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Il processo che manca a Salvini

Claudio Cerasa

Malcontento al nord, alleati coltelli, irrilevanza del progetto. Un centrodestra senza direzione può essere una buona notizia per il governo ma è una pessima notizia per il paese. Quanto può durare nella Lega il silenzio degli incoscienti?

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Roberto Maroni lo dice sottovoce ma lo dice in modo chiaro e centra un problema importante che riguarda il principale partito d’opposizione, ovvero la Lega: “Per essere il partito degli imprenditori non bisogna dimenticare di rappresentare il partito del pil al nord”. Maroni si pone la domanda ragionando non da uomo politico ma prima di tutto da uomo di affari (oggi è membro del cda del primo gruppo ospedaliero privato d’Italia: il gruppo San Donato) e l’impressione maturata dall’ex leader della Lega aiuta a sviluppare una riflessione interessante con cui Matteo Salvini prima o poi dovrà fare i conti. “Nell’attività che svolgo oggi – continua Maroni – ho molti contatti con il mondo delle imprese e con le associazioni e all’interno di questo universo ho registrato una crescente critica non solo nei confronti del governo ma purtroppo anche nei confronti di un’opposizione che mai come oggi avrebbe bisogno di essere percepita come una forza politica sempre meno di opposizione a prescindere e sempre più concretamente collaborativa con il governo”. Le parole offerte ieri al Foglio da Maroni arrivano in una fase politica non semplice per Salvini, all’interno della quale il leader della Lega è diventato il politico maggiormente assediato da un temibile nemico chiamato realtà.

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Roberto Maroni lo dice sottovoce ma lo dice in modo chiaro e centra un problema importante che riguarda il principale partito d’opposizione, ovvero la Lega: “Per essere il partito degli imprenditori non bisogna dimenticare di rappresentare il partito del pil al nord”. Maroni si pone la domanda ragionando non da uomo politico ma prima di tutto da uomo di affari (oggi è membro del cda del primo gruppo ospedaliero privato d’Italia: il gruppo San Donato) e l’impressione maturata dall’ex leader della Lega aiuta a sviluppare una riflessione interessante con cui Matteo Salvini prima o poi dovrà fare i conti. “Nell’attività che svolgo oggi – continua Maroni – ho molti contatti con il mondo delle imprese e con le associazioni e all’interno di questo universo ho registrato una crescente critica non solo nei confronti del governo ma purtroppo anche nei confronti di un’opposizione che mai come oggi avrebbe bisogno di essere percepita come una forza politica sempre meno di opposizione a prescindere e sempre più concretamente collaborativa con il governo”. Le parole offerte ieri al Foglio da Maroni arrivano in una fase politica non semplice per Salvini, all’interno della quale il leader della Lega è diventato il politico maggiormente assediato da un temibile nemico chiamato realtà.

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Salvini non è il solo ad avere alcuni problemi (chiedere a Di Maio) e a vivere in una sorta di stato d’assedio (chiedere a Conte) ma rispetto ad altri protagonisti della scena politica sconta un problema mica da poco di cui si stanno lentamente rendendo conto non solo i suoi stakeholder al nord ma anche anche i suoi alleati all’opposizione: l’irreversibilità del suo estremismo politico. Il centrodestra, negli ultimi anni, si è occupato spesso dei processi a carico dei suoi leader. Ma il vero processo che oggi manca nella coalizione (che ieri ha traccheggiato molto per rispondere all’invito del premier a Palazzo Chigi) ha a che fare con un tema persino più importante dell’ambito giudiziario: il silenzio degli incoscienti.

 

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Il silenzio degli incoscienti è quello portato avanti dalla classe dirigente del primo partito d’Italia, incapace ormai da tempo di mettere il leader della Lega di fronte ad alcuni semplici dati di realtà. E a voler essere sintetici ne potremmo selezionare cinque. Primo: che alternativa è per l’Italia un’alternativa non riesce a dire una parola definitiva sul tema dell’euro? Secondo: che alternativa è per l’Italia un’alternativa che non riesce ad ammettere che avere un’Europa più solidale non è un guaio ma un bene per i paesi europei? Terzo: che alternativa è per l’Italia un’alternativa che anche durante le stagioni pandemiche non perde occasione per strizzare l’occhio alla cultura xenofoba? Quarto: che alternativa è per l’Italia un’alternativa che continua a spacciare come prospettive da sogno idee come la chiusura delle frontiere, il perseguimento dell’isolazionismo, la lotta contro la globalizzazione, la demonizzazione dell’Europa, che altro non sono che esperienze da incubo che i cittadini hanno sperimentto in modo coatto durante i mesi del lockdown? Quinto: che alternativa è per l’Italia un’alternativa che non ha altro progetto se non quello di mettere insieme un mosaico all’interno del quale i modelli più presentabili coincidono con l’esperienza di Viktor Orbán, lo schema di Marine Le Pen e il metodo di Jair Bolsonaro?

 

Il fatto che Salvini sia testimone di un esperimento politico illiberale, bullistico e potenzialmente autoritario, che nei fatti è già fallito in partenza, è una consapevolezza che hanno maturato persino i suoi compagni di viaggio nel centrodestra, nessuno dei quali considera Salvini come qualcosa in più del leader della Lega (non del centrodestra) – e non a caso ogni volta che ne hanno la possibilità il leader di Fratelli d’Italia e il leader di Forza Italia non perdono occasione per marcare una certa distanza dal salvinismo. La fotografia di una Lega in balia di un progetto ancora popolare (anche se in Forza Italia si scommette su un sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega alle prossime regionali, cosa che a Forza Italia non dispiacerebbe affatto) ma difficilmente vincente la si indovina mettendo a fuoco due elementi importanti della traiettoria leghista. Il primo coincide con il prolungato silenzio mediatico di Giancarlo Giorgetti che è stato forse l’unico dirigente leghista ad aver segnalato in privato al proprio leader l’assurdità della posizione della Lega: mettere le proprie energie al servizio di improbabili spallate (occhio alle lussazioni) piuttosto che al servizio di una difficile ma non impossibile operazione politica finalizzata al rientro al governo (a Giorgetti, come si sa, il governissimo piace molto). 

  

Il secondo elemento ha a che fare invece con le regionali di settembre. In molti pensano che quella tornata elettorale sarà decisiva per il governo. In troppi non si accorgono che in realtà chi rischierà molto dopo le elezioni non sarà solo chi si trova alla guida dell’esecutivo (Conte) ma sarà anche chi si trova alla guida dell’opposizione (Salvini). E anche se il centrodestra dovesse vincere strappando qualche regione al centrosinistra – le regioni in cui il centrodestra è dato per favorito sono il Veneto di Luca Zaia, non esattamente un salviniano, le Marche e la Puglia dove i candidati sono espressione di FdI – questo è verosimile che accada grazie alla spinta decisiva che arriverà non dal salvinismo ma dalle alternative al salvinismo. Un centrodestra senza direzione può essere anche una buona notizia per il governo ma è certamente una pessima notizia per il paese. E allora una domanda diventa d’obbligo: quanto può durare nella Lega il silenzio degli incoscienti?

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