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Orfini ci spiega perché al Pd serve un congresso e perché "il matrimonio con il M5s non è da partito serio"

David Allegranti

L'ex presidente dei democratici: “Non ci si sposa con i grillini a Ferragosto. Si faccia, quando si potrà, un congresso vero”. “Il Pd dica no al referendum costituzionale. Mancano una legge elettorale e i correttivi”

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Roma. “È sbagliato, a cavallo di Ferragosto e nella disattenzione generale, forzare su scelte strategiche che invece hanno bisogno di una discussione congressuale”. Matteo Orfini non condivide l’indirizzo generale della segreteria di Nicola Zingaretti, che ha avviato il Pd – previo voto su Rousseau del M5s e senza una discussione organica tra i Democratici – all’alleanza organica con i grillini. “L’idea di trasformare un’alleanza tattica ed emergenziale come quella nata un anno fa con i Cinque stelle in un’alleanza strategica è fuori dal mandato di Nicola Zingaretti, che vinse il congresso in un’altra fase storica. Ha dunque bisogno di una discussione di natura congressuale, cosa che peraltro Zingaretti stesso aveva riconosciuto e che avevamo avviato, prima dello scoppio della pandemia. Ma lì, a quel punto, dovremo tornare, appena sarà risolto il rischio sanitario”.

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Roma. “È sbagliato, a cavallo di Ferragosto e nella disattenzione generale, forzare su scelte strategiche che invece hanno bisogno di una discussione congressuale”. Matteo Orfini non condivide l’indirizzo generale della segreteria di Nicola Zingaretti, che ha avviato il Pd – previo voto su Rousseau del M5s e senza una discussione organica tra i Democratici – all’alleanza organica con i grillini. “L’idea di trasformare un’alleanza tattica ed emergenziale come quella nata un anno fa con i Cinque stelle in un’alleanza strategica è fuori dal mandato di Nicola Zingaretti, che vinse il congresso in un’altra fase storica. Ha dunque bisogno di una discussione di natura congressuale, cosa che peraltro Zingaretti stesso aveva riconosciuto e che avevamo avviato, prima dello scoppio della pandemia. Ma lì, a quel punto, dovremo tornare, appena sarà risolto il rischio sanitario”.

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E quindi, sottolinea Orfini, “servirà un congresso da svolgere nella pienezza della sua forza, con le discussioni nei circoli, gli incontri, le primarie. Appena sarà possibile andrà convocato un congresso vero. Credo che anche Zingaretti sia d’accordo. Ma se siamo d’accordo su questo, nell’attesa il gruppo dirigente non deve forzare su decisioni che possono avere valenza congressuale. L’idea che decidiamo di sposarci con il M5s perché il 14 agosto c’è stato un sondaggino improbabile, per modalità e tempistica, sulla piattaforma di proprietà di Casaleggio, mentre gli italiani sono alle prese con la crisi sociale o al mare, beh, è irricevibile. Con calma se ne discuterà a un congresso. Fino ad allora concentriamoci sulla campagna elettorale per le Regionali e il referendum evitando forzature”.

  

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Ecco, a proposito di referendum costituzionale, Orfini non capisce le argomentazioni dei cosiddetti riformisti per il Sì. “Anche in questo caso, io resto alle discussioni fatte nei nostri organismi. Quando Zingaretti, dopo tre voti contrari, ci chiese di votare a favore di questa riforma sbagliata, lo fece perché era una precondizione per far nascere il governo Conte bis. Molti di noi erano perplessi su quel cambio di voto e nell’accordo fu inserito che a fianco del taglio del numero dei parlamentari ci sarebbero stati anche una legge elettorale proporzionale e dei correttivi costituzionali per evitare che il taglio lineare dei parlamentari, fuori da un disegno complessivo, diventasse uno sfregio alla Costituzione e una trasformazione pericolosa dei meccanismi istituzionali del paese. Su questo impegno modificammo il voto parlamentare, ma a un anno di distanza nessuno di quegli impegni ha visto la luce. Dunque, essendo stato disatteso l’accordo, un partito serio dovrebbe dire che le condizioni per il voto favorevole al taglio del numero dei parlamentari sono venute meno e quindi si torna allo schema originario. Invece leggo sul giornale che adesso mi sta gentilmente ospitando ragionamenti da parte di dirigenti del mio partito che francamente non capisco. Lo dico con massimo rispetto, ma l’argomento per cui per non lasciare in mano il referendum ai populisti dobbiamo votare Sì è poco comprensibile logicamente oltre che politicamente: per non lasciare una riforma populista in mano ai populisti dobbiamo diventare anche noi populisti invece che contrastare il populismo. Mi pare un mix di subalternità e mancanza di coraggio, che è esattamente la ragione della forza dei populisti nel nostro paese”.

   

In più si chiede Orfini, “per quanto potrà durare l’alibi di Salvini? Non si può costruire un progetto politico sulla paura dei populisti e di Salvini. Dobbiamo anzi sfidarli a viso aperto, costruendo un’alternativa che miri a contendergli i voti. Se noi ci affidiamo alla paura e alla politica delle alleanze non vinceremo mai. Il fatto che ampia parte dei ceti popolari voti per il centrodestra dovrebbe farci interrogare e spingerci a trovare alternative radicali, non a scimmiottare le loro politiche”. C’è chi vede un’alternativa in Mario Draghi, nuovo papa straniero di una politica sempre in cerca di personalità esterne ai partiti. Orfini ha sentito il discorso dell’ex governatore della Bce al Meeting di Rimini e l’ha apprezzato in parte. “Draghi è una persona seria e ha fatto un discorso serio cogliendo alcuni dei nodi, che peraltro alcuni di noi hanno segnato in questi mesi, compresa l’idea che non si possa andare avanti a immaginare che l’unica forma di politica economica siano bonus e sussidi. Andavano bene nella primissima fase dell’emergenza, in pieno locwdown, per tutte quelle categorie in difficoltà per effetto della crisi. Ora però abbiamo bisogno di ripensare un sistema che produca sviluppo e crescita. Non possiamo avere come obiettivo tornare a come eravamo prima, perché l’Italia di prima non andava bene. Era diseguale, ingiusta, piena di lentezze, inefficienze e difficoltà. Quindi, tanto più forti della vittoria che abbiamo avuto in Europa, dobbiamo proporre un progetto di innovazione e di cambiamento veri. Non con bonus e sussidi elargiti a pioggia ogni mese. Fin qui non s’è vista la capacità di indicare una via efficace. Serve un salto di qualità e bene ha fatto Draghi a indicare quali sono le esigenze”.

  

Ciò detto, spiega Orfini, c’è una questione che va precisata meglio. “Draghi ha colto correttamente l’esistenza di una questione giovanile nel nostro paese. Però non penso che possa essere affrontata solo con il giusto richiamo alla necessità di investire sulla formazione dei giovani. Anche perché siamo di fronte a due generazioni di giovani ed ex giovani che sono tra i più formati della storia nel nostro paese. Hanno un capitale umano enorme e vivono in condizione di precarietà esistenziale e professionale, spesso sono nell’oggettiva impossibilità di svolgere la professione per la quale si sono formati. A quella generazione negli anni sono stati sottratti diritti, tutele, welfare, forse dovremmo ripartire dalle generazioni alle quali sono state negate queste cose. Dobbiamo rivedere i meccanismi corporativi di accesso ad alcune professioni nel nostro paese, serve la parità salariale. Pensiamo a quanti ragazzi ed ex ragazzi siedono al loro posto di lavoro con accanto una persona che ha le loro stesse funzioni e guadagna il doppio, con un pacchetto di diritti superiore, frutto di politiche fatte da governi di centrosinistra. Attenzione, non significa levarli agli altri ma darli a chi è più giovane. Ci sono intere generazioni messe in condizione di emarginazione. Basti pensare alla pubblica amministrazione, che si regge sul precariato di stato. Il caso più eclatante è quello della scuola, che va avanti grazie a un esercito di precari che non si vuole stabilizzare e che secondo la ministra Azzolina hanno pure la colpa di essere sfruttati”.

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