(foto LaPresse)

Capitan Fracassa

Salvatore Merlo

Domenico Arcuri, tra commedia dell’arte e Checco Zalone. Ritratto in movimento di un uomo “straordinario”

Come quel famoso capitan Fracassa (o Fracasso) della commedia dell’arte, altrimenti noto con i nomi alternativi e significanti di Spezzamonti e Spaccaferro, ecco che l’altro giorno il commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, che certo non è (ancora) il miles (vana)gloriosus, si è abbandonato a una comica autocelebrazione che adesso lo proietta a buon diritto sullo stesso palcoscenico dal quale Checco Zalone intonava la famosa e indimenticabile “siamo una squadra fortissimi fatta di gente fantastici / perché noi siamo bravissimi / e se finiamo nel ‘balatro’ la colpa è solo dell’albitro”. E infatti Arcuri, che non è nemmeno Alberto Sordi né Totò, ma è un rispettabilissimo manager di stato, rivolgendosi ai presenti nel corso di una delle numerose conferenze stampa con le quali gli italiani sono stati intrattenuti negli ultimi tre mesi, ha spiegato che tra mascherine, virus, tamponi, reagenti e forniture varie “abbiamo fatto tutto in ottacinque giorni. E per una volta sarebbe davvero bello se tutti ci accorgessimo che siamo stati straordinari”. Direbbe Maccio Capatonda: “Se ce l’ho fatta io ce la puoi farcela anche tu!”. Considerata la sua età e la sua esperienza, ad Arcuri non dovrebbe sfuggire, come ben riporta l’antica saggezza popolare di nonna e zia, che chi si loda s’imbroda, chi si vanta s’inciampa, e che insomma i pifferi di montagna andarono per suonar e furono suonati (Capitan Fracassa finiva sempre fracassato di botte). Se uno è stato straordinario non ha bisogno di dirlo, e se sente il bisogno di dirlo vuol dire che tanto straordinario non è stato. D’altra parte mai c’è capitato di sentire Roberto Baggio, Federica Pellegrini o Valentino Rossi vantarsi di essere stati tra i più grandi sportivi della storia. Se gli altri non lo dicono, e te lo dici da solo, evidentemente qualcosa non va. E che qualcosa non andasse l’avevamo già capito a maggio quando, con le mascherine ancora introvabili, Arcuri diceva: “Per me la partita è chiusa, vinta. Ne sono orgoglioso”. 

 

 

Ma considerato che il dottor Arcuri non è certamente un pavone dalla pennuta ruota multicolore, è forse necessario farsi qualche domanda sui suoi atti di autocelebrazione. Nella commedia classica, da Terenzio a Plauto, l’archetipo del soldato fanfarone corrisponde a un catalogo di motivi tipici che sono stati ben studiati: grande capacità nel proferire spacconate sulla propria presunta invincibilità̀ accompagnata da reale dabbenaggine. E infatti Arcuri, che evidentemente a questi motivi della letteratura s’ispira, proprio mentre ai primi di maggio già dichiarava vittoria totale e incondizionata su tutto e tutti, si abbandonava anche a esternazioni tecnico-scientifiche che sarebbero piaciute a Macario e a Nino Frassica: “Non abbassiamo la guardia, vi imploro, ricordiamoci che il virus si diffonde solo tramite contagio. E il contagio avviene se una persona ne contagia un’altra. Non dimentichiamolo mai”.  Saggi ammonimenti accompagnati da dotte incursioni nello spazio-tempo, tipo: “Il presidente Conte  ha chiesto e ottenuto dal presidente Putin  di far arrivare alcuni aerei dell’Unione sovietica che porteranno 180 medici, infermieri e ventilatori”. Mesi fa, s’impegno pure nella famosa campagna dei prezzi delle mascherine. Così, passato forse per un attimo dalla commedia dell’arte ai “Promessi Sposi”, aveva imposto il calmiere, come il cancelliere Antonio Ferrer col pane nella Milano del ’600. E come il galantuomo spagnolo, che aveva causato la sparizione del pane – “Sì; pane, pane abbondanza; lo prometto io” – così anche Arcuri aveva provocato la scomparsa delle mascherine. Indimenticabile, a questo proposito, il cartello esposto in vetrina da uno spiritoso farmacista milanese: “Per le mascherine a 0,50 centesimi rivolgersi a Conte e Arcuri. Loro sanno dove trovarle. Io no”. 

 

 

Ma questo avveniva ovviamente prima dei “5 milioni di tamponi già pronti”, pronunciato con la stessa sicurezza del Duce ai tempi sfortunati degli otto milioni di baionette, cui il virogolo Crisanti rispondeva chiedendosi: “Ma i reagenti dove sono?”. Al ché, Arcuri, alias Pirgopolinice: “Stiamo facendo il bando”. E siamo a oggi. Cioè al “sarebbe davvero bello se tutti ci accorgessimo che siamo stati straordinari”, C’è qualcosa di ingenuo, dunque in definitiva di simpatico. E Arcuri, in fondo, non fa che ripetere quello che nelle riunioni del Cdm i ministri si dicono l’un l’altro e ben presto diranno anche a noi. “Siamo una squadra furbissimi / fatta di gente drittissimi”. E gli italiani, che la commedia l’hanno inventata (Plauto era di Sarsina, per dire), approvano. Ieri è uscito un sondaggio illuminante. Quale paese del mondo ha gestito meglio di tutti la crisi? “L’Italia”. E il peggiore? “La Germania” (che però ha un quarto dei nostri morti). “Cornuti, siamo vittimi dell’albitrarità”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.