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Marasma nel Pd che pensava di allearsi con i grillini della capitale

Domenico Di Sanzo

Le conseguenze della ricandidatura di Raggi sul Nazareno. La ricerca difficile di un nome e il sogno di recuperare l’M5s al ballottaggio

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C’era un solo modo per sbarrare la strada a ogni tipo di dialogo tra il M5s e il Pd a Roma: ricandidare Virginia Raggi. Ed è proprio ciò che è successo, con un’accelerazione fulminea e inaspettata della sindaca. Dinamite sotto i ponti che invano avevano tentato di costruire i “dialoganti” dei due rispettivi campi. Così mentre il centrosinistra più vicino al segretario dem Nicola Zingaretti e alcuni pentastellati convinti della necessità del patto per riconquistare il Campidoglio cercavano di imbastire una difficile trattativa su una figura “civica” e “terza”, lei, la Raggi, faceva il giro delle sette chiese nel Movimento. Una svolta preparata da tempo. Partita con una visita a casa di Alessandro Di Battista, proseguita con gli incontri riservati con Luigi Di Maio, culminata con il blitz a Milano nell’ultimo weekend di luglio con lo scopo di ammorbidire le asprezze di Davide Casaleggio sulla regola del doppio mandato.

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C’era un solo modo per sbarrare la strada a ogni tipo di dialogo tra il M5s e il Pd a Roma: ricandidare Virginia Raggi. Ed è proprio ciò che è successo, con un’accelerazione fulminea e inaspettata della sindaca. Dinamite sotto i ponti che invano avevano tentato di costruire i “dialoganti” dei due rispettivi campi. Così mentre il centrosinistra più vicino al segretario dem Nicola Zingaretti e alcuni pentastellati convinti della necessità del patto per riconquistare il Campidoglio cercavano di imbastire una difficile trattativa su una figura “civica” e “terza”, lei, la Raggi, faceva il giro delle sette chiese nel Movimento. Una svolta preparata da tempo. Partita con una visita a casa di Alessandro Di Battista, proseguita con gli incontri riservati con Luigi Di Maio, culminata con il blitz a Milano nell’ultimo weekend di luglio con lo scopo di ammorbidire le asprezze di Davide Casaleggio sulla regola del doppio mandato.

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“Roma è la Capitale d’Italia, non l’ultima città di provincia”, ci dice un dirigente romano del Pd. Il che sta a significare che la mossa della Raggi, appoggiata da tutto il M5s, potrebbe scombinare perfino i piani di chi da quasi un anno imposta quell’alleanza organica nazionale tra stellati e democratici. Massimiliano Smeriglio, eurodeputato, ex vicepresidente della Regione Lazio, tra i consiglieri più ascoltati di Zingaretti, cerca di attutire il botto provocato dall’annuncio del Raggi bis. “Secondo me questa accelerazione non ha scombinato proprio niente, la ricandidatura della Raggi era altamente probabile”.

   

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E allora il dialogo con il M5s? L’alleanza organica e le tentazioni di un candidato “civico” nella Capitale? “Io ho sempre pensato a quella della Raggi come a una esperienza tragica e fallimentare – continua Smeriglio con il Foglio – e credo che il suo cambio di marcia sia stato condizionato da dinamiche interne ai Cinque stelle in cui non voglio entrare, ma comunque credo a livello nazionale in una stabilizzazione del Movimento nel campo democratico come dimostra l’esperienza di governo, su cui ho un giudizio positivo”. Roma è un’altra cosa, dunque. Questo è il sentire comune nel Pd il giorno dopo del coming out della sindaca uscente. “Roma è tutta un’altra partita, ha una sua specificità”, spiega Smeriglio. Che lascia le porte aperte per un eventuale ballottaggio: “Noi e il M5s abbiamo un nemico comune, che è la destra, e al ballottaggio si potrà ragionare”.

   

Non nasconde la soddisfazione per una trattativa che è andata in fumo ancora prima di ricominciare il deputato Matteo Orfini. Ex commissario del partito romano, contrario al dialogo con i grillini anche a livello nazionale. Quando gli si chiede se la ricandidatura della Raggi rappresenti una buona notizia sorride, poi aggiunge: “Sicuramente è una cattiva notizia per la città, anche se non penso che abbia chance di vittoria. Ora il Pd deve darsi da fare per trovare un candidato”. Sul punto, Smeriglio la prende alla larga. Parla di “riaccendere i motori”, di “campo progressista” e invoca “gli Stati generali su Roma e l’organizzazione delle primarie”.

  

Ma sul territorio, diverse fonti dem confermano gli abboccamenti tra Zingaretti e i grillini, stroncati dalla svolta impressa dalla Raggi. Aurelio Mancuso, dirigente capitolino del partito, componente della commissione nazionale di garanzia del Pd mette al bando la diplomazia: “Il dialogo con il M5s romano è impossibile, basta guardare cosa succede nei municipi. Chiedo che Roma non sia più merce di scambio per la costruzione delle alleanze regionali e nazionali”. Riflessioni che parrebbero essere smentite dalla collaborazione in Regione tra Zingaretti e la capogruppo grillina Roberta Lombardi. Ma Orfini taglia corto: “Lombardi è diversa, mi scusi ma adesso la devo salutare”.

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