Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi: “Il destino del governo in 90 giorni”

Claudio Cerasa

“È ora del modello Ursula: quello schema di gioco, in Europa, sta funzionando. L’Italia? Basta stallo. Senza rotta, la navigazione è molto pericolosa. Numeri della maggioranza? Nel centrodestra c’è una miniera”. La nuova agenda per ripartire. Intervista al leader di Italia viva

Il futuro dell’Italia si deciderà nei prossimi novanta giorni e da qui alle elezioni regionali capiremo davvero cosa succederà al paese. Capiremo se il governo riuscirà a essere all’altezza delle sfide di questa fase storica così complicata. Capiremo se la maggioranza riuscirà a rafforzarsi seguendo l’unica strada che ha a disposizione: pensare un po’ meno al presente e un po’ più al futuro. Avere una visione che vada oltre le dirette Facebook e i sondaggi. Capiremo se l’Italia avrà la forza e le persone giuste per contare in Europa. Capiremo se la partita di ritorno del Papeete è una partita che le forze antisovraniste vogliono vincere o se è una partita che le forze antisovraniste hanno deciso di perdere”. Matteo Renzi dice di voler ragionare, di non voler fare polemiche, di non avere ambizioni da Pierino, di voler cercare un approccio costruttivo e in questa chiacchierata con il Foglio parla del futuro, parla delle sfide del governo, parla della crisi economica, parla della battaglia contro il nazionalismo e parla anche delle prossime regionali, dove è convinto che il suo partito, Italia viva, dimostrerà di avere numeri migliori rispetto a quelli registrati dai sondaggi. “Anche perché peggio mi sembra impossibile. Ma i conti si faranno il 21 settembre”.

 

E in vista di quell’appuntamento, Renzi è convinto che il suo partito dimostrerà che la vitalità del governo sarà direttamente proporzionale alla centralità che verrà data all’agenda di Italia viva. “Stiamo attenti – dice Renzi – a non commettere uno storico errore commesso negli ultimi anni dalla sinistra. Ovverosia: nazionalizzare elezioni che, per quanto coinvolgano circa 24 milioni di elettori, non possono che restare regionali. Le regionali saranno ovviamente un appuntamento importante e saranno un test per misurare la forza di tutti i partiti. Ma non debbono essere trasformate in una prova decisiva per il governo. Il futuro dell’esecutivo non dipende dal voto regionale, ma dipende dalle scelte che farà il governo da qui ai prossimi mesi”.

 

Già che ci siamo, a proposito di regionali: in Puglia, Italia viva ha scelto di costruire un’unica coalizione insieme ad altri partiti per così dire centristi, per combattere contro Michele Emiliano. Partiti come +Europa e come Azione di Carlo Calenda. È un modello replicabile nel futuro? “È presto per dire se il modello Scalfarotto, inteso come possibile aggregazione tra le forze politiche alternative ai vecchi poli, possa essere un modello da ripetere in futuro. Quello che posso dire è che dopo aver visto in questi anni il modo in cui Emiliano ha governato la regione, il modo in cui ha gestito il caso Ilva, il modo in cui ha giocato con il populismo, il modo in cui ha alimentato il complottismo, il modo in cui ha gestito il potere, posso dire che una forza politica che si considera riformista e alternativa ai populismi non poteva che scendere in campo, compatta, contro un presidente pericoloso per la sua regione. E sì, è vero: quattro anni fa, quando Emiliano venne candidato alla guida della Puglia, il segretario del Pd ero io. Ma dopo aver visto Emiliano governare e dopo aver visto ciò di cui è capace, o meglio ciò di cui non è capace, c’era solo un’unica scelta responsabile: creare un’alternativa non populista a un modello di governo populista”.

 

Renzi fa una pausa e poi ricomincia. “A proposito di populismo. Suggerisco di fermarci tutti un istante e di provare a capire cosa è successo in Italia negli ultimi dodici mesi. Ricordate? Un anno fa avevamo un paese ostaggio di un leader politico che aveva trasformato una discoteca in una sede distaccata del governo. Altro che polemiche istituzionali su Villa Doria Pamphilj. Era l’estate del Papeete, dei pieni poteri ed era l’estate in cui l’Italia ha rischiato seriamente di dare ai nazionalisti la possibilità di fare all in. Ricordo ancora quanti erano gli amici del Pd che mi dicevano che sarebbe stato più opportuno andare a votare, che sarebbe stato più intelligente sfidare in campo aperto la destra, che sarebbe stata una sciocchezza costruire un altro governo con questo Parlamento. Potevo starmene a bordo campo e lasciarli fare: si sarebbero distrutti contro l’onda salviniana, avrebbero ottenuto la stessa batosta che abbiamo preso in Umbria a ottobre. Io, un anno dopo, dico che ce la siamo giocata noi, facendo il governo. Che abbiamo fatto la scelta giusta. Che abbiamo salvato l’Italia dai nemici dell’Europa. Che abbiamo gestito il coronavirus con molti errori ma senza le follie alla Bolsonaro. E che però abbiamo vinto solo la partita di andata di una partita più grande il cui ritorno sarà tra qualche anno quando contro i sovranisti ci giocheremo una sfida cruciale: assicurare all’Italia un altro settennato europeista”.

 

Il ragionamento di Renzi va ovviamente al Quirinale e il leader di Italia viva spiega quali dovranno essere, a suo modo di vedere, i punti non negoziabili della sfida del dopo Mattarella. “L’Italia merita di avere ancora un presidente della Repubblica capace di mettere in campo un profilo europeista e filoatlantico. Il nostro miglior amico nel mondo sono gli Stati Uniti d’America da decenni e guai a chi vuole cambiare questa scelta. Va benissimo se ci sarà un consenso ampio sulla figura presidenziale, anche di mondi che oggi si riconoscono in Salvini e Meloni”. 

 

“Se loro si aggiungono votando un candidato europeista, bene! Ma non possono esserci soluzioni alla Orbán. Il problema non è chi è oggi l’inquilino di Palazzo Chigi, ma chi sarà domani l’inquilino del Quirinale. Per questo, in vista di questa sfida ambiziosa, sono convinto che questo Parlamento debba arrivare fino al 2023, sostenendo e traducendo con i fatti e con una maggioranza all’altezza della sfida lo sforzo europeista messo in campo in Europa da Ursula von der Leyen”. La maggioranza, già. Renzi sa bene che negli ultimi tempi la maggioranza di cui fa parte soffre non solo dal punto di vista qualitativo ma anche dal punto di vista quantitativo. E con il passaggio dal M5s alla Lega della senatrice Riccardi la maggioranza al Senato oggi conta appena 160 unità. Come si fa ad arrivare al 2023 con questi numeri? “Non sottovaluto i problemi che vi sono al Senato, ma neanche li sovrastimo. Questa legislatura durerà, molti parlamentari dell’opposizione sono pronti a dare una mano. Perché una soluzione per rimettere a posto gli equilibri c’è, esiste, e coincide con il partito che abbiamo fondato. Voglio dire. Chi ha sparato contro Italia viva, negli ultimi mesi, sostenendo che il nostro partito avrebbe indebolito la maggioranza, oggi forse dovrebbe ricredersi, perché se Italia viva non avesse attratto pedine fondamentali anche da altri partiti lontani dalla maggioranza oggi il governo non avrebbe i numeri per andare avanti. Se io fossi in Conte, in Di Maio, in Zingaretti smetterei di fare la guerra al nostro partito e inizierei a capire in che modo Italia viva può aiutare con i fatti a dare vitalità al governo. È un passaggio cruciale, per il quale non chiedo poltrone ma offro politica: servono spazi di agibilità politica, non sottosegretari. Ci hanno detto, in modo un po’ ignobile, di essere l’altra faccia del salvinismo, dimenticandosi però che se non ci fossimo noi in Parlamento al governo ci sarebbe proprio Salvini. E chi ci critica senza argomenti non capisce che questo governo e questo Parlamento possono avere un futuro se si abbandona la logica del giorno dopo giorno dei sondaggi e si torna alla politica. Che vuol dire visione, strategia, coraggio. E poi, parliamoci chiaro, se si vuole pensare a un modo di allargare il perimetro della maggioranza non c’è un modo migliore se non quello di dare più forza a Italia viva. Nel centrodestra c’è una miniera di persone che non vuole morire in un polo sovranista. E a tempo debito quel serbatoio offrirà benzina preziosa per combattere contro i nemici dell’Europa”.

 

In passato Renzi ha più volte detto che ad arrivare all’elezione del presidente della Repubblica sarà certamente questa legislatura ma non sarà necessariamente questo governo. E oggi l’ex presidente del Consiglio rincara la dose: “Difficile dirlo oggi, ma capiremo nei prossimi mesi quale sarà il destino del governo”. E rispetto ai prossimi mesi, e rispetto alla prospettiva anche di costruire un patto con l’opposizione per provare a mettere in sicurezza il paese, Renzi chiede al presidente del Consiglio e ai leader della maggioranza di non perdere più tempo e di non fare dopodomani ciò che invece si potrebbe fare oggi.

 

Ci sono tre priorità chiare per il futuro prossimo venturo – dice Renzi – e le priorità è bene non perderle di vista. La priorità numero uno è smetterla di traccheggiare con il Mes. Chi dice di no al Mes sta dicendo di no a soldi con un tasso di interesse introvabile sul mercato e sta dicendo di no a soldi che semplicemente non sa come reperire in un altro modo. La politica dell’irresponsabilità non è adatta a una fase di pandemia. E dire di no a soldi che possono migliorare la condizione del nostro paese non vuol dire fare opposizione: significa giocare contro l’Italia. Quanto al resto, le priorità assolute oggi sono chiare. C’è un tema enorme, gigantesco, pazzesco che riguarda le infrastrutture. Voglio bene al ministro Paola De Micheli, che però deve interpretare il suo ruolo con più generosità. Qui in ballo non ci sono polemiche sulle competenze di un singolo ministero, ma la necessità di una svolta: altrimenti entriamo in una stagione di stallo che non possiamo permetterci. Bisogna investire, bisogna sbloccare le opere che si possono sbloccare con una firma. Sono contento che il presidente del Consiglio abbia detto di essere d’accordo con il nostro piano shock. È ora però di passare dalle parole ai fatti. E se mi è concesso lo stesso ragionamento vale anche per la scuola. Si è detto, negli ultimi mesi, che tutto sarebbe andato bene. Ma mi dispiace dirlo e ribadirlo: sulla scuola non è andato tutto bene. Anzi. L’Italia ha riaperto tutto, dalle discoteche ai bar, e la scuola ha scelto di non aprirla e ancora oggi i nostri ragazzi e i nostri insegnanti non sanno quale sarà il loro destino a settembre. Su questo tema, mi dispiace dover farlo notare, serve più concretezza, serve più competenza e serve smetterla di procedere a zig zag, facendo annunci che servono per vedere di nascosto l’effetto che fa e poi aggiustare il tiro. Un governo che vuole governare deve avere una rotta. Un governo che procede andando un po’ di qua e un po’ di là è un governo che una rotta non ce l’ha. E quando manca la rotta, le navigazioni diventano pericolose”.

 

Renzi, a questi punti, ne aggiunge un altro altrettanto importante che riguarda il nostro rapporto con l’Europa. E l’ex premier arriva a questo argomento dividendo in due il ragionamento. Da una parte, dice, “bisogna essere grati alle donne dell’Europa, da Angela Merkel e Christine Lagarde, fino a Ursula von der Leyen”, e l’ex premier, ricordando anche la maggioranza che ha eletto la presidente della Commissione europea, da Pd al M5s fino a Forza Italia, dice che “quello schema sta dimostrando di funzionare”. Renzi è convinto che l’Europa abbia fatto negli ultimi quattro mesi più cose di quelle fatte nei quattro anni precedenti. Ma ciò che preoccupa l’ex leader del Pd ha a che fare con la titubanza dell’Italia a mettere in campo un piano “che possa permettere al nostro paese di spendere i soldi europei per crescere e non solo per assistere”.

 

Renzi è preoccupato da questo. Ma anche da altro. E ciò che lo impensierisce, ragionando sull’Europa, ha a che fare con una scarsa capacità mostrata in questi mesi dall’Italia: “Occupare nel sottogoverno della Commissione i ruoli cruciali che permettono di far funzionare gli ingranaggi che contano. Penso ai dirigenti e ai capi di gabinetto che l’Italia avrebbe potuto avere in Europa, e che non ha avuto, e penso ai posti strategici da cui passano le decisioni che contano. L’Europa ha certamente fatto molto per noi, ma ora è il momento per l’Italia di dimostrare di avere una buona squadra, sia nelle istituzioni comunitarie sia in quelle italiane, e di avere una squadra capace di non perdere un’occasione storica: non sprecare quei soldi e usare quei fondi per soddisfare non gli interessi dei partiti ma quelli del paese”. Già, ma come? Renzi, da questo punto di vista, dice di essere un po’ preoccupato, “perché non si può governare il paese con continui scostamenti di bilancio. Il conto lo pagano le generazioni che verranno”. E lo dice Renzi non per criticare la scelta, da un certo punto di vista comprensibile, di ricorrere al maggiore debito per governare una delle stagioni più difficili mai conosciute dall’Italia. Ma lo dice perché l’Italia, secondo l’ex premier, dovrebbe entrare in una fase diversa: “Dare i soldi non solo per stare a casa ma anche per far sì che gli imprenditori possano avere convenienza a offrire nuovi posti di lavoro”. Renzi si spiega meglio: “Dobbiamo entrare nella grande stagione della decontribuzione. E’ evidente che il governo non potrà protrarre in eterno la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti. Ed è evidente che l’unico modo per dare un futuro al paese e per tornare a creare lavoro è togliere i freni alle imprese. Lo stato, per quanto possibile, non può limitarsi ad assistere. Ma deve agevolare la transizione, creando incentivi economici temporanei al mantenimento dell’occupazione, facilitando il rinnovo dei contratti a termine e aiutando i lavoratori a riqualificarsi e nella ricerca di un nuovo impiego. E per i settori più in difficoltà, come per esempio il turismo, sarebbe il caso di pensare a misure ancora più potenti. Servono due miliardi subito per sostenere il mondo del turismo, intervenendo sull’Imu e sull’Ires per gli alberghi, alleggerendo in modo sostanziale il carico fiscale per gli operatori del settore, creando poi le condizioni economiche non per garantire a tutti un reddito d’emergenza, in caso di crisi ancora più acuta, ma facendo quello che uno stato con la testa sulle spalle deve preoccuparsi di fare: creare le condizioni non per stare a casa ma per tornare a lavorare”.

 

La nostra conversazione con Renzi si conclude qui. Ma prima di congedarci chiediamo all’ex presidente del Consiglio un giudizio sul caso Palamara. A Renzi domandiamo se il problema di questa storia sia la presenza di una mela marcia o di un albero malato: quello della giustizia. “Non possiamo far finta che il caso Palamara sia il caso di una mela marcia. Luca Palamara era uno dei più influenti leader del sistema delle correnti. Farlo passare come capro espiatorio è inaccettabile. Se Palamara viene messo sotto accusa, bisognerebbe avere il coraggio di dire che tutto il sistema va cambiato. Non faceva le cene da solo, non le faceva solo con i politici, non possiamo accettare che ci sia un Trojan che funziona a intermittenza: qualche volta sì, qualche volta no. Mi sono alzato in Aula e ho chiesto – il 12 dicembre – di evitare le invasioni di campo tra magistratura e politica. Oggi torno a chiedere di trasformare il caso Palamara in un’occasione per discutere del modello di giustizia in un paese che ha visto per decenni i giudici come eroi, e alcuni di loro lo sono davvero, oggi rischia di farli passare dall’altare alla polvere. Vorrei che la politica e la magistratura insieme lavorassero per ciò che davvero conta: la lotta contro il circo mediatico-giudiziario, la lotta contro il giustizialismo, la lotta contro la giustizia modello talk-show, la lotta contro le degenerazioni delle correnti, la tutela della terzietà e dell’indipendenza della figura del magistrato. L’Italia, ancora oggi, sconta, purtroppo, l’onda lunga di un processo politico innescato ai tempi di Tangentopoli dove la debolezza della politica ha lasciato un vuoto riempito da taluni magistrati. E se si vuole osservare con onestà ciò che sta succedendo in queste ore attorno al Csm bisognerebbe avere la forza di dire che è meschino, ingiusto e ipocrita chi accetta di mettere in discussione Palamara senza mettere in discussione le distorsioni della giustizia italiana. Quanti magistrati bravi non hanno fatto carriera per colpa delle correnti? Quanti avrebbero meritato di più di loro colleghi? E fossi in Palamara, come dire, conserverei con cura le chat archiviate in passato…”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.