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Il grande balzo in avanti è possibile

Claudio Cerasa

Maurizio Stirpe, numero due di Confindustria, prende sul serio l’invito di Draghi per la “costruzione del futuro”. Serve il contributo di imprese e sindacati. Rilanciare il Jobs Act, migliorare i contratti, pensare ai giovani e non solo ai tutelati

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La crescita e il lavoro. I contagi e le paure. Il virus e l’Europa. L’Italia e quell’occasione per ripartire. La questione in fondo è tutta qui: ma come si fa ad accelerare il futuro? E soprattutto: se è vero che i soggetti che più degli altri negli ultimi anni sono riusciti ad accelerare il futuro hanno il volto degli imprenditori (vedi alla voce export) cosa è lecito aspettarsi dalle nostre imprese per provare a velocizzare la modernizzazione italiana? E in che modo i nostri industriali potranno far tesoro di un invito che due giorni fa, al Meeting di Rimini, Mario Draghi in fondo ha rivolto anche a loro? “La costruzione del futuro – ha detto l’ex presidente della Bce – non può che vedere coinvolta tutta la società, che deve riconoscersi nelle scelte fatte perché non siano in futuro facilmente reversibili. Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche”.

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La crescita e il lavoro. I contagi e le paure. Il virus e l’Europa. L’Italia e quell’occasione per ripartire. La questione in fondo è tutta qui: ma come si fa ad accelerare il futuro? E soprattutto: se è vero che i soggetti che più degli altri negli ultimi anni sono riusciti ad accelerare il futuro hanno il volto degli imprenditori (vedi alla voce export) cosa è lecito aspettarsi dalle nostre imprese per provare a velocizzare la modernizzazione italiana? E in che modo i nostri industriali potranno far tesoro di un invito che due giorni fa, al Meeting di Rimini, Mario Draghi in fondo ha rivolto anche a loro? “La costruzione del futuro – ha detto l’ex presidente della Bce – non può che vedere coinvolta tutta la società, che deve riconoscersi nelle scelte fatte perché non siano in futuro facilmente reversibili. Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche”.

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Già, ma come? E cosa possono fare concretamente gli imprenditori italiani per entrare con entrambi i piedi nella stagione delle nuove responsabilità? Maurizio Stirpe è un imprenditore italiano, opera con successo nel settore della progettazione e realizzazione di componenti in plastica per l’industria degli autoveicoli e dei motoveicoli, possiede numerosi stabilimenti in Italia e all’estero, è presidente del Frosinone calcio (squadra che sta giocando i playoff per provare a tornare in serie A) e oggi è il numero due di Carlo Bonomi, in Confindustria, dopo esserlo stato anche di Vincenzo Boccia, nei quattro anni precedenti. Stirpe ha la delega al Lavoro e alle Relazioni industriali e dispensando idee su questi temi propone un punto di vista coraggioso, che si aggancia bene all’invito al coraggio arrivato due giorni fa da Mario Draghi: “Per fare andare avanti l’Italia, i sindacati non possono limitarsi a chiedere qualcosa al governo. Hanno il dovere di cambiare e di dare il buon esempio”.

 

Stirpe sostiene che sia arrivato il momento di superare alcune vecchie liturgie e con onestà sostiene che il buon esempio per il futuro vada dato non solo da chi rappresenta i lavoratori ma anche da chi rappresenta gli imprenditori: “Le imprese italiane, che sono certo aiuteranno il paese a rialzarsi con più vigore di quanto oggi si possa credere, hanno il dovere di raccogliere la sfida lanciata mesi fa dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e di ragionare su un trattamento economico minimo per tutti, fatto però con una logica concreta e produttiva e non demagogica.

 

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In altre parole: una media dei trattamenti economici minimi dei contratti migliori che ci sono in circolazione, per fissare i minimi al di sotto dei quali non si può scendere, lasciando poi ai salari la possibilità di aumentare solo in funzione della crescita della produttività e di quella relativa al benessere del singolo settore produttivo e di quella relativa all’azienda stessa. Le imprese e i sindacati possono aprire una nuova stagione, contrastando con forza il modello di contratto in dumping, dimostrando, tra l’altro, che le rivoluzioni del settore passano dalle imprese prima che dalla politica”.

 

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Il ragionamento di Stirpe arriva poi a toccare altri punti importanti, che riguardano da un lato un rischio concreto che corre il paese nei prossimi mesi (la rimozione del Jobs Act con la reintroduzione dell’articolo 18) e dall’altro la necessità da parte dello stato di non dimenticare mai di difendere con tutta la forza possibile l’articolo 41 della Costituzione, quello che recita “L’iniziativa economica privata è libera”. Dice Stirpe: “Lo schema del Jobs Act, decontribuzione a parte, ha funzionato anche perché lo stato ha mostrato di fidarsi dei suoi imprenditori e sono convinto che la classe dirigente italiana, almeno per quanto riguarda la politica, è meno sprovveduta di quel che si crede e sa perfettamente che per sostenere il lavoro e per scommettere sulla crescita il Jobs Act non lo deve abbattere ma lo deve difendere e semmai rafforzare”.

 

Il riferimento ha a che fare con la necessità da parte della politica di creare un sistema di ammortizzatori sociali orientato non solo a proteggere chi ha già le tutele, ma anche chi quelle tutele non ce le ha (ha scritto con intelligenza su Twitter due giorni fa Dario Di Vico che “se un ventesimo dello spazio che giornali e tv hanno speso per i furbetti del bonus fosse stato dedicato a raccontare la condizione professionale e retributiva delle partite Iva” avremmo di fronte a noi un paese con più anticorpi per combattere il populismo sindacale).

 

E in questo senso, ciò che oggi manca, nota Stirpe, è avere un sindacato non ancorato agli schemi ideologici del Novecento. “E’ l’ora di una grande rivoluzione sia all’interno dei sindacati sia nel rapporto tra i sindacati. E’ ora di ribadire che l’innovazione non deve farci paura ma deve guidarci nella modernizzazione del paese. E più un paese è moderno, più quel paese può creare lavoro. Ma oltre a questo bisogna anche aggiungere un passaggio ulteriore: le politiche attive del lavoro devono tornare a essere il centro della politica. E per farlo è necessario recuperare lo spirito del Jobs Act legando una parte del sussidio all’assegno di ricollocazione. Da quando l’assegno di ricollocazione è stato legato solo al Reddito di cittadinanza, è diventato di fatto con poche condizionalità: lo si riceve a prescindere dal proprio impegno a cercare un altro lavoro. Mi auguro che questa imperfezione venga corretta. E sono certo che alla fine il Jobs Act non verrà archiviato ma rafforzato”.

 

Non c’è tutela del lavoro se chi si occupa di lavoro non si preoccupa prima di tutto di tutelare chi, non avendo un lavoro, una tutela non ce l’ha. Ma non esiste possibilità da parte dell’Italia di proiettarsi verso il futuro senza capire che la crescita del paese, continua Stirpe, dipende anche da una doppia consapevolezza, che in buona parte coincide con un pezzo importante dell’agenda Draghi: sostenere il lavoro femminile e quello giovanile. Come? “Creando – dice Stirpe – un meccanismo strutturale e nazionale di decontribuzione, della durata almeno di cinque anni, che possa permettere a chi oggi ha più difficoltà ad avere accesso al mercato del lavoro di essere maggiormente tutelato. Il tutto però partendo da una prospettiva nuova: investire più sulle politiche attive che su quelle passive e occupandoci finalmente non più del singolo posto di lavoro ma del lavoro del paese. Vale per tutti i sindacati. E ovviamente vale anche per noi imprenditori. E’ ora di dare il buon esempio, no?”.

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