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L' antimafia (ex) grillina ricorda a Bonafede come si pensa da manettari

David Allegranti

Così il sospettato ministro della Giustizia, oggi normalizzato, diventa bersaglio dei suoi vecchi compagni di viaggio

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Roma. Nel mondo alla rovescia del 2020 – quello dove Matteo Renzi, alleato di governo del M5s, difende in Parlamento Alfonso Bonafede dalla sfiducia – capita che proprio i populisti giustizialisti si lamentino delle conseguenze nefaste della cultura del sospetto. La stessa che ha permesso loro di campare politicamente negli ultimi 10 anni, prosperando fino ad assumere, come nel caso del ministro della Giustizia Bonafede, incarichi importanti. “Nelle ultime tre settimane, fuori da qui, si è sviluppato un dibattito gravemente viziato da allusioni e illazioni”, dice Bonafede nell’aula del Senato, mentre intorno a lui fischiano le sirene dell’antimafia grillina.

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Roma. Nel mondo alla rovescia del 2020 – quello dove Matteo Renzi, alleato di governo del M5s, difende in Parlamento Alfonso Bonafede dalla sfiducia – capita che proprio i populisti giustizialisti si lamentino delle conseguenze nefaste della cultura del sospetto. La stessa che ha permesso loro di campare politicamente negli ultimi 10 anni, prosperando fino ad assumere, come nel caso del ministro della Giustizia Bonafede, incarichi importanti. “Nelle ultime tre settimane, fuori da qui, si è sviluppato un dibattito gravemente viziato da allusioni e illazioni”, dice Bonafede nell’aula del Senato, mentre intorno a lui fischiano le sirene dell’antimafia grillina.

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O meglio, ex grillina. I custodi della tradizione sono fuori dal M5s, i sopravvissuti sono silenti oppure fischiettano (Carlo Sibilia ormai ha pure smesso di parlare di allunaggio e del Club Bilderberg). E quelli pronti a ricordare a Bonafede come vive politicamente un grillino sono Gianluigi Paragone e Mario Michele Giarrusso, freschi d’espulsione. “Io ero e sono con Nino Di Matteo senza se e senza ma”, esordisce l’ex conduttore televisivo, ricordando quando il M5s a Ivrea per la convention casaleggiana accoglieva il magistrato come una rockstar. “Aristotele diceva: ‘Platone è mio amico, ma la verità lo è di più’. Lo so che non è non è agevole reggere lo sguardo e osservarmi, ministro, però a tradire sia gli amici che la verità ce ne vuole e lei, di fatto, ha tradito un simbolo, anzi, molto di più, perché Nino Di Matteo era ed è un simbolo della lotta antimafia”, dice Paragone ricordando quando c’era un tempo in cui il M5s si scandalizzava per le indagini su Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni dal 2014. “Non ho ancora capito come il ministro della Giustizia, che è anche capo delegazione del Movimento 5 stelle al governo, riesca a sopportare la riconferma del signor Descalzi alla guida di Eni, che è imputato per quella che, secondo la procura di Milano, è la più grande tangente internazionale mai pagata da Eni. Quando solo era indagato, da quei banchi si veniva qua a fare casino, ma erano altri tempi”. Un’altra epoca insomma. Non che i Cinque stelle siano cambiati, beninteso, semplicemente adesso fanno i vaghi perché stare al governo è un’occasione irripetibile e fuori dal Palazzo non v’è certezza, come del domani. Sono ancora gli ex M5s a ricordare ai grillini come si comportano i seguaci del casaleggismo. Come il senatore Giarrusso, cacciato dal M5s per non essere in regola con le restituzioni, che a Bonafede dice di aver “fatto quello che in politica si chiama tradimento: il tradimento di 11 milioni di cittadini che ci avevano mandato in Parlamento per cambiare le cose, per dare un segnale forte, per combattere la mafia”.

 

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Quel segnale “era impersonato da un simbolo, da una persona (Di Matteo) che era stata sbandierata in campagna elettorale come destinataria di importanti incarichi. Di Matteo voleva dire tanto per la lotta alla mafia, ma soprattutto per la capacità che, per la prima volta, questo stato aveva dimostrato di processare se stesso in un’aula di tribunale e di arrivare a delle condanne nel processo trattativa. Ebbene, cosa è successo? Il Ministero è stato consegnato a una banda di amici di Palamara”. Insomma, le parti si sono radicalmente invertite. I giustizialisti vengono difesi dagli stessi partiti politici che fino a pochi mesi fa contestavano, considerandoli puzzoni e farabutti. I neogiustizialisti, espulsi dal M5s, accusano i vecchi compagni di viaggio di aver ceduto per esigenze di poltrona allo spirito del tempo. Nanni Moretti ci tirerebbe fuori una magnifica serie per Netflix, una italica versione di “Stranger Things”. Dovrebbe tenere conto delle varie piroette del M5s, come sul Mes. A metà aprile, parlando con il Fatto quotidiano Vito Crimi diceva che “accettando il Mes l’Italia metterebbe un’ipoteca sul suo futuro”. Dieci giorni dopo aveva già cambiato idea: “Se sarà senza condizionalità vere, allora lo valuteremo”. Vediamo come finirà. Intanto sulle regolarizzazioni dei migranti sono passati dall’accusa di sanatoria indiscriminata ad appoggiare la proposta di Teresa Bellanova. Che cosa non si fa per una poltrona, direbbero i Cinque stelle di un paio d’anni fa.

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