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Conte vende per nuovo il tunnel sotto lo Stretto, ma era un'idea già vecchia nel 1995

Valerio Valentini

"50 chilometri di galleria per 3 chilometri di mare, dentro una faglia sismica". Parla il prof. Ballio, ex rettore del Politecnico

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Roma. L’idea, a ben vedere, non è che sia proprio nuovissima, se già nel 1876 (sì,sì, Ottocento), l’allora ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Zanardelli, osservò che, se non si fosse potuti passare “sopra i flutti”, si sarebbe sempre potuto tentare “sotto di essi”. Todo modo para buscar Messina, insomma, e per “unire la Sicilia al Continente”. Solo che poi, passati i decenni e i governi, disfatto il Regno, l’Impero e la Prima Repubblica, si capì insomma che tra le due, l’idea di trapanare i fondali tra Scilla e Cariddi era la meno intelligente. “Tra il ’90 e il ’95 si vagliarono quattro differenti progetti, e quello del tunnel fu il primo a essere scartato”. Giulio Ballio è forse l’auctoritas per eccellenza, quando si parla di come congiungere i due lembi dello Stretto tra Sicilia e Calabria. Romano, classe 1940, è stato per otto anni rettore del Politecnico, e tra il 2010 e il 2011 ha presieduto il comitato scientifico della società Stretto di Messina, dirigendo i lavori che hanno portato alla consegna del progetto definitivo: quello, appunto, del ponte a campata unica. “Oltre a questa ipotesi, c’era quella di una galleria flottante, che costituiva un’incognita, e quella di un ponte strallato a più campate, che tra le altre cose avrebbe creato problemi alla navigazione”. Entrambe, però, risultarono comunque più fattibili del tunnel che oggi, nella noia appiccicaticcia della canicola agostana, è tornato ad animare le fantasie della politica italiana. “Sì, il tunnel subalveo venne scartato subito”, ricorda il professor Ballio. “Sia per questioni di sicurezza, dato che attraverserebbe una faglia sismica attiva e tra le più pericolose d’Europa, sia per motivi tecnici. Perché la galleria andrebbe scavata a circa 300 metri sotto il livello del mare, ma per arrivarci si dovrebbero creare delle rampe graduali, evitando che la pendenza eccessiva renda impossibile il traffico ferroviario. Insomma, per avere tre chilometri appena di tunnel, bisognerebbe scavarne cinquanta”. Ingresso a Bagnara Calabra, uscita a Milazzo: in ossequio a quella vecchia sentenza flaianea per cui in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.

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Roma. L’idea, a ben vedere, non è che sia proprio nuovissima, se già nel 1876 (sì,sì, Ottocento), l’allora ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Zanardelli, osservò che, se non si fosse potuti passare “sopra i flutti”, si sarebbe sempre potuto tentare “sotto di essi”. Todo modo para buscar Messina, insomma, e per “unire la Sicilia al Continente”. Solo che poi, passati i decenni e i governi, disfatto il Regno, l’Impero e la Prima Repubblica, si capì insomma che tra le due, l’idea di trapanare i fondali tra Scilla e Cariddi era la meno intelligente. “Tra il ’90 e il ’95 si vagliarono quattro differenti progetti, e quello del tunnel fu il primo a essere scartato”. Giulio Ballio è forse l’auctoritas per eccellenza, quando si parla di come congiungere i due lembi dello Stretto tra Sicilia e Calabria. Romano, classe 1940, è stato per otto anni rettore del Politecnico, e tra il 2010 e il 2011 ha presieduto il comitato scientifico della società Stretto di Messina, dirigendo i lavori che hanno portato alla consegna del progetto definitivo: quello, appunto, del ponte a campata unica. “Oltre a questa ipotesi, c’era quella di una galleria flottante, che costituiva un’incognita, e quella di un ponte strallato a più campate, che tra le altre cose avrebbe creato problemi alla navigazione”. Entrambe, però, risultarono comunque più fattibili del tunnel che oggi, nella noia appiccicaticcia della canicola agostana, è tornato ad animare le fantasie della politica italiana. “Sì, il tunnel subalveo venne scartato subito”, ricorda il professor Ballio. “Sia per questioni di sicurezza, dato che attraverserebbe una faglia sismica attiva e tra le più pericolose d’Europa, sia per motivi tecnici. Perché la galleria andrebbe scavata a circa 300 metri sotto il livello del mare, ma per arrivarci si dovrebbero creare delle rampe graduali, evitando che la pendenza eccessiva renda impossibile il traffico ferroviario. Insomma, per avere tre chilometri appena di tunnel, bisognerebbe scavarne cinquanta”. Ingresso a Bagnara Calabra, uscita a Milazzo: in ossequio a quella vecchia sentenza flaianea per cui in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.

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Perfino Paola De Micheli, che pure è costretta a fare buon viso a cattivo gioco, è rimasta spiazzata quando ha sentito Giuseppe Conte annunciare l’idea del tunnel. E solo lunedì mattina, ricevuto il plico da Chigi, lo ha girato alla struttura tecnica di missione del Mit, nel tentativo commovente di creare un gruppo di lavoro che studi quel progetto. A Roma, a Ferragosto: figurarsi. “Eppure il presidente ne è rimasto stregato, da quel progetto”, dicono dal suo staff. 

 

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Cercando così di minimizzare l’ansia che ha reso tribolata l’estate, a Conte e al M5s: da quando, a inizio giugno, Renzi e Franceschini rilanciarono l’idea del ponte sullo Stretto. Ché d’altronde il “miracolo” di Genova realizzato da quella stessa azienda, la Webuild di Pietro Salini, che dovrebbe congiungere Sicilia e Calabria con un’unica campata di tre chilometri, sembrava poter smuovere le decennali resistenze sull’opera. E Conte non ci stava a lasciarsi accomunare a quei decrescitisti dei grillini. E Giancarlo Cancelleri, viceministro siciliano ai Trasporti, veniva esortato da Di Maio, pure lui smanioso di accreditarsi col mondo confindustriale, a trovare una soluzione che potesse evitare al M5s la nomea di “quelli del No” ma che al tempo stesso scongiurasse l’onta di dover avallare un’idea berlusconiana, il “regalo alle mafie”, il ponte “tra due cosche”. E sembra quasi di vederli, i maggiorenti del M5s, tutti insieme in una stanza buia illuminata all’improvviso dall’eureka del momento: “Passiamo sotto!”. E così Conte, in una sera d’agosto, dalla piazza di Ceglie Messapica, parla con toni avveniristici (“un miracolo d’ingegneria”) di un progetto che nel 2017, quando fu inviato al Mit, l’allora ministro Delrio degnò di un paio d’ore d’attenzione, e finì lì. Ora invece viene riscoperto, quel tunnel, per l’estasi di Giovanni Saccà, ingegnere che a Messina è nato nel ’51, e poi ha portato avanti la sua onesta carriera trentennale di dipendente delle Ferrovie a Verona.

 

E dunque si dovrebbe ripartire da capo, adesso, con uno studio di fattibilità comparativa. “Un’analisi che già venne fatta, e portò a escludere il tunnel”, riflette, perplesso, il professor Ballio. Il quale poi segnala un problema legato ai tempi che forse, chi a metà agosto lancia un piano volendoselo far finanziare, a settembre, dalla Commissione europea, farebbe bene a considerare. “Il Comitato scientifico lavorò assiduamente per vagliare il progetto vincitore del ponte: diecimila tavole, riunioni con progettisti e ingegneri. Due anni di fatiche per dare il via libera al progetto esecutivo, che ora potrebbe essere subito cantierato. Col tunnel, invece, si dovrebbe ripartire da capo”. E forse, alla fine di tutta la commedia, neppure basterebbe a risolvere i dissidi nel M5s. Perché Federica Dieni, deputata grillina che dalla sua casa di Reggio Calabria lo Stretto lo guarda ogni mattina, ci spiega “che il nostro è un No secco, al tunnel come al ponte”, e che “la posizione del M5s non cambia per le dichiarazioni di un viceministro”. Né sopra né sotto i flutti: per unire la Sicilia all’Italia, nell’èra del grillismo di governo non basta neppure l’arabesco.

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