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leader impensabili

La Kompagna Meloni

Carmelo Caruso

La sinistra ha iniziato ad amarla, lei si smarca da Salvini e cambia slogan. Gli uomini e la nuova strategia. Prove di leadership

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Non è più quella di prima. E’ cambiata? A Giuseppe Conte ha riconosciuto che in Europa ha lottato (“e dunque noi abbiamo fatto il tifo. Abbiamo tifato Italia”) e con Silvio Berlusconi non sempre, ma spesso, la sera, chiacchiera al telefono perché “ha smesso di chiamarmi ‘Giorgia la bambina’. Dopo la maternità ha iniziato a guardarmi diversamente. Gli voglio bene”.

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Non è più quella di prima. E’ cambiata? A Giuseppe Conte ha riconosciuto che in Europa ha lottato (“e dunque noi abbiamo fatto il tifo. Abbiamo tifato Italia”) e con Silvio Berlusconi non sempre, ma spesso, la sera, chiacchiera al telefono perché “ha smesso di chiamarmi ‘Giorgia la bambina’. Dopo la maternità ha iniziato a guardarmi diversamente. Gli voglio bene”.

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E Giorgia Meloni non lo può dire a voce alta perché “fate attenzione. Mi stanno ricoprendo di complimenti, a sinistra, per farmi litigare, a destra, con Matteo”, ma qualcosa però le scappa e, allora, all’orecchio: “Io non vado in Puglia a formulare false promesse. La Lega è quella cosa. Noi ne siamo un’altra. Non siamo becerume”.

 

Per distanziarsi da Salvini ha preteso un nuovo slogan dopo l’appropriazione indebita di “Prima gli italiani”, scorciatoia lessicale di FdI ma che l’ex ministro ha prima razziato e poi manipolato: “Quando parla di patria non sa di cosa parla. Ne fa caricatura. Andrebbe denunciato” scrivono i parlamentari di FdI nelle loro chat.

 

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L’uomo che alla Meloni porge le parole giuste è un senatore e si chiama Giovanbattista Fazzolari, un messinese che conosce gli stretti e gli oceani e che in FdI ha la carica di responsabile del programma. Conversando con lui ha individuato la frase che la dovrebbe candidare alla maturità: “Che ne dici de ‘L’Italia in testa’? Rende l’idea che siamo noi quelli seri?”. 

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Goffredo Bettini, che è il maestro di Nicola Zingaretti e il tattico del Partito democratico, ha cominciato a dire che la sola destra possibile, oggi, è quella della Meloni (“Diciamolo. E’ brava”) e di Fabio Rampelli, l’amico Rampelli che per Bettini è “bravissimo. E’ merito suo se FdI non è il partito della paccottiglia fascista”.

 

E infatti, alle manifestazioni di FdI, non ci sono gli ultras, gli esaltati che Salvini non allontana ma che anzi chiama a raccolta per fare numero e schiuma. Su Silvia Romano, (come dimenticare?) le parole più tenere le hanno pronunciate gli uomini di FdI: “Merita rispetto”. A Roma, a Colle Oppio, laboratorio di questa originale idea di destra, Rampelli ha vietato i busti del Duce, quel carretto che qualche vecchio reduce ancora trasporta ma che per la Meloni è “roba stantia. Per carità”.

 

E non vuole allargare la famiglia, non a tutti costi, aprire le porte di casa ai fuoriusciti del M5s che Salvini invece raccatta ed esibisce sorridente nelle sue conferenze stampa: “Signori, eccone un altro”. Quando un suo deputato le ha fatto notare: “Guarda che sono pronti a venire con noi…”, lei ha replicato, a brutto muso, con questa frase: “Noi non prendiamo scarti”.

 

 

Non si è mai “presa” con Salvini dove per “presa” si indica l’intesa veloce, il matrimonio speciale tra temperamenti lontani (“Con Bobo Maroni era diverso. C’era simpatia vera”, confidano i suoi collaboratori). Malgrado sia importante l’unità del centrodestra, non dimentica che da ministro, e uomo forte, Salvini ha maltrattato la sua FdI che allora era un piccolo partito e non la forza che in queste settimane ha superato, nei sondaggi, la vecchia Alleanza nazionale (“non ci ha voluti al governo. Ricordatelo”). E sarà per il rancore, che è sempre il combustibile del successo, sarà l’opposizione a due governi che è palestra oratoria, ma in FdI è lentamente cresciuta una generazione nuova e ambiziosa: Giovanni Donzelli, Andrea Delmastro, Maria Teresa Bellucci, Gaetano Nastri, Marcello Gemmato.

 

Uno dei parlamentari più stimati è Federico Mollicone che si occupa di sovranità digitale e che difende la piccola editoria italiana scomparsa dall’agenda ma devastata dalla pandemia. Dice che la vera differenza tra FdI e la Lega è che “FdI ha un pensiero lungo mentre nella Lega, a volte, prevale il situazionismo”. FdI legge e questo – lo spiegava Franco Cardini, altro intellettuale che la destra ha purtroppo perso per strada – fa la differenza.

 

Tra i libri che la Meloni ha sul tavolo ci sono “Serotonina” di Houellebecq; “Politicamente Corretto. Storia di un’ideologia” di Eugenio Capozzi; “Da zero a uno. I segreti delle start up. Come si costruisce il futuro” di Peter Thiel; “Le tre profezie. Appunti sul futuro” di Giulio Tremonti.

 

In silenzio, la leader di FdI, ha pure scalato la Rai. Ha sollevato Ludovico De Meo fino alla poltrona più alta di Rai Due. In cda è sempre più “responsabile” il consigliere Giampaolo Rossi, in quota Meloni, che soccorre l’ad Fabrizio Salini, in perenne affanno per la composizione del consiglio che certo non lo favorisce. Le nomine di Mario Orfeo e di Franco Di Mare, rispettivamente al Tg3 e alla direzione di rete, sono passate grazie all’astensione di Rossi. Anche in Europa si sta muovendo con accortezza.

 

A Guido Crosetto, il gigante amico, ripete sempre: “La cosa di cui vado più fiera è aver portato FdI nella famiglia dei conservatori”. Con Conte ha modificato atteggiamento (“nessun assegno in bianco. Ma non posso sempre urlare. L’urlo è pericoloso. Lo paghi quando sei al governo. E io al governo ci vado”). Lui ha dimenticato le accuse di tradimento che la Meloni gli ha rivolto in piena pandemia (“ti aspetto a Palazzo Chigi”). Mai come ora può scegliere che parte interpretare: o perdersi con Salvini o farci dimenticare di Salvini.

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