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Conte e Di Maio alla rincorsa del Pd, e Crimi (nel mezzo) non ne può più

Valerio Valentini

L’appello del premier per l’alleanza con il Partito democratico nelle regionali di Puglia e Marche scatena il delirio 

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Roma. A chi lo ha cercato per chiedergli una parola di chiarezza ha risposto lui che non ne sapeva niente. E forse nella reazione di Vito Crimi ci sarà pure un che di pilatesco, ma davvero viene da pensare che il reggente neppure stavolta abbia retto, che davvero nulla sospettasse dell’estremo appello di Giuseppe Conte all’alleanza tra M5s e Pd nelle regionali di Puglia e Marche. D’altronde anche i ministri grillini esibivano lo stesso stupore, lo stesso stordimento, distillando parole non esattamente garbate nei confronti dello staff di comunicazione di Palazzo Chigi. Perché va bene provarci fino all’ultimo, “ma così, senza prepararla, senza concordarla, diventa un suicidio”. E infatti, nel breve volgere di qualche ora, i due candidati presidenti del M5s, la pugliese Laricchia e il marchigiano Mercorelli, replicano a brutto muso a quello che pure dovrebbe essere il loro presidente del Consiglio. E di lì a poco, per non vedersi scoppiare il petardo tra le mani facendo la figura del fesso, anche Crimi prende posizione. Contro Conte.

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Roma. A chi lo ha cercato per chiedergli una parola di chiarezza ha risposto lui che non ne sapeva niente. E forse nella reazione di Vito Crimi ci sarà pure un che di pilatesco, ma davvero viene da pensare che il reggente neppure stavolta abbia retto, che davvero nulla sospettasse dell’estremo appello di Giuseppe Conte all’alleanza tra M5s e Pd nelle regionali di Puglia e Marche. D’altronde anche i ministri grillini esibivano lo stesso stupore, lo stesso stordimento, distillando parole non esattamente garbate nei confronti dello staff di comunicazione di Palazzo Chigi. Perché va bene provarci fino all’ultimo, “ma così, senza prepararla, senza concordarla, diventa un suicidio”. E infatti, nel breve volgere di qualche ora, i due candidati presidenti del M5s, la pugliese Laricchia e il marchigiano Mercorelli, replicano a brutto muso a quello che pure dovrebbe essere il loro presidente del Consiglio. E di lì a poco, per non vedersi scoppiare il petardo tra le mani facendo la figura del fesso, anche Crimi prende posizione. Contro Conte.

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Ci sta che in fondo la spiegazione più banale sia anche quella più attendibile: e cioè che, vistosi tirato per la giacca di qua e di là, alla fine il premier abbia voluto sgravarsi la coscienza, far vedere che lui la buona volontà ce l’ha messa: “Trovo ragionevole che le forze politiche che sostengono il governo provino a dialogare anche a livello regionale”, mette a verbale sul Fatto. Ma se fosse solo questo, il senso dell’operazione, allora bisognerebbe dire che lo sforzo è stato abbastanza inutile. Perché se è vero che quei tampinatori del Pd (Boccia, certo, e anche Franceschini, due “martelli” li avrebbe definiti il premier), da settimane lo tampinano sull’urgenza di fare accordi sui territori, è vero anche che non basterà certo questo esercizio di buona volontà. “A noi servirebbe che qualcuno garantisse per la tenuta del M5s”, si lamentano al Nazareno. E allora forse viene da dare un’altra spiegazione, a questa bizzarria ferragostana.

 

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La verità è che tra Conte e Di Maio ora c’è la gara a chi è più filo-Pd”, sbotta un ministro grillino. “E siccome Luigi giorni fa si è intestato l’apertura sull’alleanza rossogialla, Giuseppe ha rilanciato”. Come che sia, è stato un mezzo disastro. Perché tutto il M5s pugliese s’è schierato a difesa della sua candidata. “Ci siamo parlati pochi giorni fa – ha spiegato lei – e m’aveva garantito che non avrebbe interferito, che sarebbe rimasto in disparte”. E forse è vero. Ma poi, evidentemente, a Palazzo Chigi devono essersi immaginati il canovaccio di settembre: i cronisti che a ogni occasione chiedono all’avvocato di Volturara a chi intenda dare la sua preferenza nella sua Puglia, lui che tentenna, annaspa, si rifugia nell’alibi del del voto segreto, o magari disgiunto. Insomma, imbarazzo totale. “Ma non crederà mica di usarci come sue pedine”, sbotta però la Lezzi nei conciliaboli tra pugliesi, “non ha capito con chi ha a che fare”, insiste la senatrice tarantina, a cui vengono attribuite parole non riferibili all’indirizzo del premier. “Tutti con la Laricchia”, è l’ordine di scuderia: anche parlamentari di altre regioni s’accodano alla processione social, perfino Dibba interviene a sostegno della candidata.

  

Una sarabanda d’insensatezza che investe in pieno l’impotente Crimi, che si ritrova stretto tra il dovere fedeltà al suo premier e le minacce d’insubordinazione nel Movimento che gli tocca guidare un po’ come si guida un’auto senza volante. Con Conte che detta la linea senza neppure consultarlo, Di Maio che a settimane alterne predica la “terza via” o l’accordo col Pd, e gli spin dei due, di Giuseppi e Giggino, che fanno a gara a chi azzecca meglio l’hashtag di giornata. Pure sulla questione di Rousseau, alla fine, Crimi deve cantare e portare la croce, con uno spirito di sacrificio che viene da chiedersi che peccato debba espiare, povero cristo, per accettare di sentirsi le lamentele dei deputati contro Casaleggio e poi scattare sull’attenti quando il “figlio padrone” batte cassa. “Ormai è l’esattore di Davide”, dicono di lui i deputati, a cui Crimi ha ricordato che, se non pagano gli arretrati a Rousseau, il 24 agosto parte la diffida. Ma se sapessero, i deputati, il giudizio che nel segreto delle sue confidenze il buon Vito dà di Casaleggio jr, forse verrebbero scossi da un moto di compassione. L’ultimo pasticcio è successo col voto online per il doppio mandato e le alleanze locali: Crimi viene informato da Casaleggio, si premura di far arrivare l’informazione anche a Di Maio, e insomma crede che si possa procedere senza problemi. E invece, a urne telematiche aperte, ecco che Di Maio sconfessa Casaleggio, lo sbeffeggia nella chat dei maggiorenti grillini, e poi precisa: “Se continuiamo così, a pagare ancora lo scotto di queste scelte di Casaleggio sarà Vito. Che a mio parere c’entra poco”. E lui, Vito, incassa in silenzio, con la pazienza di Giobbe. Tanto sa che il 22 di settembre, dopo il bagno di sangue del M5s alle regionali, tutti chiederanno la sua testa, tutti – specie i grillini lombardi, suoi rivali – gli attribuiranno la colpa del tracollo. E lui a quel punto deciderà, se ritirarsi in silenzio, triste, solitario y final, oppure togliersi qualche sassolino dalla scarpa, aprendo qualcuno dei molti dossier che custodisce sotto chiave. Chissà.

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