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Lega e M5s: i voltagabbana non puzzano più

Claudio Cerasa

Il grande show degli anti casta che ora difendono la libertà dei parlamentari

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Lo hanno maltrattato, strattonato, denigrato, mascariato e persino calunniato. Lo hanno descritto come se fosse il simbolo osceno di una stagione politica da superare. Lo hanno trasformato nell’immagine perfetta di una vecchia casta da archiviare. E lo hanno preso di mira, chiamandolo con disprezzo “trasformismo dei venduti”, tanto ai tempi della campagna elettorale quanto ai tempi del governo populista. C’è stato un tempo, forse lo ricorderete, in cui i partiti antisistema, quando ancora non mandavano a quel paese il popolo come fatto magnificamente ieri da Danilo Toninelli, non perdevano occasione per promettere solennemente ai propri elettori grandi battaglie (a) per combattere la famigerata Repubblica dei voltagabbana, (b) per introdurre il famoso vincolo di mandato per i nostri parlamentari e (c) per eliminare ogni forma di trasformismo rivedendo l’articolo 67 della Costituzione. Nel corso della campagna elettorale del 2018, lo sosteneva fortissimamente Matteo Salvini (e anche Giorgia Meloni e, ahinoi, anche Silvio Berlusconi) e lo sosteneva fortissimamente anche il M5s (che arrivò persino a far firmare ai suoi candidati in Parlamento delle penali da pagare in caso di transumanza). E nel corso della poco fortunata esperienza gialloverde, la Lega e il M5s decisero persino di inserire il vincolo di mandato nel contratto di governo (pagina 23: “Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”). Due anni dopo il quadro è notevolmente e spassosamente cambiato e per ragioni diverse ma simmetriche l’una con l'altra sia il M5s sia la Lega hanno capito che le proprie ambizioni di governo dipendono in buona parte proprio dall’assenza di un vincolo di mandato per i parlamentari della Repubblica.

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Lo hanno maltrattato, strattonato, denigrato, mascariato e persino calunniato. Lo hanno descritto come se fosse il simbolo osceno di una stagione politica da superare. Lo hanno trasformato nell’immagine perfetta di una vecchia casta da archiviare. E lo hanno preso di mira, chiamandolo con disprezzo “trasformismo dei venduti”, tanto ai tempi della campagna elettorale quanto ai tempi del governo populista. C’è stato un tempo, forse lo ricorderete, in cui i partiti antisistema, quando ancora non mandavano a quel paese il popolo come fatto magnificamente ieri da Danilo Toninelli, non perdevano occasione per promettere solennemente ai propri elettori grandi battaglie (a) per combattere la famigerata Repubblica dei voltagabbana, (b) per introdurre il famoso vincolo di mandato per i nostri parlamentari e (c) per eliminare ogni forma di trasformismo rivedendo l’articolo 67 della Costituzione. Nel corso della campagna elettorale del 2018, lo sosteneva fortissimamente Matteo Salvini (e anche Giorgia Meloni e, ahinoi, anche Silvio Berlusconi) e lo sosteneva fortissimamente anche il M5s (che arrivò persino a far firmare ai suoi candidati in Parlamento delle penali da pagare in caso di transumanza). E nel corso della poco fortunata esperienza gialloverde, la Lega e il M5s decisero persino di inserire il vincolo di mandato nel contratto di governo (pagina 23: “Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”). Due anni dopo il quadro è notevolmente e spassosamente cambiato e per ragioni diverse ma simmetriche l’una con l'altra sia il M5s sia la Lega hanno capito che le proprie ambizioni di governo dipendono in buona parte proprio dall’assenza di un vincolo di mandato per i parlamentari della Repubblica.

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La Lega, ormai specializzata più in lussazioni che in spallate, sogna, come ribadirà nel weekend durante la manifestazione convocata a Roma, di tornare al voto a settembre, confidando in quella che un tempo la Lega avrebbe definito una vergognosa transumanza. La transumanza in questione è quella legata al cambio di casacca dei parlamentari del M5s e al momento sembra essere questo l’unico progetto strategico coltivato dal senatore Salvini: acchiappare il numero più alto possibile di senatori del M5s e provare a segare le gambe al tavolo della maggioranza rossogialla. Al momento, i senatori grillini “voltagabbana” passati alla Lega sono quattro (Ugo Grassi, Stefano Lucidi, Francesco Urraro e Alessandra Riccardi) e non c’è giorno in cui un qualche dirigente leghista non alluda al fatto che la campagna acquisti sia appena cominciata.

 

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In modo speculare – e il tema qui si intreccia con una questione politica gustosa – anche il M5s ha capito che la sua permanenza al governo è collegata alla possibilità che in Parlamento si manifesti una qualche altra forma di “transumanza”. E in questo caso la transumanza accettata senza problemi da parte degli inflessibili grillini è quella che parte dal partito del detestato Caimano (ops!) in direzione del partito dell’odiatissimo Renzi (ari-ops!). In Senato, si sa, i numeri sono ballerini ma il M5s, finora, ha accettato senza colpo ferire di assecondare un meccanismo finora virtuoso: non borbottare ogniqualvolta il partito di Renzi (Italia viva) riesce a stringere i bulloni della maggioranza conquistando un qualche parlamentare di Forza Italia (da FI a Iv sono arrivati due senatori, Vincenzo Carbone e Donatella Conzatti al Senato, e due deputati, Francesco Scoma e Davide Bendinelli, già coordinatore regionale in Veneto di FI). Grillo, due giorni fa, ha fatto sapere di non essere entusiasta (eufemismo) del rapporto discreto creato dal presidente del Consiglio con alcuni pezzi da novanta del mondo del Cav. (in primis Gianni Letta). Ma anche i più intransigenti tra i grillini sanno che una delle soluzioni per risolvere il pasticcio del Fondo salva stati potrebbe essere quella di affidarsi ai parlamentari di Forza Italia per far passare in Parlamento un sì al Mes che molti grillini potrebbero non essere disposti ad accettare. Difficile sapere se andrà davvero così. Più facile però riconoscere quello che anche i più acerrimi nemici del populismo oggi non possono non ammettere: gli anticasta che difendono la libertà dei parlamentari è uno show per cui vale la pena pagare il prezzo del biglietto.

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