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W il populismo che rottama il pacifismo

Claudio Cerasa

Dovevano diminuire le truppe, disimpegnarsi dal mondo. E invece il governo a trazione grillina ha fatto il contrario. Più militari e più soldi per le missioni, più democrazia esportata. Lezioni dal principio di realtà: un documento choc

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Le polemiche estive relative ai problemi legati al governo dell’immigrazione hanno riportato al centro della scena pubblica un tema che periodicamente affiora all’interno del dibattito politico e che riguarda la necessità o meno da parte dell’Italia di rifinanziare alcune missioni militari che impegnano il nostro paese al di fuori dei confini nazionali. Nel caso specifico, la polemica più recente è quella andata in scena qualche giorno fa quando la Camera, tra le altre cose, ha votato il rifinanziamento di una discussa missione in Libia, che riguarda la proroga della partecipazione del personale della Guardia di Finanza italiana alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera libica.

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Le polemiche estive relative ai problemi legati al governo dell’immigrazione hanno riportato al centro della scena pubblica un tema che periodicamente affiora all’interno del dibattito politico e che riguarda la necessità o meno da parte dell’Italia di rifinanziare alcune missioni militari che impegnano il nostro paese al di fuori dei confini nazionali. Nel caso specifico, la polemica più recente è quella andata in scena qualche giorno fa quando la Camera, tra le altre cose, ha votato il rifinanziamento di una discussa missione in Libia, che riguarda la proroga della partecipazione del personale della Guardia di Finanza italiana alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera libica.

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Quel voto alla Camera – che ha confermato anche la presenza dei soldati italiani in Libano, uno dei quali è stato ferito due giorni fa nella mega esplosione a Beirut – ha fatto discutere per questioni legate alla legittimità per un paese come l’Italia di addestrare e fornire mezzi navali a un organismo che è sì cruciale per la gestione dei flussi dal Nordafrica ma che è accusato di essere in rapporti diretti con i trafficanti di esseri umani. Ciò che invece non è stato notato all’interno di quella votazione ha a che fare con un particolare non secondario relativo all’impegno assunto dal contingente italiano al di fuori dei nostri confini. E quel particolare è cruciale per mostrare una traiettoria ormai ricorrente del populismo: promettere di scassare il mondo, prendere voti per farlo, andare allegramente al governo, poi accorgersi delle stupidaggini raccontate agli elettori e comprendere infine che una volta arrivati al potere l’unica possibilità che si ha per sopravvivere è smentire le proprie promesse facendo i conti con la realtà. Il particolare in questione è quello che si indovina leggendo il testo del decreto, che ha autorizzato il rinnovo delle 49 missioni in cui è impegnato il nostro paese in giro per il mondo aggiungendone anche altre cinque nuove, e lo si comprende bene leggendo un allegato di quel decreto, preparato dal centro studi della Camera dei deputati il cui presidente è come è noto l’ultra pacifista Roberto Fico, che ci racconta nel dettaglio quello che nessun populista di governo oggi avrebbe il coraggio di ammettere: negli ultimi anni, specie negli ultimi dodici mesi, il Parlamento italiano, governato in prevalenza da forze politiche che avevano promesso di ritirare le truppe da mezzo mondo e che avevano fatto dell’utopia pacifista un proprio cavallo di battaglia, ha aumentato il numero di truppe in giro per il mondo e ha aumentato anche il numero di soldi spesi per finanziare quelle truppe.

 

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L’ufficio studi della Camera dei deputati ha fatto due calcoli e ha messo insieme i numeri relativi agli oneri finanziari delle missioni internazionali nel periodo 2004-2020, come riportati dalla Relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello stato, e ha scoperto quanto segue. Il contingente italiano impegnato in Bosnia dal 2019 al 2020 è passato da cinque unità a quattro unità. Quello impegnato nei Balcani è passato da 538 unità a 628 unità. Quello impegnato nel Mediterraneo orientale è passato da 4 unità a 280 unità. Quello impegnato in Lettonia, nell’ambito di un progetto di potenziamento aereo della regione previsto dalla Nato, è passato da 130 unità a 135 unità. Nell’ambito delle partecipazioni italiane a missioni militari internazionali, l’Italia ha 800 unità in Afghanistan (come nel 2019, 100 in meno del 2018), ha 1.206 unità in Libano (come nel 2019 e più del 2018), ha 33 persone schierate tra Israele e Palestina (una in più del 2019), ha 36 unità in più schierate in Iraq rispetto al 2019, ha 10 unità in più schierate tra gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Qatar nell’ambito di una missione militare a supporto della Croce Rossa, ha 25 unità in più rispetto al 2019 in Somalia, 25 in più a Gibuti, 17 in più in Niger, 200 in più nel Sahel, 400 in più nel Golfo di Guinea. Risultato finale: il totale del personale militare italiano impegnato in missioni militari internazionali nel 2020 è arrivato a una cifra che l’Italia non raggiungeva dal 2006: 8.660, contro i 7.383 del 2019, e con un incremento di spesa considerevole che riporta lo stanziamento su questo fronte ai livelli del governo tecnico di Mario Monti (1.155 milioni nel 2020, 1.125 milioni nel 2019, 1.124 milioni nel 2018).

 

Il tutto senza considerare i costi delle missioni delle Forze di polizia di competenza del ministero dell’Interno (6,9 milioni di euro per il 2020) e i costi degli interventi di competenza del ministero degli Affari esteri (296 milioni di euro per il 2020). I più sciocchi potrebbero utilizzare questi dati per dimostrare ancora una volta la solita e vergognosa incoerenza del populismo. I meno sciocchi potrebbero invece utilizzare questi dati per fare un ragionamento forse più interessante: per quanto si possa fare gli sfascisti, alla fine persino i populisti capiscono che un paese europeo del G8 che fa parte della Nato, per difendere i suoi confini, per proteggere i suoi cittadini, per perseguire l’interesse nazionale, deve fare i conti con la struttura del mondo in cui si trova e con il fitto reticolato di alleanze e di automatismi ereditato dai tempi della Seconda guerra mondiale. E il fatto che oggi a rifinanziare missioni all’estero come quella nel Sahel – strategica per provare a governare i flussi migratori prima che questi diventino ingovernabili in Libia – ci sia lo stesso partito, il M5s, che tre anni fa, ai tempi del governo Gentiloni, si rifiutò in Parlamento di votare a favore di quella stessa missione non è certo il segno della maturità di un partito populista (la strada è lunga) ma è il segno di una vecchia regola della politica: quando un’ideologia fuori dal mondo deve confrontarsi con il mondo, abbandonare le proprie ideologie è l’unico modo per non essere travolti. E le missioni all’estero, da questo punto di vista, sono una lezione ulteriore che più che mostrare l’incoerenza della politica mostra semplicemente la capacità dello stato di mettere anche i politici più cialtroni di fronte allo spietato specchio della realtà.

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