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L’ascesa irresistibile di Gualtieri. Da ministro a quasi premier

Carmelo Caruso

Artefice del difficile accordo fra governo e Autostrade. Silenzioso ma decisivo in Europa. Incarichi, collaboratori dello storico diventato economista

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Adesso, anche nel Pd, quando parlano di lui ne parlano così: “Si muove poco, ma si muove benissimo. Chissà dove arriva”. E dicono pure che con la “diluzione”, la sua mossa su Autostrade, che non è mossa del cavallo, ma un esercizio di pazienza, Roberto Gualtieri si sia preso le deleghe di vicepremier che non sono mai state assegnate, ma che Giuseppe Conte gli aveva in verità consegnato perché, per dirla come la dice Luigi Di Maio: “Questo uomo mi ha sempre fatto un’ottima impressione”.

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Adesso, anche nel Pd, quando parlano di lui ne parlano così: “Si muove poco, ma si muove benissimo. Chissà dove arriva”. E dicono pure che con la “diluzione”, la sua mossa su Autostrade, che non è mossa del cavallo, ma un esercizio di pazienza, Roberto Gualtieri si sia preso le deleghe di vicepremier che non sono mai state assegnate, ma che Giuseppe Conte gli aveva in verità consegnato perché, per dirla come la dice Luigi Di Maio: “Questo uomo mi ha sempre fatto un’ottima impressione”.

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È silenzioso, si sa, e rivelano che il suo piccolo vanto sia che da due mesi non rilascia interviste (ultima alla Gazzetta del Mezzogiorno e per testimoniare attenzione al Sud) che, per carità, sono importanti, ma che per Gualtieri vanno seguite come si devono seguire i dossier: “Sono pignolo. Lo so. E allora?”.

 

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Nella sera del Cdm, in concerto con Paola De Micheli che i 5s hanno fatto infuriare, questo ministro che ama la musica brasiliana (ancora fermi alla sua strimpellata Bella Ciao?) e che assicurano sia uno scatenato ballerino di samba (la fonte è ottima) ha trovato, non si sa ancora come, la soluzione.

 

Mentre la De Micheli spediva lettere (è tornato di moda il genere) lui e i suoi fidatissimi collaboratori (“Io li chiamo amici”) con un sottilissimo lavoro piegavano le richieste di Aspi, e modificavano paragrafi, inserivano pecette, errata-corrige. L’interlocuzione con i manager di Autostrade andava avanti da mesi ed era il Mef che in realtà la conduceva. Quando tutti credevano che la notte avrebbe portato la notizia, di mattina, Gualtieri era in call con i legali del gruppo che disarmati chiedevano: “Ma cosa volete ancora? Più di così?”.

 

Se in qualche modo è finita, e se i Benetton accetteranno di diluirsi, se questa formula giuridica e questo filtro magico risulteranno efficaci, il merito lo avrà Gualtieri e lo condividerà con Roberto Chieppa, segretario generale della presidenza del consiglio, Alberto Stancanelli, capo di gabinetto del Mit, e Luigi Carbone, che del Mef è l’altro capo di gabinetto.

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E’ questa la task force che ha stilato la terza lettera di richieste da mandare ad Aspi, l’impianto successivamente consegnato a Conte prima di sedersi al tavolo con gli altri ministri. “Ottimo, caro Roberto, ma bisogna togliere la manleva” ha suggerito Conte guardando negli occhi Gualtieri. Le lettere sono diventate allora quattro, ma solo perché il premier ha voluto esercitare la sua competenza da giureconsulto.

 

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Qualcuno garantisce che Conte e Gualtieri non siano così complici e naturalmente per questo professore di storia contemporanea non è altro che una cattiveria: “Io sono un uomo che rispetta le gerarchie. Vale nel governo e vale nel partito”. E infatti, ieri pomeriggio, si è incontrato con Nicola Zingaretti e Andrea Orlando che secondo lo schema gramsciano sono i suoi “superiori”.

 

“Ma è vero che Roberto ha alzato la voce con Conte? Ma chi, Roberto? Ma no!” si interrogano i parlamentari che si occupano di affari economici che al ministro preparano un grande futuro. Sul Recovery Fund si è distinto. Lo spiegava Irene Tinagli che a Bruxelles ha preso il suo posto come presidente Econ: “Guardate che se l’Italia ce la farà, è grazie alla coppia Gualtieri-Gentiloni”.

 

Se c’era un refuso nell’ascesa italiana del ministro, ebbene, era la mancata legittimità. “In Italia è difficile spiegare che un ministro dell’Economia non siede in parlamento”. Così gli amici di Gualtieri lo mettevano in guardia. Ha accettato, e si usa volutamente “accettato”, di candidarsi alle elezioni suppletive di Roma dove ha vinto, lui che insieme a Pietro Scoppola, ha disegnato il Partito Democratico (“Ma a chi vuole che importi” dichiara un collega universitario colto e sconsolato).

Da allora si deve essere sentito liberato. Gualtieri di fronte all’ipotesi revoca o revisione, non ha mai escluso nulla: “Non ho tabù. Tutto si può fare, ma si deve saper fare”. E lo esclamava perché in passato ha gestito un divorzio che è il dolore del continente: “Era tra quelli che hanno seguito il dossier Brexit. Non credo si spaventi di una transazione fra Italia e Aspi” scherza un funzionario che conosce i Gualtieri Boys.

 

Sono Ignazio Vacca (capo segreteria del ministro) e Claudio Mancini, deputato Pd, stessi libri, stessa vacanze. Centrale, centralissimo, al solito, Gualtieri è entrato così tra le “riserve” in caso di disgrazia. Nel Pd lo trattano come la sola “novità politica” anche perché è un inedito. “E’ uno storico che si occupa di economia. E già questo… A sinistra, al massimo, ci si occupava di cinema e letteratura. Poi è arrivato lui”. Sono lodi disinteressate di un vecchio comunista che saluta l’epifania Gualtieri: “Finalmente non più l’intellettuale impegnato, ma il ministro intellettuale”.

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