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c'è confusione al nazareno

Sulla legge elettorale Zinga mette nei guai il suo Pd

Valerio Valentini

Il blitz alla Camera non riesce. E i renziani allora alzano la voce: "Se volete il nostro accordo, ci date la commissione Bilancio". Lo spaesamento dei dem per un'accelerazione senza senso. C'entrano Gianni Letta e Goffredo Bettini

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Ci sono momenti in cui il senso della giornata può essere sintetizzato anche così, in un sorriso esibito in Transatlantico. E alle sette della sera, quando Ettore Rosato s’affaccia nel cortile di Montecitorio, il suo sorriso sta a indicare che no, l’imboscata che Nicola Zingaretti voleva tendere, lui solo, a tre quarti del Parlamento (compreso un bel pezzo del partito di cui è segretario), non è riuscita. “Un po’ come Willy il coyote, che incespica nelle trappole che prepara per gli altri”; sarà, a ora di cena, la sintesi che i renziani offriranno al loro leader, desideroso di essere aggiornato.

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Ci sono momenti in cui il senso della giornata può essere sintetizzato anche così, in un sorriso esibito in Transatlantico. E alle sette della sera, quando Ettore Rosato s’affaccia nel cortile di Montecitorio, il suo sorriso sta a indicare che no, l’imboscata che Nicola Zingaretti voleva tendere, lui solo, a tre quarti del Parlamento (compreso un bel pezzo del partito di cui è segretario), non è riuscita. “Un po’ come Willy il coyote, che incespica nelle trappole che prepara per gli altri”; sarà, a ora di cena, la sintesi che i renziani offriranno al loro leader, desideroso di essere aggiornato.

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Il controblitz era scattato in mattinata: quando Iv, d’intesa con Forza Italia, ha comunicato al presidente della commissione Affari costituzionali, il grillino Giuseppe Brescia, che quel seggio in commissione rimasto vacante dopo la formazione del nuovo partito, era arrivato il caso di accaparrarselo: e così Rosato, proprio lui, veniva assegnato a quella commissione. Et pour cause, evidentemente: perché proprio nella Affari costituzionali, proprio ieri, si votava il testo sulla legge elettorale, quella con cui il Pd voleva imporre, forzando i tempi della politica se non quelli del calendario, l’approvazione del Tedeschellum, la legge proporzionale col 5 per cento di sbarramento. L’accelerazione, del resto, Zingaretti l’aveva ordinata giovedì scorso, col tono perentorio di chi mette in conto anche di doversi assumere la responsabilità di un eventuale disastro. Votare la legge elettorale così, senza un accordo con Iv e con Leu (che vorrebbe quantomeno abbassare lo sbarramento al 3 per cento), e con l’ostilità dichiarata delle opposizioni, non avrebbe senso, perché al primo voto segreto, in Aula, il testo verrebbe affossato. E siccome quando il senso non c’è, proliferano le speculazioni, ecco che tutti, nel gruppo del Pd, s’erano inventati esegeti del pensiero del segretario: Nicola vuole l’incidente per entrare al governo, Nicola vuole accusare Renzi di essere inaffidabile e andare al voto, Nicola vuole uccidere questa legge elettorale per poi riscriverne un’altra insieme a Forza Italia. ù

 

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“La verità – azzarda allora Giorgio Mulè, deputato azzurro e confidente del Cav. – è che questo è un accordo che Zingaretti, per interposto Goffredo Bettini, ha stretto con Gianni Letta per tornare al patto del Nazareno. Peccato, però, che né Zingaretti controlla i gruppi del Pd, né Letta quelli di FI”. E la lettura di Mulè non è, forse, del tutto infondata, se è vero che ieri mattina, nel giorno della prima prova di forza, ai deputati del Pd della commissione, assai scettici sull’opportunità della forzatura, Graziano Delrio trasmetteva il dispaccio giuntogli direttamente dal segretario: “Tranquilli, ché in FI ci saranno delle assenze concordate”. Se non che, all’appello iniziale, su sette componenti azzurri, i presenti erano sette. “Compatti e cazzuti”, esultava allora Francesco Paolo Sisto, capogruppo dei berlusconiani, che infatti sollevava subito una pregiudiziale dei lavori che, ridotta in sintesi, suonava così: “Il M5s, per via dei tanti abbandoni e delle espulsioni, deve veder ridotto il proprio peso in commissione e rinunciare, dunque, a un componente”. Non più sedici, dunque, ma quindici. E nel frattempo i deputati di Iv, con l’arrivo di Rosato, passavano da due a tre.

 

Tecnicismi, certo. “Ma è con quelli che organizzi i blitz”, se la rideva, a cose fatte, il leghista Giancarlo Giorgetti, informato sull’accaduto. Perché, con i tre di Iv contrari, insieme al centrodestra e al radicale Magi, i numeri d’improvviso non tornano più: 23 a 23, col bersaniano Federico Fornaro astenuto. Per fare sì che l’imboscata riesca, ci sarebbe bisogno che il M5s rinunciasse alla revoca di un suo esponente, o che il presidente Brescia voti in violazione alla prassi, o entrambe le cose. Ma siccome i grillini questa strana accelerazione di Zingaretti l’hanno capita ancor meno che i colleghi del Pd, e non capendo neppure si fidano (come sa anche Franceschini, interrogato nei giorni scorsi da Federico D’Incà, responsabile grillino nel governo per i Rapporti col Parlamento), Brescia decide di rimandare tutto: “Attendiamo che il presidente della Camera, Roberto Fico, ci dica cosa fare”. E in verità Fico, per via informale, al capogruppo grillino Davide Crippa ha già fatto sapere che sì, sia in Affari costituzionali, sia in Giustizia, il M5s dovrà perdere un esponente. E dunque tutto si rimescola, s’ingarbuglia di nuovo.

 

E Iv ne approfitta per far sapere che magari, chissà, alla fine potrebbe anche cedere: “Ma voi in cambio ci date la presidenza della Bilancio”. Che è come porre una condizione irricevibile, a ben vedere, anche perché difficilmente sul rinnovo dei vertici delle commissioni si chiuderà nei prossimi giorni. Insomma, un pastrocchio. Al punto che Fausto Raciti, dem di orientamento orfiniano nella Affari costituzionali, si dice già pronto “a richiedere una convocazione formale dei gruppi se permarrà la linea della fermezza” voluta da Zinga. “Anche perché io al proporzionale ci tengo davvero”, dice Raciti. “Ma difficilmente una legge elettorale pensata per coinvolgere anche le opposizioni la si può approvare con una prova di forza della maggioranza”.

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