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i travagli nel centrodestra

E adesso Forza Italia ci ripensa: "Lo scostamento di bilancio non lo votiamo"

Valerio Valentini

Brunetta non si accontenta, Mulè non ci sta: "Non ci comprano con una poltrona". Le parole di Bonomi e quelle di D'Incà, cosa c'è dietro alla svolta azzurra. Stasera Tajani si confronta con Salvini e Meloni

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La lusinga, certo. Ma le lusinghe non bastano. "Qui non è questione di concederci una presidenza di commissione", sbotta di buon mattino Renato Brunetta, che della commissione in questione, quella bicamerale sul Recovery fund, sarebbe pure il presidente designato. "Qui la questione è politica", prosegue il deputato di Forza Italia, responsabile economico del partito. "E se il governo non convoca i leader dell'opposizione, il pollice resta verso". E dunque, nell'oscillazione continua e imprevedibile del barometro che misura il livello di pressione dell'opposizione azzurra – "Opposizione responsabile, ma non passiva", precisa la capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini –, il tempo adesso volge al brutto. "Certo che non glielo votiamo, lo scostamento di bilancio", sentenzia Giorgio Mulè, gran confidente del Cav. "Se Giuseppe Conte e i suoi abili consiglieri pensano di comprarci con una poltrona, si sbagliano di grosso". Lo stesso Antonio Tajani, a quanto pare, ha fatto sapere a Palazzo Chigi che le dichiarazioni di giornata di Federico D'Incà, il ministro grillino per i Rapporti col Parlamento, chiudono ogni discorso. "Per D'Incà la maggioranza è autosufficiente anche al Senato? E allora lo scostamento votatevelo da soli". 

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La lusinga, certo. Ma le lusinghe non bastano. "Qui non è questione di concederci una presidenza di commissione", sbotta di buon mattino Renato Brunetta, che della commissione in questione, quella bicamerale sul Recovery fund, sarebbe pure il presidente designato. "Qui la questione è politica", prosegue il deputato di Forza Italia, responsabile economico del partito. "E se il governo non convoca i leader dell'opposizione, il pollice resta verso". E dunque, nell'oscillazione continua e imprevedibile del barometro che misura il livello di pressione dell'opposizione azzurra – "Opposizione responsabile, ma non passiva", precisa la capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini –, il tempo adesso volge al brutto. "Certo che non glielo votiamo, lo scostamento di bilancio", sentenzia Giorgio Mulè, gran confidente del Cav. "Se Giuseppe Conte e i suoi abili consiglieri pensano di comprarci con una poltrona, si sbagliano di grosso". Lo stesso Antonio Tajani, a quanto pare, ha fatto sapere a Palazzo Chigi che le dichiarazioni di giornata di Federico D'Incà, il ministro grillino per i Rapporti col Parlamento, chiudono ogni discorso. "Per D'Incà la maggioranza è autosufficiente anche al Senato? E allora lo scostamento votatevelo da soli". 

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In effetti i numeri, in vista del rodeo in Aula di domani, ci sono davvero. Secondo il pallottoliere di Largo Chigi, sarebbero 167 o 168 i voti sicuri: una manciata in più di quelli che garantirebbero la soglia minima di 161. "Ma il problema è che non si parla solo di numeri di maggioranza – insiste allora Mulè – ma di una comunità parlamentare che deve ritrovarsi unita intorno a un progetto di rilancio del paese". E il progetto, in effetti, non c'è. "Noi manteniamo questa posizione responsabile, che ci indurrebbe a votare a favore dello scostamento", dice Lucio Malan, vice capogruppo al Senato. "Ma è difficile farlo con un governo che ostentatamente ci respinge e ignora ogni nostra proposta. Insomma: dovrebbero aiutarci ad aiutarli. Dovrebbero ammettere, come del resto ha già fatto il ministro dell'Economia Gualtieri paventando problemi di tenuta finanziaria del paese, che non è pensabile fare un piano sul Recovery senza includervi anche i fondi del Mes". 

 

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E detta così, allora, la partita sembra chiusa, la decisione presa: nessuna convergenza sullo scostamento. Che è un po' l'esatto opposto di quel che si vociferava ieri in Transatlantico, quando nei capannelli di forzisti si dava già per scontato il voto a favore del governo. Ma poi, certo, le parole di Carlo Bonomi, stamane, sul Corriere, quella reprimenda senza sconti del presidente di Confindustria all'inconcludenza dell'esecutivo, è arrivata come un sasso contro la vetrata di San Lorenzo in Lucina, la sede romana di Forza Italia dove, non a caso, oggi pomeriggio alle 18 Tajani radunerà i parlamentari azzurri per comunicargli una decisione sorprendente: "Al momento non ci sono ragioni che ci spingano a dare fiducia a questo governo".

 

Nello stesso pomeriggio, d'altronde, Tajani sentirà anche Giorgia meloni e Matteo Salvini. E anche qui, certo, sta la ragione dei tentennamenti di Forza Italia: di fronte alla parziale apertura della Meloni, che però pone condizioni pressoché irricevibili a Conte in cambio di un eventuale sostegno a tempo, e alla rinnovata radicalità del capo leghista che sbraita ormai perfino contro le mascherine, dare un sostegno praticamente incondizionato al governo potrebbe tracciare una linea rossa: oltrepassata la quale non si potrebbe più tornare indietro. E forse, nonostante la nuova stagione costruttiva del Cav., non è ancora il momento delle decisioni irrevocabili, per Forza Italia: non fino al 20 settembre, almeno, quando al voto sulle regionali il centrodestra dovrà presentarsi unito. 

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