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Toscana, anno zero

David Allegranti

Salvini ha imparato dall'Emilia-Romagna, e prova a non spaventare i moderati. Nel Pd le correnti si contano e si scontrano. L'incognita delle periferie, la regione in bilico su 40 mila voti. Indagine sulla elezioni toscane

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La Toscana non è l’Emilia-Romagna, dove a inizio anno – praticamente un secolo fa – il centrosinistra sardinizzato riuscì a respingere i barconi leghisti lanciando l’allarme sovranista. Manca quella tensione, politica e sociale – anestetizzata da una campagna elettorale agostana nel mezzo della ripresa dell’emergenza sanitaria – che ha caratterizzato le elezioni regionali emiliano-romagnole, polarizzate dalle Sardine e dallo stesso Matteo Salvini. 

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La Toscana non è l’Emilia-Romagna, dove a inizio anno – praticamente un secolo fa – il centrosinistra sardinizzato riuscì a respingere i barconi leghisti lanciando l’allarme sovranista. Manca quella tensione, politica e sociale – anestetizzata da una campagna elettorale agostana nel mezzo della ripresa dell’emergenza sanitaria – che ha caratterizzato le elezioni regionali emiliano-romagnole, polarizzate dalle Sardine e dallo stesso Matteo Salvini. 

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“In Emilia-Romagna il Pd ha vinto grazie al pericolo dei barbari, con l’effetto Sardine, l’effetto Bonaccini e il fatto che due terzi degli elettori Cinque stelle delle Europee del 2019 hanno votato per il centrosinistra. Senza questi tre tasselli, anche la Regione sarebbe stata verde, oltre ai territori in cui già la Lega governa”, dice al Foglio Marco Valbruzzi, coordinatore dell’Istituto Cattaneo: “Pensare dunque che il centrosinistra abbia la strada spianata in Toscana perché non ci sono queste condizioni potrebbe essere fatale. Anzi, proprio perché non ci sono quelle condizioni, il rischio è maggiore”. D’altronde, basta vedere i dati delle ultime elezioni europee per capire di cosa stiamo parlando, dice Valbruzzi: “In termini assoluti, il centrodestra ha 790 mila voti, il centrosinistra 750 mila voti. Eugenio Giani ha 40 mila voti da recuperare, mentre Susanna Ceccardi deve conservare quelli che Salvini ha guadagnato alle Europee. Un lavoro che non è riuscito a Lucia Borgonzoni in Emilia-Romagna”. C’è poi un’altra differenza con l’Emilia-Romagna, la legge elettorale. In Toscana c’è il doppio turno con la soglia del 40 per cento da superare: “I Cinque stelle in Emilia-Romagna”, dice Valbruzzi, “hanno avuto paura di perdere tutto subito e quindi anche i duri e puri che avevano votato per il M5s alle Europee hanno fatto inversione a U convergendo su Bonaccini. In Toscana invece, con un eventuale secondo turno, potrebbero non avere paura e vedere come va intanto al primo. Non c’è insomma la pressione del M5s di andare a votare subito Giani”. 

 

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In più c’è da capire come è stata ribaltata l’agenda pubblica dal coronavirus: “Quella tradizionale era costituita essenzialmente da situazione economica (lavoro e disoccupazione) e immigrazione. Non sappiamo quanto la pandemia abbia rivoluzionato l’ordine d’importanza dei temi: magari una voce che prima era meno importante oggi è diventata una nuova priorità. Questo spiegherebbe peraltro le difficoltà di Salvini a livello nazionale. L’agenda è saltata, non c’è più la paura dell’immigrazione e Salvini fa fatica a mettersi in sintonia con la nuova agenda. Non sappiamo però se questo varrà anche per gli elettorati regionali”. 

 

Il filosofo Marcello Pera, che è lucchese e tifa Ceccardi, è convinto: “Penso che andrà meglio che in Emilia-Romagna”, dice al Foglio. “Se non altro perché qui, a parte qualche iniziale sbandata sul guinzaglio e l’antifascismo, la campagna elettorale mi pare più concentrata su temi toscani e su quello che c’è da dire. Specialmente per noi gente di periferia. La Toscana di Enrico Rossi era Firenze e qualche elemosina per gli amici. Ceccardi invece insiste sulle periferie di Firenze, non considera la Toscana tutta fiorentino-centrica. Un tema giusto da campagna elettorale, non ideologico. Intanto, comunque, mi pare già una gran vittoria sapere che non ci sarà Rossi, che si descrive come l’ultimo comunista d’Italia”. Per Pera la campagna elettorale del centrodestra, a differenza dell’Emilia-Romagna, è finalmente incentrata sui temi: “Si parla di trasporti, cosa che per noi lucchesi è fondamentale visto che abbiamo ancora la ferrovia a una rotaia. Si parla di aeroporto in altri termini, non si parla più solo di Firenze. Ceccardi dice che Pisa è lo scalo numero uno e ha ragione. Abbiamo un aeroporto intercontinentale, perché farne uno in un campo di grano sull’autostrada? Firenze-Pisa-Lucca dovrebbe essere a distanza di 15 minuti di metropolitana. Gliel’ho detto a Salvini: insistete su questi temi. Per arrivare a Firenze i lucchesi ci mettono oltre un’ora di treno, invece dovrebbe essere un volo d’uccello. Ecco, se la campagna elettorale resta in questi termini, dove la politica nazionale c’è entrata poco, evidentemente per scelta di Salvini, mi pare che ci sia da combattere. La Toscana è contendibile e la vorrei tanto anche contesa”. C’è però un altro aspetto, osserva Zeffiro Ciuffoletti, storico e scrittore prolifico, da tenere in considerazione. Non c’è, è vero, quella tensione emiliano-romagnola che ha permesso a Bonaccini di lanciare l’allarme contro gli unni leghisti ma “non c’è neanche nessuna emozione, non c’è nessun brivido. L’apatia della politica è la cosa più evidente. Eugenio Giani rischia di vincere per desistenza dell’elettorato, non degli avversari, attenzione, che pure avrebbero argomenti. L’elettorato non crede più in niente, nemmeno nel cambiamento”. L’Umbria, dove la Lega ha vinto, spiega Ciuffoletti, “era un’altra storia, perché è un mondo piccolo e concentrato. Gli umbri hanno vissuto le questioni dell’immigrazione e della corruzione in maniera differente. Lì la Lega non aveva trovato un elettorato trasversale in fase apatica”. Insomma, “gli argomenti per l’opposizione ci sono. Ma in una fase di apatia l’elettorato sfiduciato, impaurito e coviddizzato si affida all’usato sicuro. Non è il momento per le avventure”. È pur vero però, come ha spiegato al Foglio qualche mese fa Giani, candidato di centrosinistra sostenuto da ben sei liste (necessarie per superare il 40 per cento ed evitare così il ballottaggio), che “il modello della Toscana felix, fondato su un tessuto sociale di volontariato, di organizzazione economica costruita dalla cooperazione e dal sindacato, un modello insomma che dava alla sinistra in Toscana come nelle altre regioni rosse un consenso per governare sempre e comunque si è fortemente attenuato. La Regione è diventata contendibile. A differenza di altre regioni rosse però è rimasta una buona classe amministrativa, alla guida di comuni e società dei servizi”. 

 


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Foto Ansa


 

La contendibilità della Regione è concreta e testimoniata da fatti di cronaca politica che negli anni si sono stratificati. Giani sembra esserne consapevole (se lo sia anche il Pd è un’altra storia) e Ciuffoletti non lo nega, anzi cita tutta una serie di questioni su cui il centrodestra può incalzare gli avversari. A partire dai trasporti e dalle infrastrutture, già menzionati da Pera, in una regione rimasta ferma a decenni fa. Non a caso Susanna Ceccardi, europarlamentare leghista ed ex sindaca di Cascina, alla Versiliana domenica scorsa ha parlato della carenza di infrastrutture come uno dei punti dolenti dell’amministrazione di centrosinistra. Dall’autostrada Tirrenica alle linee ferroviarie regionali che mancano (provate ad andare da Firenze a Siena in treno: ci vuole più tempo che a viaggiare da Firenze a Roma). 

 

D’altronde, le vittorie del centrodestra alle amministrative del 2018 (Pisa, Siena, Massa) sono lì a testimoniare che la bella epoca del progressismo toscano è finita da un pezzo. Anche perché non sono arrivate per caso e il centrodestra governava già altre città, come Pistoia, Arezzo e Grosseto. Il centrosinistra può invece ancora puntare su Firenze e la sua provincia. Lo aveva riconosciuto parlando con il Foglio qualche settimana fa anche Achille Totaro, deputato di Fratelli d’Italia, fiorentino, che ha cercato di spiegare alla coalizione perché avere una candidata pisana che insiste molto su Pisa è un rischio per chi vuole governare la Toscana. Va detto però che Ceccardi sta cercando di de-pisanizzarsi, a partire persino dalla cadenza che ad ascoltarla nei suoi interventi pubblici adesso sembra sparita o comunque fortemente attenuata, e di regionalizzare la sua campagna elettorale. Firenze, tuttavia, in termini numerici, sarà fondamentale. 

 

“Negli anni Settanta e Ottanta, in Toscana la provincia votava a sinistra e il pentapartito era più forte nelle città, a parte Livorno e Siena. Ora è tutto cambiato”, dice al Foglio Massimo Mattei, candidato consigliere regionale per il Pd nel collegio di Firenze 1, che copre tutto il territorio comunale. “Non soltanto il centrosinistra è spudoratamente più forte nelle città che nella provincia ma essendo rimaste al centrosinistra fondamentalmente tre grandi città – Firenze, Prato e Livorno – abbiamo un margine del 2-3 per cento”, dice ancora Mattei, che è vicino a Luca Lotti: “Per fortuna che la Grande Firenze comprende comuni come Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Calenzano, dove si vota ancora a sinistra. Senza il vantaggio di Firenze e provincia, il centrosinistra sarebbe minoranza”. Le liste elettorali complessivamente - centrodestra, centrosinistra non fa differenza - non offrono grandi emozioni, per usare il lessico ciuffolettiano. Il collegio di Firenze è quello più divertente, perché nel centrosinistra si assiste anzitutto al duello interno al Pd fra Dario Nardella e Luca Lotti, mentre nel centrodestra si riaffaccia Giovanni Galli, candidato con la Lega, che nel 2009 mandò Matteo Renzi al ballottaggio. Il sindaco Nardella ha provato a candidare tre suoi assessori alle elezioni regionali, alla fine è riuscito a piazzarne solo due, tra cui il vicesindaco Cristina Giachi. Per Nardella è un modo per testare anche gli umori del popolo fiorentino sulla giunta dopo un difficilissimo lockdown. Mattei, dunque Lotti, si confronterà con loro ma anche con gli alleati di Italia Viva, di cui il Pd un tempo era consanguineo. Ma ci sarà anche un ulteriore scontro nello scontro, quello con Iacopo Melio, candidato dagli zingarettiani, segnatamente Marco Furfaro e il vicesegretario regionale Valerio Fabiani, che sperano di poter dimostrare la fragilità dell’eredità renziana. Ma mentre i candidati al consiglio regionale fanno campagna per accaparrarsi le preferenze, il Pd fiorentino è andato in vacanza. A luglio, durante una riunione dei circoli fiorentini, è stato dato appuntamento ai primi di settembre perché tanto “prima non c’è nessuno”.

 

Eppure, dice al Foglio Emiliano Fossi, sindaco di Campi Bisenzio, comune della provincia fiorentina che fa oltre 47 mila abitanti, “ci sono le condizioni per vincere, ma faremmo un grande errore se dessimo per scontata la vittoria. Anche perché vorrebbe dire che ci siamo scordati velocemente qual era la situazione fino a due anni fa. In Toscana venivamo da una serie di turni amministrativi dove avevamo perduto tutto o quasi tutto. Io mi ricordo ancora l’ultimo turno davvero tragico, di due anni fa, dove andammo alle elezioni amministrative e perdemmo ovunque. Campi fu l’unico comune di una certa dimensione dove riuscimmo a vincere. Poi è arrivato il turno amministrativo dell’anno scorso, dove gran parte dei comuni li abbiamo riconquistati e all’interno di questa partita è stata decisiva la vittoria nei comuni della città metropolitana fiorentina, che è lo zoccolo duro del nostro consenso che si mantiene per vari motivi. Ma bisogna stare attenti ad accontentarci del fatto che siamo forti a Firenze e provincia e ci basta quello. Non dobbiamo fare neanche questo errore”. Lo dice anche Lorenzo Falchi, sindaco di Sesto Fiorentino (quasi 50 mila abitanti), che nel 2016 vinse con una coalizione di sinistra battendo il Pd e che oggi sostiene Giani: “Se la guardi solo da un punto di vista numerico è vero, ma bisogna considerare che negli ultimi anni si è sempre più ridotta l’area ‘rossa’ fuori da Firenze”. Insomma, spiega Falchi al Foglio, “dubito che basti vincere a Firenze e Prato se poi perdi ovunque. Anche perché non sono vittorie schiaccianti e con grandi scarti, come si vede dai dati delle europee dell’anno scorso”. Nel 2019 in Toscana alle Europee il Pd ha preso il 33,3 per cento pari a 622.934 voti, nel 2014 aveva preso il 56,3 per cento pari a 1 milione e 69.179 voti. La Lega da sola ha preso il 31,5 per cento e il centrodestra nel complesso (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) ha preso il 42,2 per cento. Ceccardi insomma non parte da zero, anzi, e potrebbe anche far meglio di Altero Matteoli, che nel 2000 ottenne il miglior risultato elettorale del centrodestra toscano con il 40 per cento. In più attorno ha un gruppo dirigente di sindaci determinati, come il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi (di Fratelli d’Italia), quello di Arezzo Alessandro Ghinelli e quello di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna. Resta da capire però se avere i voti dei moderati, all’inizio spaventati dai toni leghisti. “Questa era una riflessione legittima ed è stata posta, ma lo è stata fino al momento della definizione delle candidature a presidente nelle regioni che vanno al voto a settembre, Toscana compresa”, dice al Foglio il vicecapogruppo di Forza Italia alla Camera e coordinatore toscano Stefano Mugnai: “Adesso i moderati toscani sono impegnati a realizzare il sogno di una democrazia compiuta e matura anche in Toscana. Il sogno di una democrazia dell’alternanza. E devo dire che in queste settimane Ceccardi sta interpretando molto bene questa esigenza. Questa volta il centrodestra toscano non corre solo per fare un buon risultato, questa volta si corre per vincere”.

 

Non è l’emergenza sanitaria a dare un vantaggio al centrodestra, visto che i sondaggi premiano la gestione della Regione guidata da Enrico Rossi. Secondo una rilevazione di Swg, il 75 per cento degli intervistati valuta in modo positivo il modo in cui Rossi ha gestito l’emergenza Covid. Semmai il punto è la fine del modello della “Toscana felix” citato da Giani. Non da ora ma da tempo. L’emergenza sanitaria ha contribuito a peggiorare le cose, come testimoniano le ricerche dell’Irpet un rapporto sulla situazione economica, il lavoro e le disuguaglianze in Toscana ai tempi del Covid 19, secondo cui nel 2020 il Pil della Toscana avrà una flessione dell’11 per cento. A questo quadro si aggiunge la sofferenza di singole città che per vocazione turistica hanno subito il colpo più di altre. Come Firenze, che da qualche giorno ha visto ritornare i turisti, anche se l’Enit, agenzia nazionale del turismo, calcola un -63,9 per cento di arrivi internazionali per il 2020. Il riaggravarsi dell’emergenza sanitaria inciderebbe ulteriormente sul contesto socio-economico già provato dalla prima ondata del virus. Il centrodestra toscano su questo sembra aver già aggiustato i toni della campagna elettorale negli ultimi giorni. D’altronde, qui il terreno è più fertile per gli avversari. Secondo il sondaggio Swg citato in precedenza, che premia l’amministrazione regionale sulla gestione dell’emergenza ma anche sugli ospedali e il sistema sanitario, il voto medio dei toscani sull’operato della Regione riguardo a lavoro e difesa dell’occupazione è insufficiente (5,9), con il 34 per cento dei toscani che dà un giudizio negativo o molto negativo. Stesso discorso per l’accoglienza e la gestione dei migranti, all’ultimo posto con il voto medio di 5,8, con il 32 per cento degli intervistati che dà un giudizio negativo o molto negativo. Gli ultimi anni non sono stati facili per la Toscana, a differenza dell’Emilia-Romagna. Bisogna capire naturalmente se l’agenda delle priorità è stata stravolta dal coronavirus. Intanto l’economia toscana non va bene come quella emiliano-romagnola. L’attività economica in Toscana nella prima parte del 2019 già era rimasta debole, come certifica anche un recente studio della Banca d’Italia sulle economie regionali pubblicato nel novembre 2019. A ottobre dell’anno scorso, il terzo Focus Ires sull’economia toscana presentato dalla Cgil prevedeva il tasso di crescita regionale del pil toscano allo zero per cento per il 2019 contro il più 0,9 per cento del 2018. Secondo lo studio, nel 2020 e 2021, la crescita dell’economia regionale dovrebbe assestarsi rispettivamente su valori di più 0,4 per cento e più 0,6 per cento. Le ragioni economiche da sole non bastano a spiegare le numerose vittorie del centrodestra in Toscana negli ultimi anni. Ci sono anche questioni politiche. Le vittorie di Pisa e Siena si spiegano anche con la crisi del sistema di potere e con le divisioni a sinistra. 

  

Resta da capire: ma Giani, socialista liberale di origine, piacerà a tutti? Perché Ceccardi avrà pure il problema di farsi votare dai moderati, ma Giani dovrà convincere il popolo della sinistra: “In Toscana c’è un grande deposito di cattocomunismo, malattia senile del comunismo, ma non mi pare più una rendita”, dice Pera. “In più Giani non è un cattocomunista, non ne ha la cultura: è un socialista che si è riparato, vicino a Valdo Spini. Vedo anche molte divisioni fra zingarettiani e gli altri, qui a Lucca è un disastro, c’è stata una guerra incredibile sulle candidature”. Marco Remaschi, assessore regionale del Pd, lucchese, è uscito dal Pd e stava per candidarsi con Demos, formazione post-centrista creata da Mario Giro, sempre nelle liste del Pd. Alla fine è saltato tutto, venerdì scorso, dopo un intervento del segretario del Pd Zingaretti che in puro zingarettese ha attaccato i “personalismi” del centrosinistra. “Mi sembra che il contesto stia politicamente cambiando”, dice ancora Pera. “Certo, ci sono sempre ancora zone franche inerziali, dove si vota a prescindere, ma vedo un altro clima. E nel centrodestra si parla meno di Salvini e più di Ceccardi. In Emilia-Romagna, Borgonzoni parlava poco ed era sempre un passo indietro. Qui invece, per scelta di Salvini, che deve aver capito, si parla più delle cose che vanno e di quelle che non vanno piuttosto che di politica nazionale. Comunque sia, per la prima volta c’è un passaggio dalla classe dirigente del Pci e lapiriana a qualcun altro. Giani non è né lapiriano né Pci. Farlo digerire a tanti ex Pci non sarà facile”.

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