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Un referendum non umorale

Giuliano Ferrara

E’ ripugnante votare una riforma costituzionale nata nella demagogia? Sì, lo è (e la caccia ai furbetti del bonus aumenta i compagni di letto che non si vorrebbero). Ma servono la ragione e la politica. Un primo passo in direzione giusta, meglio farlo

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E’ ripugnante votare in un referendum per una riforma costituzionale approvata sotto la maggioranza Di Maio-Salvini sull’onda della demagogia anticasta? Sì, lo è. E’ grottesco impedire la riduzione del numero dei parlamentari, da sempre una delle chiavi di volta del riformismo costituzionale? Sì, lo è. Di qui il dilemma della semplificazione. Ripugnante ha qualcosa di sentimentale, emotivo, impolitico. Grottesco, per un gesto politico, indica la complessa architettura di un banale autolesionismo della ragione: impedisco si faccia una cosa che ho sempre ritenuto utile, positiva, perché è diventata la bandiera di forze le cui campagne mi ripugnano. Se non puoi evitare il ripugnante, devi evitare il grottesco. 

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E’ ripugnante votare in un referendum per una riforma costituzionale approvata sotto la maggioranza Di Maio-Salvini sull’onda della demagogia anticasta? Sì, lo è. E’ grottesco impedire la riduzione del numero dei parlamentari, da sempre una delle chiavi di volta del riformismo costituzionale? Sì, lo è. Di qui il dilemma della semplificazione. Ripugnante ha qualcosa di sentimentale, emotivo, impolitico. Grottesco, per un gesto politico, indica la complessa architettura di un banale autolesionismo della ragione: impedisco si faccia una cosa che ho sempre ritenuto utile, positiva, perché è diventata la bandiera di forze le cui campagne mi ripugnano. Se non puoi evitare il ripugnante, devi evitare il grottesco. 

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Il criterio di semplificazione dice che alla domanda referendaria, scartato l’umoralismo, bisogna rispondere secondo l’oggetto, direttamente, seguendo la coscienza politica della cosa e non lo stato d’animo. Un numero minore di parlamentari vuol dire più potere al Parlamento, i capi delle commissioni diventerebbero controministri effettivi, leggi e decreti potrebbero sottrarsi a discussioni e risoluzioni decisamente alambiccate, la funzione di controllo sarebbe meno difficile.

 

Si dice che non è, quella della riduzione del numero dei parlamentari, una riforma organica. Giusto. Sarebbe meglio se fosse collegata alla revisione dell’esecutivo, magari a una ridefinizione delle prerogative del presidente della Repubblica, a una radicale ristrutturazione della divisione dei poteri e della funzione dell’ordine giudiziario eccetera. Le grandi riforme organiche, proposte dal centro liberale o da Craxi Berlusconi Renzi, si sono tutte arenate, sono state bocciate con argomenti conservatori, ma nel senso peggiorativo di continuisti e passatisti. Quella tentata da D’Alema non ha mai visto la luce. Per molto tempo i cambiamenti costituzionali sono stati una sequela di parole pronunciate invano o, peggio, di decisioni sovrane delle Camere rigettate dagli elettori con argomenti e pulsioni tra loro contraddittori. Quanto sottoposto a referendum per la fine di settembre è un frammento, forse non il più importante ma nemmeno così ininfluente, di un nuovo edificio costituzionale necessario a tanti decenni dal varo della Carta del 1948. L’esperienza dice che è meglio cominciare da qualche parte, se si voglia semplificare il percorso di costruzione di una nuova casa costituzionale e renderlo possibile, piuttosto che tornare a azzerare tutto. Magari ci si può battere per una riforma elettorale che razionalizzi lo snellimento delle aule camerali e dia impulso a una migliore rappresentanza politica, di cui un numero non pletorico di eletti è una delle condizioni di possibilità. Questo è importante, e arrivarci senza costituire nuove accozzaglie di rigetto sarebbe importante anche per dimostrare che in giro c’è sano pragmatismo, e che gli argomenti miserabilini sui costi della politica si ritorcono, astuzia della ragione e della storia, contro chi li ha prodotti, visto che alla fine il tutto sarebbe una rivalutazione della buona politica parlamentare. 

 

Il presidenzialismo (elezione diretta) fu sempre un riflesso un po’ ducesco della destra, eppure quando Craxi lo impugnò, pur senza andare fino in fondo, creò un nuovo orizzonte positivo, dinamico, per la politica italiana. Le presidenze di Giscard e di Mitterrand, in Francia, avevano dimostrato che anche il presidenzialismo blindato prodotto dal “colpo di stato permanente” di De Gaulle poteva essere compatibile con una guida liberale o socialista dello stato, comunque la si pensi poi di quelle due figure che ruppero l’involucro della V Repubblica e resero possibili sviluppi notevoli del sistema politico, fino a Macron. Bisogna insomma essere ragionevoli e semplici. In Italia si può cambiare la Costituzione, il numero degli eletti, il modo di votare, e lo si può fare a maggioranza semplice (con la doppia lettura per la Carta). Tutto ciò che va in quella direzione, non importa come sia nato e a quali compagni di letto ti obblighi, va semplicemente favorito, cioè approvato.

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