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Il vero congresso del Pd saranno le regionali

Carmelo Caruso

"A tesi", "straordinario". La discussione intorno alla natura e alle procedure nascondono l'altro congresso. Le faide in Liguria, Veneto, Puglia, Campania, per pesarsi e contare

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Che ne pensa: facciamo un bel congresso del Pd? “E’ una formidabile acrobazia per farsi male, una di quelle fantastiche idee agostane di cui è piena la storia della sinistra, e lo dice uno che è di sinistra”. E Ugo Sposetti racconta, lui che ne ha organizzati e visti molti nel Pci e nei Ds (“Prima e dopo la svolta. A Bologna io c’ero”), che i congressi sono qualcosa di davvero serio e che “richiedono sei mesi di preparazione per mobilitare gli iscritti. Ma vi sembra questo il momento e il modo per ragionarci?”. Nel Pd, non solo se ne parla, ma lo si invoca. E Sposetti spiega che si fa presto a dire congresso, che è sempre la pillola del malpancista, ma che poi bisogna mettersi d’accordo su quale tipo di congresso. Nessuno può infatti competere con il campionario di sinistra. Esiste il congresso per scegliere il segretario (che poi sarebbe quello autentico), ma è previsto anche il “congresso post trauma” (ricordare Walter Veltroni), “il congresso momento di riflessione” che si era immaginato Nicola Zingaretti, ma prima della pandemia. E tra i nuovissimi prodotti c’è “il congresso a tesi”.

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Che ne pensa: facciamo un bel congresso del Pd? “E’ una formidabile acrobazia per farsi male, una di quelle fantastiche idee agostane di cui è piena la storia della sinistra, e lo dice uno che è di sinistra”. E Ugo Sposetti racconta, lui che ne ha organizzati e visti molti nel Pci e nei Ds (“Prima e dopo la svolta. A Bologna io c’ero”), che i congressi sono qualcosa di davvero serio e che “richiedono sei mesi di preparazione per mobilitare gli iscritti. Ma vi sembra questo il momento e il modo per ragionarci?”. Nel Pd, non solo se ne parla, ma lo si invoca. E Sposetti spiega che si fa presto a dire congresso, che è sempre la pillola del malpancista, ma che poi bisogna mettersi d’accordo su quale tipo di congresso. Nessuno può infatti competere con il campionario di sinistra. Esiste il congresso per scegliere il segretario (che poi sarebbe quello autentico), ma è previsto anche il “congresso post trauma” (ricordare Walter Veltroni), “il congresso momento di riflessione” che si era immaginato Nicola Zingaretti, ma prima della pandemia. E tra i nuovissimi prodotti c’è “il congresso a tesi”.

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Non date la colpa a chi oggi lo propone, vale a dire Dario Nardella, Giorgio Gori, e Andrea Marcucci. Il prototipo è stato progettato dall’ufficio design del Nazareno. I “dottori” dello statuto democratico la chiamano “proposizione” e non è altro che una postilla che ha introdotto questa possibilità (articolo 12, sotto comma uno, del comma uno che si compone di otto punti) e che, per farla breve, serve a cambiare la linea politica senza però cambiare segretario. Salvatore Vassallo, professore di Scienze politiche a Bologna e che lo statuto originario del Pd ha contribuito a redigerlo, non nasconde una certa difficoltà nell’interpretare questo arabesco democratico: “Mi sembra una formula poco comprensibile. Cosa vuol dire?”.

 

L’importante pecetta è stata aggiunta il 17 novembre del 2019 durante l’assemblea di Bologna e anche i parlamentari dem la definiscono il “passaporto del vago”, perché “un congresso a tesi non è un congresso mentre un cattivo risultato alle prossime regionali è un valido motivo per andare a congresso”. Significa che si dovrebbe dimettere anticipatamente il segretario e aprire di fatto una crisi interna. “Rifacendosi allo statuto, il mandato di Zingaretti scade nel 2023. Non mi sembra che sia all’ordine del giorno. Nulla vieta di anticiparlo, ma è una decisione che spetta al gruppo dirigente”, puntualizza Walter Verini, neo tesoriere del Pd, un altro che conosce i tormenti di questi passaggi e a che a tutti ricorda la vecchia procedura, la presentazione di un testo che “non dico deve essere un saggio, ma almeno stare a metà tra un tomo di rinascita e la semplicità di un tweet”. Un po’ come quello che ha spedito il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, al Foglio? Per Verini quello è certamente un esempio. “E però mi permetto, senza enfasi, di ricordare che è merito del segretario se siamo sopravvissuti alle macerie del 2018. Il presentismo ci fa perdere, a volte, la memoria. Io consiglio di aspettare”.

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Del resto chi lo dice che la corrente di Guerini voglia il congresso anticipato? Carmelo Miceli, che è responsabile sicurezza in segreteria, non vede contraddizione: “Parlare di congresso è adesso politicamente sbagliato e tempestivamente inopportuno. Chiediamo invece una caratterizzazione riformista ma la chiediamo al segretario, non vogliamo sostituire il segretario”. Si vuole provare a dire che nei partiti seri non si fa alla Rousseau, plebisciti e blitz, questionari Casaleggio, ma si attendono i risultati delle elezioni regionali che in realtà sono un congresso senza la fatica di chiedere il congresso.

 

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In Liguria, ad esempio, tutta l’area che fa riferimento a Claudio Burlando è pronta a rimproverare, ad Andrea Orlando, l’accordo con il M5s e con quel Ferruccio Sansa che tanto male ha scritto di loro. Monica Giuliano, donna di sinistra e sindaca di Vado Ligure, è arrivata al punto da appoggiare Giovanni Toti. A Genova confidano che pure Roberta Pinotti abbia manifestato perplessità su Sansa.

 

Ed è un piccolo congresso in miniatura anche quello del Veneto, dove Giacomo Possamai, riformista, già capogruppo del Pd a Vicenza e oggi candidato in consiglio regionale, si misura con la zingarettiana Chiara Luisetto, segretario provinciale di Vicenza. Nella vicinissima Venezia, Pierpaolo Baretta, sottosegretario all’economia e franceschiniano, ha annunciato che correrà per fare il sindaco. L’altra anima di partito avrebbe preferito il rettore della Ca’ Foscari, Michele Bugliesi, che si è ritirato gentilmente perché “grandissima era la confusione sotto il cielo”. Vince chi può rimproverare al suo compagno la sconfitta (comune).

 

E così accade in Campania, dove il segretario del Pd napoletano, l’orlandiano Marco Sarraccino, si oppone, e pubblicamente, a Vincenzo De Luca e alle sue liste che sono definite “liste a strascico” nel senso che c’è di tutto. In Puglia pesa il fattore E, e si intende Emiliano. Fabiano Amati, che lo ha sfidato alle primarie, sarà il primo a chiedere il conto (qualora andasse male) dell’anomalia Emiliano che a volte si presenta come uomo Pd e altre volte solo come Emiliano, magistrato in contrasto con il Pd.

 

C’è bisogno allora di un congresso? Sposetti dice che, a sinistra, la parola congresso è purtroppo diventata “una di quelle parole automatiche”, lo sbuffo dei senza posto che vogliono sempre mettere il mondo sottosopra. E insomma, pensa che sia un concetto bellissimo ma che andrebbe usato con parsimonia per non rischiare “il ridicolo di fronte agli elettori”. Ma anche questa è una tesi ... da congresso.

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