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“Lo stato deve aiutare a trovare redditività dove non c’è”, dice Melilli

Valerio Valentini

Più crescita, meno sussidi. Parla il nuovo presidente della commissione Bilancio. “Il Recovery non legittimi spese scriteriate”

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Roma. Esibisce un’umiltà che pare quasi di maniera. “Non mi pare – ci dice – di poter essere ricompreso tra coloro che vivono di imponenti certezze”. Parla insomma coi toni compassati dei democristiani vecchio stile, Fabio Melilli: che del resto, a Montecitorio, è uno dei più fedeli colonnelli di quel silente esercito che risponde agli ordini di Dario Franceschini, e che però al momento del bisogno sa farsi sentire. E infatti Melilli, già sindaco della sua Poggio Moiano, direttore generale dell’Anci, presidente della provincia di Rieti e dell’Unione delle province italiane, due volte deputato, una vita trascorsa a angustiarsi sui problemi dei piccoli comuni, dell’Italia marginale, mercoledì scorso s’è accaparrato la presidenza della commissione più ambita. Ritrovandosi così a succedere a Claudio Borghi alla presidenza della Bilancio. “Avverto, sì, la necessità di un lavoro paziente di corretto mantenimento dell’equilibrio tra governo e Parlamento, perché da quell’equilibrio discende la forza di un paese democratico”.

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Roma. Esibisce un’umiltà che pare quasi di maniera. “Non mi pare – ci dice – di poter essere ricompreso tra coloro che vivono di imponenti certezze”. Parla insomma coi toni compassati dei democristiani vecchio stile, Fabio Melilli: che del resto, a Montecitorio, è uno dei più fedeli colonnelli di quel silente esercito che risponde agli ordini di Dario Franceschini, e che però al momento del bisogno sa farsi sentire. E infatti Melilli, già sindaco della sua Poggio Moiano, direttore generale dell’Anci, presidente della provincia di Rieti e dell’Unione delle province italiane, due volte deputato, una vita trascorsa a angustiarsi sui problemi dei piccoli comuni, dell’Italia marginale, mercoledì scorso s’è accaparrato la presidenza della commissione più ambita. Ritrovandosi così a succedere a Claudio Borghi alla presidenza della Bilancio. “Avverto, sì, la necessità di un lavoro paziente di corretto mantenimento dell’equilibrio tra governo e Parlamento, perché da quell’equilibrio discende la forza di un paese democratico”.

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E avverte anche, ovviamente, l’incombere del Recovery plan, che al rientro dalle vacanze impegnerà non poco la sua commissione. “In effetti mi toccherà subito essere antipatico intensificando immediatamente il ritmo dei lavori. Spero che tutto ciò aiuti le Camere a esprimere delle linee d’indirizzo che il governo utilizzerà al meglio per definire il quadro del Recovery, da allegare poi alla Nadef”. Ha in mente qualche priorità? “Alcune ce le ha segnalate l’Europa, e sono sacrosante: la connettività, la transizione verso la green economy, la ricerca e la formazione. Su scuola e università spero davvero che si possa segnare un cambio di passo della politica italiana, finanziando il sistema educativo e l’accompagnamento dei laureati più brillanti anche in percorsi imprenditoriali di successo. Da questo punto di vista, lasciatemi dire che il dibattito sulle famigerate ‘condizionalità’ mi ha sorpreso non poco: che la commissione di Bruxelles, erogando dei fondi, indichi anche dei parametri di spesa, mi pare naturale”.

 

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Questo Recovery plan sarà davvero l’occasione per inaugurare una nuova stagione di interventismo statale nell’economia? “Io, personalmente, ho in mente uno stato che esercita la sua rigorosa funzione di controllo, limitato e non invadente, lasciando dispiegare, in un quadro di regole certe, la forza dell’intraprendere che ha fatto grande il nostro paese. L’emergenza del Covid ci pone di fronte all’esigenza di scelte drastiche, ma appunto in un’ottica emergenziale”. Pensa alle polemiche sull’ingresso pubblico nella governance delle aziende che chiedono aiuti? “Dovrà essere, in ogni caso, una presenza non lunga: lo stato può affacciarsi, non entrare in pianta stabile”.

 

Ma non sarà che, dietro l’alibi dell’emergenza sanitaria, si vuole imporre una certa idea di “stato imprenditore” che propone nazionalizzazioni che col Covid hanno poco a che vedere, come Alitalia ed Aspi? “Non sono un fan della compagnia di bandiera a tutti i costi, ma soluzioni di mercato puro, per Alitalia, avevano senso qualche anno fa: la mancanza di coraggio di allora ci costringe a intervenire adesso, in un’ottica che però spero sia di rilancio, e non di assistenza. Quanto ad Aspi, la politica ha perso negli anni troppa autorevolezza nel rapporto coi concessionari, e dunque è un bene che quel rapporto sia riequilibrato a vantaggio degli investimenti per la sicurezza, e non della rendita. La trattativa con Atlantia è invece un libro ancora tutto da scrivere”.

 

E però, da “keynesiano non pentito”, Melilli dice che la sua idea di keynesismo non c’entra, con le nazionalizzazioni: “Per me, lo stato deve aiutare il privato a creare valore e trovare redditività anche laddove le pure logiche del mercato non lo consentirebbero, con conseguente danno per la vita dei cittadini. Penso alla rete veloce nelle aree bianche, alla mancanza di infrastrutture nelle aree interne, penso agli investimenti al sud e nelle piccole città. Da questo punto di vista, vorrei che il Recovery servisse a superare questa dinamica delle due velocità tra centro e periferia, oltre che tra nord e sud. Abbiamo a disposizione una quantità di risorse impensabile fino a qualche settimana fa: usiamola per stimolare la crescita, non in ottica assistenzialista, e con la consapevolezza che la sospensione dei vincoli di bilancio non può dar luogo a politiche irresponsabili. Su questo vale per tutti il richiamo del Presidente della Repubblica”. Avanzo primario è una bella espressione, per un deputato del Pd? “L’avanzo primario è sempre un importante obiettivo da perseguire”.

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E poi c’è il Mes. “La posizione del mio partito è nota e io la condivido. Spero che diventi anche quella della maggioranza”. Anche perché altrimenti si prefigurerebbe un cambio di equilibri, col soccorso interessato di Forza Italia: e proprio la commissione Bilancio, allora, potrà essere l’incubatore di quella maggioranza Ursula spesso vagheggiata. “Mi pare che si voglia dare alla mia commissione un compito che non ha. Certamente la straordinarietà dell’evento, questo piano così impegnativo che siamo chiamati a varare, richiederà un coinvolgimento di tutte le forze parlamentari, e io da presidente non posso che auspicare le più ampie convergenze nei lavori di commissione. Il resto è materia per la politica”. A proposito: servono commissioni speciali, per questo lavoro così delicato? “Sono certo che le regole attuali consentano di fare presto e bene. Ma il Parlamento ha piena sovranità, in questo”.

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