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le tensioni nel carroccio

Il primo ad aver perso fiducia in Fontana è proprio Salvini

Valerio Valentini

Il capo della Lega ha deciso: il rimpasto di giunta è inevitabile, in Lombardia. E va fatto prima del trionfo di Zaia in Veneto, a settembre. Ma al Pirellone c'è chi teme l'effetto domino

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Roma. A sentire chi gli sta vicino, lui avrebbe già deciso, e non da oggi, “ché così le cose in Regione non vanno mica bene”. Se non fosse che però, per paradossale che appaia, proprio ora che ad Attilio Fontana viene meno la terra sotto i piedi, Matteo Salvini tentenna, perché agire adesso apparirebbe un po’ un’implicita ammissione di colpa. E però lui è risoluto, il rimpasto di giunta va fatto e basta, se è vero che già da qualche settimana ha dato mandato in tal senso a Stefano Locatelli, trentaseienne sindaco di Chiudono, nel Bergamasco, e responsabile per il partito degli Enti locali, roba per cui un tempo nel Carroccio si sgomitava. E lui, da fedele soldato del salvinismo intransigente qual è, lavora sottobanco: messaggi, telefonate, chiacchierate riservate all’ombra del Pirellone.

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Roma. A sentire chi gli sta vicino, lui avrebbe già deciso, e non da oggi, “ché così le cose in Regione non vanno mica bene”. Se non fosse che però, per paradossale che appaia, proprio ora che ad Attilio Fontana viene meno la terra sotto i piedi, Matteo Salvini tentenna, perché agire adesso apparirebbe un po’ un’implicita ammissione di colpa. E però lui è risoluto, il rimpasto di giunta va fatto e basta, se è vero che già da qualche settimana ha dato mandato in tal senso a Stefano Locatelli, trentaseienne sindaco di Chiudono, nel Bergamasco, e responsabile per il partito degli Enti locali, roba per cui un tempo nel Carroccio si sgomitava. E lui, da fedele soldato del salvinismo intransigente qual è, lavora sottobanco: messaggi, telefonate, chiacchierate riservate all’ombra del Pirellone.

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D’altronde, a Via Bellerio, il malcontento per come la giunta Fontana ha gestito l’emergenza sanitaria è ormai insostenibile. Quando sulla chat della Lega lombarda alcuni dirigenti regionali arrivano a insultare in modo esplicito il loro presidente – ed è successo a inizio marzo, non ieri – vuol dire che l’insofferenza rischia di sfuggire di mano. Quando poi, nei confronti di quei dirigenti, si paventano dei richiami all’ordine, e la risposta della truppa è una sollevazione generale a loro difesa, si comprende anche la solitudine del governatore.

 

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Il quale, del resto, a ricoprire il suo incarico c’era arrivato un po’ per caso. Era l’inizio del gennaio del 2018, e Giancarlo Giorgetti fu avvertito di certe strane manovre che Roberto Maroni stava mettendo in atto per evitare l’election day di marzo. Quello mangiò la foglia, gli parve chiaro che “il Bobo” stava brigando per ritardare il voto in Lombardia, aspettare prima l’esito delle politiche per poi proporsi come papabile regista di una manovra di Palazzo che mirava a portare un gruppo di leghisti a sedersi al tavolo di un rinnovato Nazareno, insieme al Cav. e a Matteo Renzi. E così, quando Maroni annunciò che non si sarebbe ricandidato, adducendo “motivi personali”, Giorgetti aveva già pronta l’alternativa, in verità trovata un po’ di fretta, accontentandosi di quel che passava il convento. Persona colta e preparata, Fontana. Titolare di uno dei più prestigiosi studi legali della regione. E amministratore prudente, nella sua Varese che lo ha visto sindaco per dieci (perfino troppo prudente, mugugnano i suoi assessori d’allora, parlando di una prudenza che è quasi paura della firma, quel tremore che spesso coglie gli avvocati all’idea di un qualsiasi possibile abuso d’ufficio e che talvolta si risolve nell’inconcludenza). E che del resto non fosse un cuore temerario, Fontana, lo dimostrò subito: tre giorni dopo essere stato indicato come candidato del centrodestra, se ne uscì assai infelicemente con quella tesi per cui la troppa immigrazione metteva a rischio la italica “razza bianca”, e quando s’accorse della bestialità detta pensò di ritirarsi, seduta stante.

 

Insomma, che non sarebbe stata una passeggiata di salute, questo suo lustro al Pirellone, lo si era capito. Ma i pasticci e le incertezze nella gestione del Covid no, non erano preventivati: una faciloneria, specie comunicativa, che ha finito per far ricadere su di lui responsabilità che magari andavano più giustamente ripartite tra i suoi assessori, e a volte addossate anche al governo centrale, e al suo leader di partito che a giorni alterni invocava l’apertura di tutto e la chiusura di tutto. Come che sia, ora c’è da correre ai riparti. Salvini non può permettersi di arrivare alle regionali del 20 settembre, giorno del plebiscito per Luca Zaia in Veneto, con la sua regione, la Lombardia, il suo fortino, sulle prime pagine dei giornali per le improvvide disavventure di Fontana e soci. Ed è per questo che vorrebbe agire prima, sostituire certi nomi già cerchiati in rosso, stando agli spifferi di Via Bellerio: va rimossa Melania Rizzoli al Lavoro, è da sostituire Lara Magoni al Turismo, e così anche Giulio Gallera alla Sanità (se non fosse che silurare lui significherebbe dichiarare che sulla partita più importante di questi anni, quella sul coronavirus, si è toppato alla grande). E pure Davide Caparini, assessore al Bilancio, abbia dato di che rimpiangere il suo ben più strutturato predecessore, Massimo Garavaglia: ma silurare lui significherebbe scaricare un lumbàrd storico, figlio di un caro amico personale di Umberto Bossi, e insomma si rischierebbe l’esplosione dei dissidi interni, quell’effetto polveriera di cui Fontana ha una gran paura, e per questo chiede a Salvini di temporeggiare, di andarci cauto. E lui un po’ asseconda questo timore, un po’ però scalpita. Al punto che, a quanto pare, avrebbe già individuato dei possibili sostituti: il consigliere Alan Rizzi, un forzista affine al leghismo, un ruolo più prestigioso per Bruno Galli, assessore all’Autonomia un po’ sottoutilizzato ultimamente. Perfino qualche parlamentare sarebbe stato sondato, ché tanto restare a Roma a scaldare gli scranni dell’opposizione non è granché, come prospettiva: e qualcuno, come la deputata Simona Bordonali, già in giunta con Maroni, pare ci stia facendo un pensierino.

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