PUBBLICITÁ

“Il meno peggio è riformismo”. Intervista al responsabile economico del Pd

Luciano Capone

“Proviamo a dare il ritmo, ma il M5s è più forte. Tim? Può diventare una public company guidata da Cdp. Gori e Sala dicono cose di destra”. Parla Emanuele Felice, mente economica del partito democratico

PUBBLICITÁ

Roma. “Il meno peggio è un sano principio riformista, che io rivendico”. E’ verso la fine di una lunga intervista che, in una frase, Emanuele Felice spiega il senso di questa maggioranza di governo e la funzione moderatrice del Pd nell’alleanza con il M5s. Felice è uno storico dell’economia, professore di Politica economica all’Università di Pescara (la stessa del collega-rivale Alberto Bagnai, responsabile economico della Lega), e insieme al vicesegretario del Pd Andrea Orlando e al ministro per il Sud Peppe Provenzano sta cercando di dare un’anima più di sinistra, di “egemonizzare” si direbbe da quelle parti, la segreteria di Nicola Zingaretti. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. “Il meno peggio è un sano principio riformista, che io rivendico”. E’ verso la fine di una lunga intervista che, in una frase, Emanuele Felice spiega il senso di questa maggioranza di governo e la funzione moderatrice del Pd nell’alleanza con il M5s. Felice è uno storico dell’economia, professore di Politica economica all’Università di Pescara (la stessa del collega-rivale Alberto Bagnai, responsabile economico della Lega), e insieme al vicesegretario del Pd Andrea Orlando e al ministro per il Sud Peppe Provenzano sta cercando di dare un’anima più di sinistra, di “egemonizzare” si direbbe da quelle parti, la segreteria di Nicola Zingaretti. 

PUBBLICITÁ

  

Un Pd quindi più radicale e “attento ai diritti sociali”, ma pronto al compromesso “a partire dalle forze in campo”. E’ in mezzo a questi assi cartesiani che vengono lette le principali questioni politiche ed economiche sul tavolo: rapporti con l’Europa, crisi economica, lavoro nazionalizzazioni, riforma del welfare, rapporto con il M5s, crisi industriali come Ilva, Autostrade, Tim e Fca. E ogni soluzione è un punto tra idealismo e realpolitik, chiamato “riformismo”, ma che spesso vuol semplicemente dire “meno peggio”.

  

PUBBLICITÁ

Com’è il nuovo Pd rispetto al passato? Di svolta o di continuità? “Direi più di svolta. Ci poniamo il problema di rompere il declino dell’Italia, e pensiamo che le politiche degli ultimi 25 anni sono sbagliate. Dobbiamo riformare l’amministrazione pubblica, investire nella ricerca e nell’innovazione, riaccendere l’ascensore sociale, che è una cosa di sinistra ma anche liberale laddove il liberalismo si fonda sul merito. E noi non pensiamo che il problema dell’Italia siano i sindacati e il lavoro che non è flessibile, pensiamo che con i sindacati si può far emergere il lavoro buono che porta a investire sull’innovazione. Ora lo vogliamo dire con nettezza rispetto al passato”. Prima com’era? “Renzi ha scelto lo scontro con i sindacati, con il risultato di far esplodere il consenso dei 5 stelle”.

  

Uno dei problemi degli ultimi 25 anni, da ciò che lei ha più volte affermato, è il “neoliberismo”. Ma questo processo è stato guidato dalla sinistra globale e in Italia dal centrosinistra. Non a caso per tutti gli altri partiti, dalla Lega al M5s fino alla sinistra radicale, è il Pd a essere definito neoliberista, a dimostrazione che il termine ha perso qualsiasi significato. “Nel dibattito italiano c’è molta confusione. Ma il Pd aveva sicuramente un tratto neoliberale, si pensi ad esempio a Marattin…”. Ma c’è tutta una storia di privatizzazioni, liberalizzazioni, riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, apertura al commercio globale che va da Prodi a Bersani passando per D’Alema e i vari tentativi più o meno riusciti di copiare la terza via di Clinton e Blair. Non è una roba che si sono inventati Renzi e Marattin. “Alcune cose il centrosinistra le ha fatte bene e altre male. Guardo con favore le liberalizzazioni fatte da Bersani, altre cose si potevano fare meglio, per esempio la privatizzazione di Telecom. Ma quello che critico da studioso è l’ideologia neoliberale, che è una cosa diversa dall’ideologia liberale. Il liberalismo si fonda sui diritti dell’uomo mentre il neoliberismo assolutizza l’arricchimento individuale, è un discorso etico prima che politico. E in questo vedo i pericoli di una saldatura con il mondo illiberale, che è quello di Dubai e della Cina. In Occidente è venuto fuori con più nettezza con la pandemia, se si pensa a Trump che dice che non bisogna fermare l’economia”. Lo hanno fatto anche i socialisti in Svezia. “Hanno sbagliato, è un’eccezione negativa”.

  

PUBBLICITÁ

Qual è nella sinistra internazionale il punto di riferimento del Pd di Zingaretti? “Bella domanda… in tutto l’occidente c’è uno spostamento a sinistra dei partiti riformisti, in alcuni riesce e in altri meno. La figura di Sanchez in Spagna è diversa rispetto a ciò che era il Psoe, e anche in America Biden alleato di Sanders è un’opzione diversa rispetto alla Clinton. Anche il nuovo corso del Labour post-Corbyn”. Che è più moderato di quello corbyniano, sconfitto alle elezioni. “Sì, ma non è nemmeno il New Labour di Blair”. E Macron? “Macron è un liberale intelligente, sicuramente più preparato di Renzi, che può essere un alleato contro i sovranismi illiberali. Perché il sovranismo illiberale è di due tipi, c’è quello di Slavini che è liberista e quello della Meloni che è statalista”. Mah, a me sembrano uguali, entrambi statalisti. “Sì, la Lega ha fatto cose come quota 100… ma sugli appalti, nel rapporto con Confindustria e i sindacati, Salvini è uguale a Bolsonaro e Trump”.

PUBBLICITÁ

  

Una delle critiche a Slavini la sua alleanza in Europa con chi dice di non dare un euro all’Italia. Ma i sovranisti hanno in comune una visione anti-europeista, che dice ognuno per conto suo e smantelliamo tutto. È più coerente rispetto alla contraddizione a sinistra, dove il Pd è alleato di governi socialisti che hanno posizioni analoghe a quelle degli alleati di Salvini. “In questo caso è più grave perché c’è una contraddizione ideologica, ma si riferisce solo ad alcuni paesi, perché per esempio in Germania sia la Spd che i Verdi sono solidali con noi e hanno influenzato la Merkel. Una parte della socialdemocrazia nordica ha atteggiamenti sbagliati”. E’ la socialdemocrazia che governa. Non è contraddittorio per la sinistra? “Complessivamente le forze progressiste sono favorevoli a maggiore integrazione, dove non lo sono c’è un grado d’incoerenza maggiore rispetto alla destra nordica”. Non sarà che sono semplicemente gli interessi nazionali a prevalere? “Sì, è così. E si risolve con un assetto più federale dell’Europa. Bisogna andare verso maggiore integrazione, e se questo accadrà vuol dire anche cedere sovranità”.

PUBBLICITÁ

  

Ma quando gli altri paesi dicono che devono esserci condizionalità decise a livello comune per assegnare e spendere efficientemente le risorse europee, non l’accettiamo. Diciamo che è un’ingerenza. “Io sono favorevole, ma a condizione che sia l’Eurpa a stabilire le regole. Se il governo olandese dice che dobbiamo eliminare quota 100, fa una sgrammaticatura”. Di uscite analoghe ne fa anche l’Italia, quando dice all’Olanda che deve cambiare il fisco. “Dobbiamo far cambiare sistema fiscale all’Olanda con un accordo europeo sulla tassazione delle multinazionali in base al fatturato per paese. L’Europa è un posto in cui i capitali si muovo liberamente e non si può mantenere una sovranità fiscale nazionale così diversa, altrimenti sia alimenti una concorrenza al ribasso. Serve un’armonizzazione”. Immagino che per l’Italia le aliquote ideali siano quelle italiana… “Deve essere l’Europa a dare delle direttrici”.

  

Parliamo dei rapporti con il M5s. Al momento c’è la conferma delle politiche del governo gialloverde, dal RdC a quota 100 ai decreti sicurezza. Il Pd non ha ottenuto nulla, dov’è questa svolta? “Nel rapporto con l’Europa. Pensa se avessimo gestito questa crisi con Salvini e Di Maio… Dopodiché la politica è l’arte del possibile e del compromesso, noi stiamo cercando di cambiare i decreti sicurezza, ma siamo la quarta forza in Parlamento. Ci sono una serie di problemi nel rapporto con i 5 stelle che derivano dalla nostra debolezza parlamentare e questa è un’eredità della passata gestione”. Come diceva Di Maio appena arrivato al governo: è colpa della segreteria precedente. “Abbiamo preso il 18 per cento e poi abbiamo subito una scissione…”. Colpa di Renzi, quindi. “Registro che ha fatto arrivare il Pd al minimo storico e il M5s al massimo storico”. Poi però la nuova gestione del Pd ha fatto un accordo di governo su alcuni punti. “Stiamo cercando di farlo rispettare”. Quota 100 va in scadenza, che succederà? “Stiamo pensando a una riforma della Naspi, in modo da aumentarla per gli ultra 60enni, così per le aziende in crisi si converte in pensionamento. Si può anche immaginare che le aziende non in crisi mandino lavoratori in Naspi a condizione che assumano i giovani. Fa parte di una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali in senso universalistico. Contesto la narrazione secondo cui dal Pd al governo bisogna attendersi tutto e subito, la politica riformista è ricerca del compromesso a partire dalle forze in campo. Stiamo cercando di farlo…”.

 

Tra chi come Rutte dice che quota 100 è una riforma sbagliata e chi come Conte diceva che è una riforma utile per i giovani chi ha ragione? “Il mio giudizio è che sia una riforma sbagliata. Tuttavia è stata introdotta, la gente ha fatto dei piani e non possiamo toglierla, aspettiamo che vada in scadenza”. Ha quindi ragione Rutte e torto Conte? “Nel merito sì, ma che Rutte dica cosa dobbiamo fare è una sgrammaticatura”.

  

Ministero del Lavoro, Inps, Anpal, presidenza delle commissioni parlamentari, sono tutti del M5s. Come mai il Pd è assente dalle istituzioni che si occupano di lavoro? “E’ un problema, frutto della nostra debolezza parlamentare. Dobbiamo tornare a essere il riferimento del mondo del lavoro, ma non abbiamo postazioni di governo per esercitare questo ruolo”. Possibile che il Pd quando ha fatto agli accordi col M5s non sia riuscito a rivendicare alcun ruolo sul lavoro? “Per dire, la presidenza della commissione Lavoro a Nannicini non è andata perché i 5 stelle non hanno voluto. E’ questa la situazione. E’ un territorio che loro presidiano molto e cedono con difficoltà. Noi, nelle condizioni date, abbiamo ottenuto ministeri importanti a partire da Gualtieri all’Economia e il ministero del Sud a Provenzano”.

  

Sul Rdc ci sono cose che non funzionano, le politiche attive sono all’anno zero. “Benché quello che succede in Anpal sia uno scandalo, in questa fase le politiche attive non servono a molto”. Se non vengono impostate prima è difficile ritrovarsele dopo. “Sul Rdc do un giudizio diverso da quota 100. E’ un misura redistributiva, che magari poteva essere fatta meglio. Ha due problemi: ci vogliono 10 anni di residenza in Italia, un’enormità. E poi ha una scala di equivalenza che svantaggia le famiglie numerose. Questo fa sì che il Rdc vada poco a coloro che ne hanno più bisogno”.

  

L’impostazione è prolungare divieto di licenziamento e cassa integrazione. Non è che si sta solo rinviando e aggravando qualcosa che dovrà avvenire? “Non lo so se dovrà comunque avvenire, ma la cassa integrazione non è mai stata così sensata come adesso. Ha senso quando le imprese sono in crisi per uno shock esterno, e noi le sosteniamo finché non passa la crisi perché in condizioni normali funzionerebbero”. Allo stesso tempo il governo dice che questa è una crisi epocale, che cambierà imprese e lavoro. Come si fa a dire contemporaneamente che è una crisi temporanea ma anche strutturale? “Sono due cose diverse, la crisi temporanea è dovuta a uno shock esogeno, poi dalla crisi si uscirà con processi di innovazione su cui lavoreremo, ma intanto cerchiamo di uscirne vivi. Che faremo se togliessimo il blocco dei licenziamenti?”. Avete detto di voler riformare la Naspi. “E che cambia?”. Nessun altro paese ha messo un blocco dei licenziamenti così lungo, perché bloccano aziende fallite o impediscono ristrutturazioni di aziende che potrebbero essere acquisite o fuse. “Aspettiamo che finisca la crisi e poi si vedrà. Nel pieno della crisi sarebbe sbagliato, crollerebbero intere filiere”.

  

Alcune sono già saltate perché in crisi prima della crisi, ad esempio Alitalia e Ilva. Lo stato torna in posti che aveva lasciato anni fa e che non sono la frontiera dell’innovazione. “L’acciaio è un’industria di base che serve a tutto il paese. Non è vero che sono industrie vecchie, lo stato entra nell’Ilva per fare la rivoluzione dell’acciaio verde. E’ una scommessa fondamentale per il futuro dell’Italia, con l’aiuto dell’Europa. Così come sulla rete unica”. Qui dove si va? “Lo stato c’è già, sia in Open Fiber sia in Tim. Si tratta di razionalizzare, unendo le due reti con la confluenza di OpenFiber in Tim, che potrebbe diventare una public company con una golden share pubblica del 20-30 per cento. A quel punto si crea una controllata di Tim che gestisce la rete e dà garanzie anche agli altri operatori privati, con accordi di sindacato azionari e crea rete unica più efficiente di quella attuale portando il 5G in tutta Italia”. Sembra il progetto di Beppe Grillo, esposto sul suo blog, che punta a nazionalizzare Tim e costringere Vivendi ad andarsene. “Fondamentalmente è simile, ma l’interesse è dare all’Italia un’infrastruttura avanzata e garantire la concorrenza”. E’ lo stesso modello di Autostrade, una nazionalizzazione chiamata public company. Ma a prescindere dall’esito, se i Benetton hanno vinto o hanno perso si vedrà dal prezzo finale, è corretto il metodo usato? Anziché far rispettare giuridicamente i termini della concessione, magari con sanzioni o revoca, lo stato cambia le norme, spinge l’azienda al default e imposta una trattativa muscolare in cui decide l’assetto societario, chi deve comprare e chi deve vendere. E’ da paese civile? “Che vuol dire muscolare? Le trattative sono trattative, che il governo fa in base alle regole dello stato di diritto, per quello che ritiene essere l’interesse nazionale. La posizione dura iniziale è servita a ottenere condizioni migliori per il bene comune. Alla fine si è affermata la posizione del Pd, a vantaggio dei cittadini e della rete infrastrutturale”.

   

Altro tema di politica industriale, le garanzie statali sul prestito a Fca. Lei e altri dirigenti del Pd come Orlando e Provenzano siete stati critici. “Il decreto prevedeva condizioni che garantissero investimenti importantissimi alla viglia della fusione con Peugeot. Il governo ha fatto il suo dovere dicendo a Fiat di mantenere gli impegni”. Quello di Gualtieri è stato quindi un buon accordo? “Penso che l’azione di stimolo del Pd è stata positiva”. Il punto è che facevate contestazioni che non rientravano nell’ambito del decreto, come ad esempio la richiesta di spostare la sede fiscale in Italia oppure la pubblicazione dei country by contry report, cioè dei bilanci per ogni singolo paese in cui Fca opera. “… eee … l’importante è stato l’accordo sugli investimenti… zulla questione fiscale stiamo lavorando a una riforma europea della tassazione delle multinazionali e riguarda Fiat come tutte le altre”. Quindi era sbagliato sollevare quel tema nel contesto delle garanzie sul prestito dovuto all’emergenza Covid? “E’ servito ad aprire un dibattito… Se vai a trattare con Fca in un certo modo, poi ottieni di più”.

   

Nel Pd ci sono tensioni con il nord. Già c’erano state polemiche con il ministro Provenzano per un’uscita su Milano, ora Sala ha aperto un fronte sulle differenze di salario e di costo della vita. Critiche analoghe sono venute da altri amministratori del centro nord come Bonaccini e Gori.

  

“Ho il sospetto che dietro queste uscite ci sia il posizionamento congressuale. C’è un’area nella minoranza che sta cercando di fare una battaglia politica contro l’attuale segreteria, ma mi sembra che finora il livello degli argomenti sia modesto”. E’ un caso che siano tutti del nord? O rappresentano un disagio degli elettori settentrionali? “Penso che siano in competizione, il loro problema è trovare chi di loro sarà il leader della minoranza. Sala è uscito con queste dichiarazioni perché prima lo avevano fatto Gori e Bonaccini. Ma queste uscite rivelano una cultura politica vecchia, pensare che i problemi del sud si riducano tagliando i salari è un’idea arcaica e di destra”.

   

I problemi del sud dipendono anche dalla sua classe dirigente. De Luca ed Emiliano sono il meglio che il Pd possa esprimere per Campania e Puglia? “Il tema della classe dirigente al sud esiste, il Pd l’ha a lungo sottovalutato. Ciò detto, De Luca al di là di alcuni aspetti folcloristici è un amministratore capace. Emiliano è un caso più controverso, ma ha vinto le primarie. Certo, mi sembra strano che i 5 stelle non riescano a convergere su di lui”. E’ appoggiato da un sindaco che si ispira a Pino Rauti e dai comunisti, da pezzi di classe dirigente di Forza Italia e ambientalisti. Non è un simbolo di autoreferenzialità? “Ma l’avversario è Fitto: o vince Emiliano o vince Fitto”. E’ la politica dell’“altrimenti vince Salvini”… “Il meno peggio è un sano principio riformista che rivendico. Si sceglie, a condizioni date, il meno peggio”.

   

Quale impatto avranno le regionali sul governo? Una sconfitta può farlo cadere? “Possono dare una svolta al governo, anche se fosse una sconfitta. Se perdessimo in Puglia, Marche e Liguria perché non c’è stata un’alleanza con il M5s, si potrebbe iniziare a farla funzionare davvero questa coalizione, a renderla più organica, perché divisi perdiamo”.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ