualsiasi app di car sharing di segnalarci dove siamo e dove stiamo andando (Immuni funziona con il Bluetooth).

 

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Poi è stata boicottata da un fronte politico trasversale (Salvini, oltre a rivendicare il non uso della mascherina, si è recentemente vantato in diretta tv di non aver scaricato Immuni) che, in nome di un’altra assurda campagna cialtro-libertaria, che Salvini si contende con Massimo Boldi (l’attore è convinto che “i potenti vogliono terrorizzarci, ci mettono le mascherine per tapparci la bocca”) ha scelto di non promuove l’utilizzo dell’app, per evitare che potesse essere violato un pezzettino della nostra privacy – i cellulari con Immuni conservano in memoria i dati di tutti i cellulari con cui sono entrati in contatto in forma di codici anonimi crittografati e a nessun download corrisponde il nome e cognome dell’utente che lo ha scaricato.

 

Risultato numero uno: al 9 agosto, secondo i dati più recenti raccolti dal ministero della Salute, gli utenti che hanno scaricato l’applicazione sono 4.676.158 di cui 1.326.158 IOS e 3.350.000 Android, circa il 12 per cento della popolazione tra i 14 e i 74 anni, che è considerata la popolazione target dell’app. Al 3 agosto erano stati pari a 4.593.851 (incremento rispetto alla settimana precedente: 82.307). Nella settimana tra il 3 e il 9 agosto, sono stati 10 gli utenti positivi registrati dal sistema e sono state 191 le notifiche di allerta partite (il governo sostiene che grazie a Immuni siano stati fermati due focolai).

 

Dal 13 luglio al 3 agosto le notifiche erano state 132. Dall’attivazione dell’app fino a fine luglio sono stati 62 gli utenti positivi al Covid-19 che hanno trasmesso al sistema le chiavi di sblocco. E alla data del 3 agosto gli utenti attivi hanno questa distribuzione geografica: il 18,4 per cento si trova in Lombardia, l’11,4 per cento si trova nel Lazio, il 10,5 per cento si trova in Emilia-Romagna, l’8,75 per cento si trova in Veneto (che intanto ha lanciato in regione una app alternativa a Immuni: meglio averne due che non averne nessuna); il 7,75 si trova in Toscana; il 7,07 si trova in Piemonte; il resto delle regioni si trova tra il 6 per cento della Campania e lo 0,18 della Val d’Aosta. Uno su dieci non è poco ma non è quello che il governo si aspettava (persino il commissario straordinario Domenico Arcuri è stato costretto ad ammettere che Immuni “non ha raggiunto il target immaginato”). 

 

Risultato numero due: abbiamo consentito di far fare a Immuni la metà delle cose che consentiamo di fare con i nostri dati a Facebook e Google; e abbiamo scelto di combattere una battaglia in difesa della nostra libertà ignorando il fatto che la difesa di questa libertà può creare le condizioni, un domani, per perdere in modo traumatico spicchi più importanti della nostra libertà. Risultato numero tre: l’Italia si ritrova a un passo dalla seconda possibile e forse inevitabile ondata con un sistema sanitario forte (e che speriamo il governo faccia diventare ancora più forte prendendo a prestito i soldi dal Mes), con un sistema di test competitivo (l’Italia nel mondo è uno dei paesi che fa più tamponi al giorno) ma con un sistema di tracciamento tecnologico che viene snobbato dalla politica e dai cittadini e che pure potrebbe aiutare molto a gestire in modo meno traumatico la fase della convivenza con l’ondata di ritorno.

 

Il ministro Roberto Speranza, conversando con il Foglio, dice che a “a breve partirà una nuova campagna di comunicazione per invitare i cittadini a scaricare Immuni”, ammette che non c’è dubbio che l’Italia “sarebbe ancora più forte nel contrasto del virus con un numero ancora maggiore di app scaricate” e trova profondamente “sbagliato far politica su una app”.

 

 

Ci sarebbe da augurarsi che tutti i leader politici dessero il buon esempio invitando i cittadini a scaricare la app (più app scaricate individualmente uguale meno restrizioni generali di libertà nel futuro). Ci sarebbe da augurarsi che i così detti influencer del nostro paese (forza Ferragni!) promuovessero l’utilizzo della app così come successo negli ultimi giorni in Spagna dove una app simile a Immuni è stata consigliata da diverse star del cinema. E ci sarebbe da augurarsi infine che i comuni italiani (toc toc, Anci) prendessero una decisione simile a quella presa dall’amministrazione di Capri, che la scorsa settimana ha approvato, insieme agli storici rivali di Anacapri, una delibera per la promozione e la pubblicizzazione di Immuni.

 

Immuni non aiuterà a risolvere tutti i problemi generati dalla diffusione del coronavirus (anche se, come ha scritto qualche giorno fa il Comitato tecnico scientifico, sarebbe assolutamente opportuno, rispetto al ritorno in classe, l’utilizzo di Immuni “da parte di tutti gli studenti ultraquattordicenni, di tutto il personale scolastico docente e non docente, di tutti i genitori degli alunni”) ma solo il cretinismo collettivo veicolato dai finti difensori della libertà, i nostri cari e amati cialtro-libertari, può far finta di nulla di fronte a un’equazione che più ovvia non si può: più app scaricate individualmente uguale meno restrizioni generali di libertà nel futuro. Ricordate? Testare, tracciare, trattare. Tre “T” fondamentali per proteggersi da un’altra “T” che minaccia l’Italia: quella dei Testoni travestiti da finti difensori della libertà.

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