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il plebiscito di zaia

Il Veneto e una Lega per due. La guerra delle liste tra Zaia e Salvini

Valerio Valentini

Il Truce teme l'apoteosi del governatore, mentre lui non riesce a fare il rimpasto in Lombardia. Il sostegno dei sindaci diventa una grana. La previsione di Tosi (che sostiene Zaia): "Luca starà buono fino al 2023"

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Roma. Cinque anni fa sembrava un’umiliazione. “Io nella lista di Zaia? Manco morta”. E così, in un atto di schizzinoso orgoglio, Milena Cecchetto, apprezzata sindaca di centrodestra di Montecchio Maggiore, nel Vicentino, rifiutò la proposta del governatore, ché lei solo nella lista giusta voleva entrare: “Lega nord oppure niente”. Finì con niente: lei rimase nella sua Montecchio e il suo posto lo prese Manuela Lanzarin, che malgrado il suo passato da deputata non disdegnò la proposta dell’amico Luca, e due mesi dopo si ritrovò a fare l’assessore alla Sanità. A pensarci ora, ora che Zaia è Doge supremo e incontrastato del Veneto – padrone venerato di quella piccola patria dove ormai sono comparse, in ossequio allo spirito dei tempi, anche "le tose di Zaia", rivali in saòr delle "bimbe di Conte" che adorano il premier – insomma ora, nell'anno del signore 2020, pare quasi impossibile: eppure nel 2015 le perplessità erano molte, sulla sua lista. “Oggi invece si prendono a gomitate, per entrarci”, sorride il deputato azzurro Pierantonio Zanettin, soldato irriducibile di quell’esercito del Cav. che, specie nel Nord-Est, è in disfacimento.

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Roma. Cinque anni fa sembrava un’umiliazione. “Io nella lista di Zaia? Manco morta”. E così, in un atto di schizzinoso orgoglio, Milena Cecchetto, apprezzata sindaca di centrodestra di Montecchio Maggiore, nel Vicentino, rifiutò la proposta del governatore, ché lei solo nella lista giusta voleva entrare: “Lega nord oppure niente”. Finì con niente: lei rimase nella sua Montecchio e il suo posto lo prese Manuela Lanzarin, che malgrado il suo passato da deputata non disdegnò la proposta dell’amico Luca, e due mesi dopo si ritrovò a fare l’assessore alla Sanità. A pensarci ora, ora che Zaia è Doge supremo e incontrastato del Veneto – padrone venerato di quella piccola patria dove ormai sono comparse, in ossequio allo spirito dei tempi, anche "le tose di Zaia", rivali in saòr delle "bimbe di Conte" che adorano il premier – insomma ora, nell'anno del signore 2020, pare quasi impossibile: eppure nel 2015 le perplessità erano molte, sulla sua lista. “Oggi invece si prendono a gomitate, per entrarci”, sorride il deputato azzurro Pierantonio Zanettin, soldato irriducibile di quell’esercito del Cav. che, specie nel Nord-Est, è in disfacimento.

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E insomma per evitare l’overbooking, stavolta Zaia ha deciso di costruirne addirittura una seconda, di lista satellite in suo sostegno. La chiamano “la lista degli amministratori”: ne dovrebbero far parte sindaci e assessori comunali che il governadòr ha blandito o aiutato, a seconda dei casi, in questo decennio di governo, e che ora cercano un posto al sole, sia pure incerto o striminzito. Compresa gente che un tempo era insospettabile, come quel Pietro Dalla Libera, già sindaco di Oderzo, a Treviso, e sostenitore di Alessandra Moretti nel 2015, che poi si è andato sempre più avvicinando al Divo Luca. E insomma sarà pur vero come malignano certi leghisti, che quella nuova lista sarebbe più che altro un refugium peccatorum che faticherebbe a superare lo sbarramento del 3 per cento, eleggendo così al massimo un solo candidato, ma sarebbe comunque una grana per Matteo Salvini

 

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Perché il segretario della Lega, quella data del 20 settembre, l’ha già segnata sul calendario in rosso come un dies alliensis, giorno di sciagura preventivato: ché mentre lui, nella sua Lombardia, non riesce neppure a convincere quel pasticcione di Attilio Fontana ad allestire il rimpasto che tutti i lumbàrd ormai invocano, il suo nemico interno Zaia – che manco a dirlo parla degli assessori di Fontana, specie Gallera e Caparini, con epiteti irripetibili – celebrerebbe il suo trionfo con percentuali che pure in Bulgaria apparirebbero sospette (male che va il 70, ma i suoi puntano all’80 per cento). Perfino Giancarlo Giorgetti, silente e sornione come non mai, ha capito che un problema c’è, se è vero che ai suoi interlocutori privilegiati dell’ambasciata americana, a metà giugno, ha detto quel che ha ripetuto poi a più d’un suo compagno di partito, e cioè che “Zaia è ormai il peggior incubo di Salvini, e pure di Conte”.

 

E dunque ecco che, se proprio non può evitare l’apoteosi del Doge, il Capitano vorrebbe almeno che questa non coincidesse con una sua mortificazione. Per questo vorrebbe tanto che quella lista degli amministratori Zaia rinunciasse a farla, ché quei pur pochi punti potrebbero logorare ancor più il consenso della “Lega per Salvini Premier” e allora i rapporti di forza, dentro e fuori dal Veneto, potrebbero cambiare. Perché già cinque anni fa, quella “lista Zaia” che pure era stata un poco improvvisata prese 100 mila voti e cinque punti percentuali in più della “Lega Nord”. Stavolta, con la stella personale del governatore che rifulge e il dissenso dei militanti storici per la svolta “nazionale” del Truce che monta, le differenze potrebbero essere ancora maggiori. Tanto più che, a differenza del 2015, oggi anche Fratelli d’Italia rosicchia non poco, nell’elettorato leghista, nonostante le faide interne tra i vari capibastone locali, tra il vecchio padrone delle tessere Sergio Berlato e il nuovo pretoriano della Meloni, Luca De Carlo. Che in effetti, con garbata litote, ammette che sì, “noi di FdI, da una lista dei sindaci in sostegno di Zaia, saremmo quelli non sfavoriti”.

 

Anche per questo Salvini vorrebbe che alla composizione delle liste, tutte quante, soprintendessero i suoi fedelissimi: ma l’idea iniziale di affidare la regia al solo Lorenzo Fontana, commissario della Liga, è stata subito stoppata da Zaia. Ne è venuto fuori un direttorio allargato con sei persone (oltre a Zaia e Fontana, ci stanno anche la Stefani e Bitonci, e i consiglieri regionali Marcato e Finco) che, dicono i ben informati, il governatore non avrà difficoltà a indirizzare come meglio crede. “Ma comunque la resa dei conti non ci sarà ora”, ragiona Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e un tempo nemico giurato di Zaia, che però potrebbe ora andare a Canossa (“Sosterrò sicuramente le liste del centrodestra”, dice, laconico) sapendo che poi il sostegno del presidente gli servirà nel 2022, quando vorrà ritentare la corsa alle comunali della sua città. “Luca non è certo uno sprovveduto: sa che per lui, ormai al terzo mandato in regione, la prossima finestra utile per andare a Roma sarebbe solo nel 2023, con le politiche. E dunque perché dovrebbe aprilo ora, il conflitto con Salvini?”.

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