PUBBLICITÁ

Raggi di disincanto

Antonio Pascale

Forse ci siamo abbandonati a questo spirito del tempo tutto romano. E' l'idea che tutto passerà, anche i disastri. Ecco perché la sindaca si ricandida

PUBBLICITÁ

Roma o del disincanto. Cioè, voglio dire, la sensazione che accomuna una certa élite riflessiva (che ha scritto, filmato, indagato intorno alla Capitale) è questa: parli di Roma? Ti viene in mente il disincanto.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma o del disincanto. Cioè, voglio dire, la sensazione che accomuna una certa élite riflessiva (che ha scritto, filmato, indagato intorno alla Capitale) è questa: parli di Roma? Ti viene in mente il disincanto.

PUBBLICITÁ

 

Da anni si celebra il disincanto: degli intellettuali sulle terrazze, dei borgatari cocainomani. Anche i sanpietrini sono soggetti al disincanto. Le strade, gli alberi, certo, l’Atac, e ci sono certi turisti in ciabatte che non si possono guardare, o peggio in tuta (cosa altro è la tuta se non l’ultimo passo prima del baratro?). La comunità? A Roma è disincantata. Trasformata in bande: i militanti di CasaPound, gli attivisti dei centri sociali, i coatti e gli hipster, borgatari e palazzinari, bande che si fanno la guerra, non in nome della comunità, ma così, per gusto del disincanto. Roma quindi agisce a sua insaputa, come dire, Roma non ha compreso l’anima pigra di Roma stessa.

 

PUBBLICITÁ

Roma o meglio, un catalogo di rovine. Non così distante (ancora oggi) da quello che vedeva e ritraeva l’incisore Giovanni Battista Piranesi. Che ha poi fondato un immaginario: il Piranesi Effect. Quindi, in successione, più o meno casuale: Roma o del disincanto, ovvero gli scheletri, tipo la città della musica, e gli impacci da riqualificare, e metti la tangenziale, il LunEur: e niente, tutti oggetti in attesa che, nel frattempo, diventano passato e nel passato vanno catalogati: tuttavia, in quanto passato, bloccano il moto in avanti della città. L’effetto disincanto poi è l’altra faccia della sopravvivenza, nel senso che: ne abbiamo passate tante, passerà anche questa, intanto, noi ci adattiamo.

 

Comunque, sia come sia, non puoi dare slancio nuovo alla vita urbana senza prima capire la natura storica della città, almeno così scriveva Lewis Mumford. La questione di cui sopra riguarda sì Munford, Virginia Raggi in primis ma pure i settecentomila romani che l’hanno votata, con, ricordo, al tempo, endorsement, a mio modesto parere, incredibili: Ferilli, Mannoia, Santamaria, Vittorio Sgarbi, Adriano Celentano, Renzo Arbore, Marisa Laurito.

 

Facile ora fare ironia, perché, al tempo, gli endorsement testimoniavano da una parte sano impegno, dall’altra, però, millenario disincanto: chi vuoi votare? Dopo Alemanno, dopo Marino (buttato giù dal Pd per due scontrini)? Vuoi votare Giachetti, uno che fa il video promozionali alle pendici del Gianicolo? Voglio dire, molti romani che vivono al nuovo Salario, a Talenti, al Tiburtino, a Borghesiana, a Piana del Sole e così via (lì gli influencer sono tipi come er Brasiles), nemmeno hanno mai visto che so, Fontana di Trevi, e tu gli suggerisci di votare uno che sta su un bel colle romano? Infatti la Raggi ha vinto. Prometteva un nuovo corso, pareva volesse, con un balzo (e con delle persone in giunta stimate a destra e sinistra, vedi Luca Bergamo), togliere il Piranesi Effect.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

L’effetto disincanto è l’altra faccia della sopravvivenza: ne abbiamo passate tante, passerà anche questa, intanto, noi ci adattiamo

 

PUBBLICITÁ

Però, nonostante lo slancio (un po’ sfacciato, un po’ arrogante, ma di certo vitale) da subito, e per i noti fatti e misfatti, si è aperta la questione: è consapevole o inconsapevole? De Roma, dico. Virginia Raggi era cosciente di questa estetica del disincanto e ha cercato di porre rimedio, fallendo, o era, al contrario, del tutto incosciente e dunque non poteva fare altro che fallire, diciamo che in accordo con la suddetta estetica, ha fatto finta di provarci?

 

Una ragazzetta esile dalla faccia pulita, disse, a suo tempo, Sabrina Ferilli. Era questa la speranza? Anche se il sostantivo ragazzetta, personalmente, mi insospettisce, devo ammettere che la figura agile, esile (non appesantita dalle rovine del passato) la faccia pulita, invece, erano definizioni vincenti: insomma quale migliore strumentazione estetica per fondare il nuovo corso? Certo, sempre la stessa storia, si ragionava per associazioni piacevoli, non per analisi serie e magari spietate. Cosa ovvia. In fondo, anche se gli autori del talk show e i famosi opinionisti vogliono farci credere il contrario, si vota sempre per antipatia e simpatia: ah! L’antipatia che provai allora per Giachetti e il suo video al Gianicolo. Eppure l’ho votato: mi stavano antipatici quelli del MoVimento, e la Raggi.

 

Comunque, antipatia o simpatia, ritorniamo alla vecchia questione di cui sopra, Lewis Mumford: non puoi dare slancio nuovo alla vita urbana senza prima capire la natura storica della città. E dunque, Virginia Raggi era consapevole della natura storica della città oppure no?

 

Qualcuno diceva: certo che sì! Era partita con sprezzo del pericolo: ebbene sì, sono consapevole di questo sottobosco di magna magna, bande che combattono, palazzinari che dicono Olimpiadi e sano spirito sportivo e poi ti costruiscono obbrobri poco sportivi (al tempo, la Raggi nemmeno volle ricevere Malagò e Bianchedi) politici irresponsabili che dicono la Grande Occasione delle Olimpiadi e poi fanno debiti e assumono parenti e insomma: non mi adeguerò, a costo di risultare antipatica e scostante, così si conduce la guerra.

 

Conseguenze? Un video la ritrae a un brindisi col presidente Mattarella al Quirinale. Insomma, la Kasta al Quirinale. A parte Brunetta, nessuno la saluta, è snobbata e ignorata da tutti. Nel video, alcuni momenti sono esemplari (casomai si volesse tentare un ritratto psicologico della Sindaca a futura memoria). C’è un flusso, un movimento di Kastaroli verso un punto e lei Virginia Raggi, resta isolata, incapace sul da farsi: andare o restare? Nello specifico resta da sola, nel vuoto: un segno? Uno spolier? Ecco come andrà?

 

Ma appunto, sono le conseguenze dello sprezzo consapevole del pericolo, di aver detto no Olimpiadi e no alla Kasta, tanto è vero che parecchi commentatori al tempo erano dalla sua parte: Virginia, questa è la conferma che sei una di noi, il tuo impegno contro questo schifo sarà ripagato con il rispetto dei cittadini. Loro questo rispetto non l’avranno MAI. Oppure: Bastardi! Pagherete Caro! Pagherete Tutto! O ancora: ti vietano di vietare, hai tutti contro, ma va bene così. Il cerchio si chiuderà e i rosiconi avranno molto tempo libero.

 

Eppure, questa versione (era consapevole e c’ha tentato, ma contro la Kasta è un casino) ha trovato il suo climax solo qualche mese dopo, quando sono cominciati i rimpasti: ma come, combatti i bastardi e giuri di fargliela pagare cara, e poi non vedi la Kasta in casa tua? Erano questioni molte serie, almeno nell’ottica di un cittadino che vota MoVimento, cioè: Di Maio era quello che voleva abolire la presunzione di innocenza per i politici (degli altri partiti) però per i suoi, beh, in quel caso “dobbiamo vedere le carte”. Comunque, a testimonianza di questa tensione (perché non controlli chi ti porti a casa), si può portare come prova un altro video, quello girato da Virginia Raggi per comunicare le dimissioni dell’assessore all’Ambiente Paola Muraro (aveva ricevuto un avviso di garanzia dopo essere stata a lungo indagata per una vicenda di gestione dei rifiuti).

 

Virginia Raggi parlava guardando la telecamera, dietro di lei un tavolo, attorno al quale sono seduti i consiglieri comunali del Movimento 5 stelle: anche loro guardavano verso l’obbiettivo, senza dire una parola. In quel video, a parte che sembrava girato dalla Spectre, la ragazza esile diventava inquietante. Lo sguardo pulito diventava sguardo da inquisitore e tra parentesi, gli altri sguardi, quelli dei consiglieri dietro di lei, immobili, mi seguirono per giorni e giorni, e quando in moto traballavo per colpa dei san pietrini e buche, non osavo lamentarmi, avevo paura che la Spectre mi guardasse.

 

Quella tensione, così evidente nel video (rasentava l’immobilità innaturale), era il Segno, dicevano in tanti. Una consapevolezza nuova aveva causato un irrigidimento posturale: una cosa è il primo atto con le sue belle dichiarazioni di intenti, farò, dirò, combatterò, e una cosa è il secondo atto, quando i nodi cominciano a venire al pettine. Però sempre di consapevolezza si trattava. Va bene, ha scoperto che le belle dichiarazioni di intenti non bastano e si è trasformata: da ragazze esile e con la faccia pulita a una arcigna e intransigente. Sì, all’uopo, inquietante e spettrale, ma alla fine va bene così. Sta iniziando il secondo atto, ora vedrete che a maggior consapevolezza, corrisponderà, di certo, maggiore azione.

 

La vecchia questione di Lewis Mumford: non puoi dare slancio nuovo alla vita urbana senza prima capire la natura storica della città

E invece, il tempo passava e i tassisti in primis (e ci credo, c’era chi, causa buche, aveva rotto una sospensione, chi la coppa dell’olio) cominciavano a commentare: ma ‘sto secondo atto? Qui non si muove una foglia.

 

Si era giunti al 2017 e l’atmosfera non era buona, qualcuno dei vip cominciava a mettere le mani avanti e chi, pur romano arrivava a Roma da Milano a denti stretti sibilava: Milano è un’altra cosa, li fanno le cose, qui non facciamo niente, Roma sta scomparendo in una buca. In effetti, se guardavi per terra, ti rendevi conto che il manto stradale si stava dissolvendo: c’è poco da fare, in casi simili fioccano le metafore. Certo, si poteva porre rimedio, eppure il problema veniva costantemente rimandato a data da destinarsi: se vogliamo fare le cose bene, dobbiamo evitare i soliti magna magna. Ok e nel frattempo? E niente, per la Raggi bisogna chiamare chi l’ha visto.

 

In questa fase, chi l’aveva votata, cominciò a dire che la Raggi era inconsapevole dello spirito della città: quello era il problema, non aveva capito niente. Come si fa a governare Roma? Metti il Piranesi Effect, ma metti anche l’eredità del passato, quella più terra terra, i bilanci che non quadrano, i buchi neri di varia natura, le bande, le periferie, prendi l’eredità: una città al collasso, ferita da anni di gestione dissennata, municipalizzate sull’orlo del default, l’inchiesta su Mafia Capitale, ecco lei era inconsapevole: dai è andata così, ha pagato la sua stessa inconsapevolezza, ha fatto le cose a sua insaputa.

 

Qualcuno notava che inconsapevole era un modo gentile per non dire incompetente, insomma offrirle una possibilità di fuga. Poi arrivarono i dati e lì, con i numeri c’era poco da fare: quelli sono il vero secondo atto da affrontare. In genere, è il momento in cui il nostro eroe fa i conti con le proprie dichiarazioni: credevo di essere consapevole, ma non avevo capito niente, ora cambio passo e vedrete. Oppure, finora ero inconsapevole, trascinato dalla vita di qua e di là, ora invece… aspettate e vedrete.

 

Insomma, si aspettava ma niente, immobilità, chi l’ha vista? Il gap tra dichiarazioni e fatti rimaneva lì, una voragine aperta: ti sporgevi? Vedevi l’inferno.

 

Esempio di gap? Prendiamo la città in movimento (il titolo del paragrafo delle linee programmatiche dedicato al trasporto pubblico locale). Bisognava disincentivare l’utilizzo del mezzo privato. Perché? Come perché, per centrare l’obiettivo di allineare la nostra città ai parametri delle principali capitali europee.

 

Ok, giusto, ma guardiamo i dati. Già nel 2016, l’Atac chiudeva con una perdita di 212,7 milioni. Il parco mezzi contava 2.082 bus (età media 11,6 anni), 164 tram, 102 veicoli metro (13,3 anni) e 72 del servizio ferroviario regionale (35,4 anni). Gli investimenti erano a quota 24,5 milioni (contro i 33,8 milioni del 2015). Il debito ammontava a 1,35 miliardi. Migliorata o peggiorata con gli anni. E niente, meglio dei dati da snocciolare c’è la questione parco mezzi, vetusto, che altro vuoi dire? E’ interessare per uno che lavora negli effetti sonori registrare lo strano suono che si produce in un autobus romano che corre sui sanpietrini: un misto di vibrazioni crudeli e lancinanti e colpi improvvisi da fine del mondo.

 

A un certo punto arrivarono i dati ed è lì, con i numeri, che il politico è costretto a fare i conti con le proprie precedenti dichiarazioni

Sono 227 gli autobus (ricostruisce un articolo di Manuela Perrone sul Sole 24 ore) acquistati sulla piattaforma Consip e costruiti in Turchia ma non ancora arrivati (a giugno 2019), 38 quelli noleggiati dalla ditta Cialone (su un pacchetto di 108 complessivi), 60 i minibus elettrici riattivati. Un bando per comprare altri 240 bus ibridi da far circolare dalla metà del 2020 è stato pubblicato a marzo: scadeva a maggio ma per evitare che andasse deserto è stato prorogato a giugno.

 

Rifiuti? Per favore non ne parliamo nemmeno: senza che ti metti a fare il compitino con i dati. Come si può gestire una città complessa come Roma, promettendo di alzare il tasso di differenziata e allo stesso tempo urlando No termovalorizzatori e impianti vari? Una buona differenziata esige i suoi impianti.

 

E questo per la differenziata, ma l’indifferenziata? Circa 2.600 tonnellate al giorno. Dove li mettiamo? Se togliamo i due Tmb di proprietà dell’Ama, Salario (bruciato) e Rocca Cencia (sequestrato in parte) restano i Tmb di Malagrotta quelli di Manlio Cerroni.

 

E siccome questa è una parte della litania del disastro, guardando i bilanci, i dati, valutando il secondo atto e come si presenta la città, si può dire che (consapevole o inconsapevole) questa ricandidatura non si sarebbe dovuta avanzare: dai, non si tratta solo di disincanto spinto, non ha funzionato e non potrà funzionare.

 

Però, poi, chi li guarda i bilanci e i dati da secondo atto? Soprattutto ora che con le elezioni si ritorna al primo atto: si va ad antipatia e simpatia. Si segue la regola del picco fine, ossia se mi chiedono di valutare qualcosa io faccio la media degli accadimenti (buoni e cattivi) e la comparo con un evento finale. Come nelle storie d’amore, il finale (ci siamo lasciati bene o male) conta molto per riassumere il senso di tutto. Vedrete che nel finale la giunta Raggi asfalterà un po’ di strade e allora proveremo simpatia (o antipatia, se non sono le nostre strade). Ah, a proposito di simpatia, ho apprezzato tantissimo la Raggi (oltre alle volte in cui ha sfoggiato uno fluente inglese) quando è andata – e sì, mi è sembrata una ragazza esile con la faccia pulita – a Casal Bruciato dalla famiglia rom minacciata da alcuni abitanti della zona nonché dai militanti di CasaPound: buffona, non sei la nostra sindaca, vergognati, lercia, schifosa.

 

Vedrete che nel finale la giunta Raggi asfalterà un po’ di strade e allora proveremo simpatia (o antipatia, se non sono le nostre strade).

E va bene, è andata sola ed è tornata sola. Di Maio, all’epoca vicepremier, pare si sia innervosito per la tempistica. Ecco, considerato l’ondata fascista che arriva in città, con tutta la brezza d’odio che ne consegue, io per momentanea simpatia (oltre all’ammirazione per il suo fluente inglese), mi sento di passare sopra l’Ama, l’Atac, la terribile pubblicità degli sgombri, l’enfasi sugli alberi tagliati e insomma sulle questioni di manutenzione ordinarie fatte apparire come chissà che di meraviglioso. Mi sa che se il Pd presenta ancora uno che si fa i selfie sul Gianicolo, forse, chissà, per simpatia verso un volto pulito che affronta i fascisti, chissà magari, forse, non so, nel segreto dell’urna, un voto glielo do: certo, salgo sul carro del perdente, però poi posso lamentarmi con più forza del disincanto romano.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ