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Il vero processo che serve su Salvini

Claudio Cerasa

Si può governare l’immigrazione rispettando lo stato di diritto. Si può proteggere l’Italia senza opporre sicurezza e umanità. Perché i partiti che vogliono archiviare il trucismo salviniano possono trovare alternative diverse dalla via giudiziaria

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Nessuna persona con la testa sulle spalle può augurarsi che il destino politico di un leader di partito venga deciso da una procura della Repubblica e il ragionamento naturalmente vale anche per Matteo Salvini che oggi pomeriggio in Senato dovrà difendersi da una richiesta a procedere da parte del Tribunale dei ministri che accusa l’ex ministro dell’Interno di “sequestro di persona plurimo aggravato e rifiuto di atti d’ufficio” per aver trattenuto nell’agosto del 2019 a bordo della nave Open Arms 164 migranti fatti scendere dalla stessa nave solo dopo venti giorni su ordine della procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio.

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Nessuna persona con la testa sulle spalle può augurarsi che il destino politico di un leader di partito venga deciso da una procura della Repubblica e il ragionamento naturalmente vale anche per Matteo Salvini che oggi pomeriggio in Senato dovrà difendersi da una richiesta a procedere da parte del Tribunale dei ministri che accusa l’ex ministro dell’Interno di “sequestro di persona plurimo aggravato e rifiuto di atti d’ufficio” per aver trattenuto nell’agosto del 2019 a bordo della nave Open Arms 164 migranti fatti scendere dalla stessa nave solo dopo venti giorni su ordine della procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio.

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Nessuna persona con la testa sulle spalle può augurarsi che il destino politico di un leader di partito venga deciso da una procura della Repubblica (anche se in ballo oggi, al Senato, non c’è un tema legato al garantismo, ma c’è un tema legato al rispetto dello stato di diritto). Ma allo stesso tempo nessuna persona con la testa sulle spalle può augurarsi che la verità alternativa che il leader della Lega sta cercando di spacciare in queste ore, come uno stupefacente, possa continuare a essere diffusa a lungo come tale. E in questo senso l’occasione del dibattito sul caso Salvini può rappresentare un test di maturità da parte della maggioranza per dimostrare di non essere affetta dal michelamurgismo e per provare a fissare alcuni paletti utili a distinguere una politica migratoria basata sugli hashtag da rilanciare e una basata su una visione da rivendicare.

 

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Ci si può girare attorno quanto si vuole ma la ragione per cui in queste ore Matteo Salvini è tornato prepotentemente a scommettere sul tema dell’invasione dei “migranti infetti” non ha a che fare solo con il tema dei sondaggi da rintuzzare. Ha a che fare, invece, con qualcosa di più sofisticato, che riguarda una teoria che il partito unico del nazionalismo populista tenterà anche oggi di rivendicare: governare l’immigrazione è impossibile senza mettere in contrapposizione sicurezza e umanità. Il sottotesto del messaggio politico di Salvini è quello che il leader della Lega ieri ha fatto trapelare fra le righe del suo discorso difensivo sul caso Open Arms. E in modo piuttosto esplicito, l’ex ministro dell’Interno rivendica un principio che dovrebbe far riflettere, ovverosia l’idea che i voti ricevuti ti possano permettere di essere considerato al di sopra della legge.

 

Al di là dei singoli dettagli della difesa di Salvini, ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno sul tema delle politiche migratorie è un formidabile processo politico finalizzato a inchiodare il salvinismo a una doppia verità. La prima verità è di natura giuridica e Salvini dovrebbe sapere (a) che in virtù degli articoli 10 e 117 della Costituzione “una norma di rango primario non può essere in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia” e che (b) quando si parla di diritto del mare vi sono alcuni doveri a cui gli stati devono adempiere che hanno a che fare con il diritto alla vita e il rispetto della libertà e della dignità umana.

 

La seconda verità, meno tecnica e più politica, è che l’approccio rivendicato oggi da Salvini per salvare l’Italia dalle famigerate invasioni dei migranti è un approccio che sfida non solo le leggi italiane (lo scorso agosto, non senza qualche ragione, il Tribunale dei minori di Palermo descrisse il caso della Open Arms come “una situazione che equivale, in punto di fatto, a un respingimento o diniego di ingresso a un valico di frontiera” e il respingimento come è noto è vietato sia dalle leggi italiane sia da quelle internazionali) ma anche le leggi della logica.

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Oggi in Senato Salvini ripeterà probabilmente il solito ritornello, “se mi processeranno per aver difeso i confini, la sicurezza e l’onore del nostro paese, sarà come se processassero tutto il popolo italiano”, ma ciò che il leader della Lega non potrà ammettere è che la sua visione sulle politiche migratorie rappresenta un pericolo non solo per chi si trova a migrare in mezzo al mare ma anche per chi si trova a vivere sulla terra ferma. Salvini vuole dimostrare che non c’è possibilità alcuna di far coesistere sicurezza e umanità, principio che nelle non democrazie va molto di moda, perché nella grammatica politica del leader leghista l’immigrazione non può essere governata ma deve essere semplicemente bloccata. E deve essere bloccata per una ragione semplice: per governare l’immigrazione, per far coesistere cioè sicurezza e umanità, il nazionalista collettivo sarebbe costretto a rimangiarsi tutto ciò che ha beceramente predicato per anni e sarebbe costretto a dire tutto ciò che oggi non si può permettere di riconoscere.

 

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Dovrebbe riconoscere, per esempio, che per poter gestire i flussi dei migranti dal Nordafrica l’Italia non ha bisogno di meno Europa ma ha bisogno di più Europa ed è per questo che la Lega non può permettersi di parlare di corridoi umanitari che aiuterebbero a combattere i flussi illegali di migranti. Dovrebbe riconoscere, per esempio, che solo con una maggiore integrazione un paese come l’Italia potrebbe avere qualche speranza di condividere i migranti arrivati sulle proprie coste con il resto d’Europa e organizzare anche un maggior numero di rimpatri. Dovrebbe riconoscere, per esempio, che per poter governare il Mediterraneo l’Italia non può pensare di fare tutto da sola ma ha bisogno di chiedere un aiuto ai suoi vicini di casa e solo un governo con Salvini come ministro dell’Interno poteva essere orgoglioso di aver creato le condizioni per far sì che l’unica missione navale prevista dall’Europa nel Mediterraneo (Sophia) potesse trasformarsi nell’unica missione navale al mondo in cui le navi non possono uscire dai porti. Dovrebbe riconoscere, infine, che un paese che vuole gestire l’immigrazione non può pensare che il modo migliore di governare il dossier sia fare quello che ha provato a fare Salvini per un anno, ovverosia smontare le strutture preposte all’integrazione dei migranti (Sprar) trasformando tutti i clandestini in irregolari (la Corte costituzionale, grazie al cielo, lo scorso luglio ha dichiarato non costituzionale il divieto di iscrizione all’anagrafe dai parte dei richiedenti asilo previsto dai vecchi decreti Salvini e considerando il fatto che per poter avere diritto alla protezione sanitaria occorre essere iscritti all’anagrafe non ci vuole molto a capire che guaio sarebbe stato per l’Italia avere ancora oggi il salvinismo al governo). Il vero processo che servirebbe contro Salvini è questo. E ha a che fare con un’accusa persino più importante rispetto a quella da cui dovrà difendersi il leader della Lega in caso di autorizzazione a procedere da parte del Senato: il problema del salvinismo (perseguitato più dalla diabolica realtà che da giudici senza cuore) non è il suo essere un pugno nello stomaco della legge ma è essere un pugno per la tutela della sicurezza dell’Italia. E mai come oggi forse i partiti che sognano di creare un’alternativa al salvinismo (toc toc, caro Pd) dovrebbero trovare un’alternativa al salvinismo che sia diversa dalla via giudiziaria.

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