Niccolò Ghedini (foto LaPresse)

Storie da “un plotone di esecuzione”

Carmelo Caruso

L’audio, il teorema, la storia riscritta e quelle confessioni di Ghedini

Roma. A un suo vecchio amico che ha provato, per tutta la giornata, a sentirlo, l’avvocato e senatore, Niccolò Ghedini, l’uomo che in questi anni ha misurato in centimetri la distanza che lo separa da Silvio Berlusconi, a tarda sera, seduto a un tavolo, l’ha raccontata così: “E’ più di un audio. E’ la prova che quella sentenza, una sentenza che ha cambiato la storia politica del paese, era viziata da straordinarie anomalie. Come si sente nel nastro fu 'un vero plotone di esecuzione' e non un processo sereno …”. E a quel punto ricordando le lunghissime serate che hanno preceduto la sentenza che nel 2013 fu di condanna, ricordando la fatica e le riunioni infinite con Franco Coppi (“Ma hai sentito cosa dicevano i magistrati del nostro Franco? Corrotto! Dare del corrotto a un galantuomo come lui. Come si fa?”), Ghedini ha come voluto liberarsi e raccontare l’inizio e quella che spera possa essere la fine. “Perché avete tirato fuori quel nastro. E dopo così tanti anni… E chi è questo Amedeo Franco?”, ha chiesto l’amico ricevendo questa risposta: “Era il relatore della sentenza di condanna, pure lui componente della sezione feriale, e già questo... E però, ti dico subito che io ero contrario all’incontro fra questo giudice e il nostro presidente. Anche Coppi si è opposto. Eravamo stupiti da questa singolare richiesta. Da qui la scelta di registrare”. 

 

 

E allora i due amici hanno sorriso ed entrambi, ammiccando, concordato che nessuno avrebbe potuto impedire a Berlusconi di vedere la faccia di chi lo aveva condannato. “Insomma, ha scelto Berlusconi di vederlo, mi sembra di aver capito. Tuttavia non capisco come questo… Franco si sia fatto avanti. E quando è avvenuto l’incontro. Uno o più di uno?”, ha domandato sempre l’amico curioso interpretando la parte del compagno tonto. Il senatore, forse perché quella ferita la sente ancora sua, è andato a ritroso con le date, credendo che nessuno lo ascoltasse. Ha rivelato che le conversazioni sono state almeno tre e che sono avvenute nel 2014, pochi mesi dopo la sentenza, e che è stato lo stesso giudice Franco, tramite un altro magistrato, a proporsi. “Ma che uomo era questo Franco? Che impressione ti ha dato?”, dice l’amico. E allora Ghedini: “Quando è arrivato era turbato, spaventato. Ripeteva che era disperato e che era stato calpestato il senso di giustizia. Convincerlo a parlare pubblicamente? Ma chiaro! Certo, che abbiamo provato. Non ha voluto. Temeva di venire massacrato dalla stampa. Te l’ho già detto. Era fragile. E’ stato Berlusconi a chiedere espressamente di non trascinarlo in una storia troppo grande per lui”, aggiungeva sottovoce Ghedini mentre allentava il nodo della cravatta. Nonostante il tono che si abbassava, è sembrato di sentire, ma non si può essere sicuri, che Berlusconi abbia ordinato ai suoi avvocati di fermarsi: “E’ un magistrato in servizio. Hanno rovinato me. Non oso immaginare cosa potrebbero fare con lui. Era il pensiero di Berlusconi. Oggi nessuno, anche volendo, potrebbe infangarlo. Franco è morto da qualche tempo”. Questo dichiarava Ghedini contrariato per la scarsa attenzione che questo giudice avrebbe ricevuto dalle istituzioni. In maniera sempre riservata, il senatore di Forza Italia, confidava che il magistrato, pentito, aveva spedito lettere al consigliere giuridico del Quirinale, ma senza ottenere risposta. Se si potesse riportare, senza origliare, quanto Ghedini stesse suggerendo, la frase sarebbe questa: “Altro che separazione delle carriere per i magistrati! Servirebbero giurie popolari. Come ci si può affidare e fidarsi di questa giustizia? Fin dal primo grado il processo contro Berlusconi è stato falsato. Si può oggi dire che non è stato un processo equo. Questo audio può però spingere la Corte europea a fissare l’udienza che ancora attendiamo venga fissata”.

 

L’amico, che aveva l’aspetto di un collezionista, ha dunque tirato fuori dalla sua borsa di pelle, un po’ frusta, un piccolo libro, che gli ha regalato. Non siamo sicuri, ma poteva essere “Il Giudice e lo Storico” di Carlo Ginzburg anche perché, al nostro orecchio, è arrivata questa frase smozzicata: “Storic… Credi potesse cambiare qualcosa? Credi che Berlusconi sarebbe ancora il leader del centrodestra?”. Ghedini, e la risposta era udibile, ha replicato che “sarebbe cambiato tutto. Si è inquinata la democrazia. Pensa all’indagine del 1994 quando era premier. E' stato assolto nel 2001. Ma è caduto il governo”. E così ha elencato i casi in cui la magistratura è intervenuta. “Pensiamo a Clemente Mastella. Indagato e poi assolto. E Renzi? Schiantato dalla magistratura…”. Era già ora di cena quando i due si sono alzati dal tavolo e quando, prima di salutarsi, l’amico, soddisfatto, gli ha lanciato l’ultima domanda: “Ma è vero che dopo questo audio volete Berlusconi senatore a vita? Addirittura al Quirinale?”. Ghedini è allora tornato l’avvocato Ghedini: “Dimentichi l’onta dei servizi sociali. No, credimi. Non basterebbe. Senatore o presidente per meriti politici. Quello che Berlusconi non si meritava era finire processato da una giustizia fuori controllo”.