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Ecco perché servono Mes e condizionalità

Claudio Cerasa

I paesi europei che in questi anni hanno fatto proprio il vincolo esterno se la sono cavata bene. Perché l’Italia può uscire dalla crisi facendo proprie le splendide raccomandazioni dell’Europa. Eccola la vera semplificazione

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Buona parte del dibattito politico delle ultime settimane – in attesa di poterci sbizzarrire sul tema dei prossimi giorni, ovvero il decreto “Semplificazioni”, e già sentiamo un fremito nella pancia del lettore – è stata monopolizzata da una serie di discussioni più o meno appassionanti collegate alla presenza sulla scena pubblica di un’espressione diventata ormai tabù: le condizionalità. Nel caso specifico, le condizionalità corrisponderebbero ai gravissimi e orribili pegni che l’Italia dovrebbe pagare all’Europa nel caso in cui la maggioranza dovesse richiedere le famigerate linee di credito a tassi quasi zero riservate dal Mes per le spese sanitarie.

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Buona parte del dibattito politico delle ultime settimane – in attesa di poterci sbizzarrire sul tema dei prossimi giorni, ovvero il decreto “Semplificazioni”, e già sentiamo un fremito nella pancia del lettore – è stata monopolizzata da una serie di discussioni più o meno appassionanti collegate alla presenza sulla scena pubblica di un’espressione diventata ormai tabù: le condizionalità. Nel caso specifico, le condizionalità corrisponderebbero ai gravissimi e orribili pegni che l’Italia dovrebbe pagare all’Europa nel caso in cui la maggioranza dovesse richiedere le famigerate linee di credito a tassi quasi zero riservate dal Mes per le spese sanitarie.

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Rispetto al Mes – come si legge nel Q&A pubblicato dal Fondo salva stati per rispondere ai possibili dubbi sul tema – “l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell'assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi Covid-19”. E come sa chiunque abbia richiesto una volta nella sua vita un prestito, non c’è alcuna possibilità che una volta ottenuta una linea di credito si scelga di cambiare unilateralmente i termini di quel prestito (a meno che, chi richiede un prestito non scelga per esempio di ristrutturare il suo debito, e non è confortante notare che il più tosto tra i fronti politici anti Mes coincida proprio con il fronte politico di chi una ristrutturazione del debito non la esclude a priori).

  

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Ma ciò che a proposito di condizionalità risulta più surreale è che la classe dirigente politica, su questo tema, si rifiuta di riconoscere alcune verità ormai sempre più difficili da negare.

  

La prima verità è che i paesi che hanno ricevuto in passato i prestiti dal Mes – prima ancora che il Mes venisse modificato – sono stati Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda e Cipro e che di questi paesi sono quattro quelli usciti dalla stagione delle cattivissime condizionalità europee in una situazione migliore rispetto a chi, come l’Italia, quelle condizionalità non le ha fatte proprie (nel 2019, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro avevano riportato il loro reddito nazionale su un livello superiore a quello precedente alla crisi, mentre quello italiano era ancora inferiore) e che uno di questi (Cipro) lo scorso 22 maggio evidentemente in piena sindrome di Stoccolma ha già annunciato la sua intenzione di voler usare la linea di credito del Mes contro la pandemia.

  

La seconda verità è che le famose condizionalità dell’Europa, laddove sussistono ancora, oggi non hanno più niente a che fare con le vecchie discussioni relative ai parametri di Maastricht e ai vincoli di bilancio ma hanno a che fare con le raccomandazioni offerte a ciascun paese contenute nelle “Country Specific Recommendations” pubblicate ogni anno a maggio dalla Commissione europea. E di fronte a queste raccomandazioni verrebbe da dire che solo una classe dirigente irresponsabile può considerare il nuovo vincolo esterno come un cappio per l’Italia. Sentite cosa dicono le raccomandazioni: “Migliorare l’apprendimento e le competenze digitali”; “migliorare l’accesso ai finanziamenti per le imprese”; “lavorare per un’amministrazione pubblica efficace”; “attenuare l’impatto della crisi sull’occupazione, anche mediante modalità di lavoro flessibili e sostegno attivo all’occupazione”; “anticipare i progetti di investimento pubblici maturi e promuovere gli investimenti privati per favorire la ripresa economica”; “concentrare gli investimenti sulla transizione verde e digitale”; “migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione”.

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Si potrebbe concludere il nostro ragionamento semplicemente urlando “viva le condizionalità!” se non fosse che nel surreale dibattito attorno al Fondo salva stati (a proposito: il nuovo piano nazionale delle riforme presentato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri stima “il fabbisogno di interventi infrastrutturali in ambito sanitario” di cui ha bisogno l’Italia a un valore pari a 32 miliardi, che sono esattamente i miliardi che l’Italia otterrebbe facendo accesso alla linea di credito del Mes, ops!) è presente un elemento interessante che riguarda un meccanismo previsto da un altro strumento europeo al quale l’Italia ha già scelto di accedere quando ci sarà: il Recovery plan.

   

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È possibile che i 172 miliardi del Recovery previsti per il nostro paese (di cui 82 a fondo perduto) non arriveranno presto (estate 2021). Ma è invece certo che i paesi che richiederanno quei soldi dovranno usare i fondi legandoli proprio al raggiungimento degli obiettivi contenuti nelle raccomandazioni della Commissione. E se nei prossimi anni il percorso dell’Italia sarà ancorato ancora più di oggi alle condizionalità dell’Europa, ci sono buone ragioni forse per essere ottimisti e per sperare che il nostro paese possa affrontare la crisi economica con meno difficoltà del previsto. Viva il vincolo esterno, viva le condizionalità!

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