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I mercoledì del sig. Davide

Salvatore Merlo

Una volta alla settimana, zaino in spalla, Casaleggio è a Roma per contare amici e nemici nel M5s che sfugge alle sue briglie

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Lo si incontra di buon mattino alla stazione centrale di Milano, lo si vede salire sul Frecciarossa direzione Termini, zainetto in spalla, e poi ecco l’approdo a Roma, la città della politica e dei guai grillini, dove lui arriva tuffandosi come in uno specchio.

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Lo si incontra di buon mattino alla stazione centrale di Milano, lo si vede salire sul Frecciarossa direzione Termini, zainetto in spalla, e poi ecco l’approdo a Roma, la città della politica e dei guai grillini, dove lui arriva tuffandosi come in uno specchio.

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I pranzi all’hotel Forum con Massimo Bugani, gli incontri a Palazzo Chigi con i sottosegretari e talvolta con Giuseppe Conte, le cene al Ghetto o in un ristorantino, sempre lo stesso, nei pressi di Via XX Settembre, zona ministeriale, assieme a quei parlamentari del M5s di cui ancora crede di potersi fidare (ma sempre meno). 

 

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E insomma ogni mercoledì, o quasi, Davide Casaleggio si consegna a questo pendolarismo rituale, emotivo prima che politico. Infatti, come quel famoso Genny Savastano di “Gomorra” riteneva fondamentale alla propria sopravvivenza nel business l’esercizio settimanale di “contare gli amici e i nemici”, così anche il signor Davide, che dal padre non ha eredito un clan mafioso ma un partito, gira, incontra e annusa l’aria per tutta Roma proprio per capire chi sono gli amici e chi i nemici.

 

Una ricerca di conferme, inquieta, in quel Movimento cinque stelle che sempre meno gli risponde, e che sempre più è attraversato da velleità d’indipendenza, da una strisciante rivolta delle zucche. Culminata, ieri, per dire, in Senato, in una clamorosa modifica del regolamento del gruppo che ha cancellato il ruolo fin qui intoccabile della piattaforma Rousseau, il gran decisore digitale proprietà, appunto, del giovane Casaleggio.

 

Ed ecco allora Taverna, Buffagni, Fico, Di Maio… i loro incontri con Davide si tengono su con gli spilli d’una gentilezza bugiarda a coprire disamore e diffidenza. Lui vorrebbe un nuovo capo politico, Alessandro Di Battista. Loro non ci pensano nemmeno.

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E allora Davide, ogni mercoledì, chiede, s’informa, prende appunti mentali e rinnova la mappa delle relazioni e degli equilibri dentro al Movimento, fa di conto, tasta la propria debolezza e i margini di manovra che gli restano. Le malelingue facilmente ironizzano, dicono che i suoi viaggi servono a curare gli affari della sua aziendina ormai divenuta una piccola lobby, “perché lui è uno che parla poco ma bada al sodo”, e dunque riempiono queste gite romane di favole torbide intorno ai suoi presunti interessi nel 5G cinese e addirittura su una sua fumosa insistenza in merito all’utilizzo dei miliardi del Recovery fund.

  

Eppure, in realtà, come ben sanno i suoi interlocutori romani, cioè quelli che lui si porta a cena chiedendo spiegazioni (e confessando timori), i mercoledì del signor Davide sono tutt’altro che manifestazioni di forza padronale. Ma sono appunto gli incontri trafelati d’un ereditiere che per la prima volta sente franare tutte le sicurezze sulle quali prima, da proprietario, poggiava i piedi.

 

 

Due settimane fa aveva organizzato a Milano una specie di gran ritrovo grillino, “Le olimpiadi delle idee”, per comunicare l’immagine dell’armonia tra lui e il cosiddetto gruppo dirigente grillino. S’erano allora presentati Di Maio e Laura Castelli, i ministeriali tutti e i tanti piccoli capoccia, che sono poi i suoi nemici nell’ombra, ciascuno impegnato a manifestare buoni sentimenti e comunanza d’intenti.

 

Ma proprio nel corso di questa iniziativa, Davide s’è appartato per una decina di minuti con Virginia Raggi, la sindaca di Roma interessata a trovare sostegno per la sua ricandidatura. Ed è lì che si è invece rivelata la distanza e la freddezza. Davide è rimasto in silenzio, ha osservato la piccola sindaca diafana, un po’ ha sorriso, ma alla Raggi non ha dato alcuna risposta, confermando, al contrario, quelle convinzioni personali che sono l’esatto opposto di ciò che pensano Raggi, Di Maio, Taverna, Fico e gli altri.

 

Loro vogliono una deroga al divieto di ricandidatura, lui è contrario. Loro vorrebbero modificare lo statuto del M5s, lui è contrario. Lui vuole Dibba, lo scamiciato che non si è compromesso né con la Lega né col Pd. Ma a differenza di Di Maio e degli altri ragazzi ormai cresciuti, Davide è solo, o quasi.

 

Quelli possono contare sul sostegno dei gruppi parlamentari, e in particolare sull’appoggio di quei deputati e senatori alla prima legislatura che con sommo disprezzo nemmeno pagano l’obolo di duecento euro per il mantenimento di Rousseau. A Casaleggio rimangono pochi e sempre meno amici. Per questo viene a Roma, a soppesare la fedeltà di ognuno.

 

Sembra quasi di vederlo, dopo 24 ore d’incontri, ancora più confuso di prima, mentre rimette sulle spalle lo zainetto e torna a casa a Milano, convinto di non aver risolto niente. Ma con l’intima certezza di dover tornare, ancora, il mercoledì successivo.

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