PUBBLICITÁ

Conte: “È l’ora della svolta. Ora un patto con le opposizioni”

Claudio Cerasa

“Rendere l’Italia un posto più attraente. Riformare la giustizia. Ridurre le tasse. Fare del modello Genova il modello Italia. Niente patrimoniale. Il Mes è una possibilità. A settembre a scuola. Ora patto con le opposizioni”. Intervista al premier 

PUBBLICITÁ

Una volta risolto il tema della sfiducia, dove per sfiducia in questo caso si intende la sessione di mozioni presentate ieri al Senato contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, tutte respinte, il governo italiano avrà il dovere nelle prossime settimane di occuparsi di un altro aspetto della parola fiducia. Un aspetto che non ha a che fare con i numeri della maggioranza in Parlamento – la maggioranza c’è, i numeri ci sono, l’equilibrio è meno precario di quello che si potrebbe credere, almeno per il momento – ma che ha a che fare con numeri persino più importanti: quelli dell’Italia. Fiducia, in questo caso, significa molto semplicemente fare tutto ciò che è necessario fare, whatever it takes, per evitare che un paese come l’Italia, il cui debito pubblico promette di arrivare oltre il 160 per cento nel rapporto deficit/pil entro la fine dell’anno, la cui disoccupazione promette di passare dal 9,8 per cento al 15 per cento entro la fine dell’anno e il cui prodotto interno lordo promette di crollare di 9,5 punti percentuali sempre entro la fine dell’anno, possa collassare su se stesso. In una fase straordinaria occorrono misure, progetti e proposte non ordinarie e su questi temi ieri pomeriggio il Foglio ha conversato a lungo con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E il presidente Conte, senza rinunciare in alcuni passaggi alla tradizionale pratica dello slalom gigante, ha accettato di parlare di tutto: dal modello Genova, alla riforma del fisco, dal caso Fca ai guai sulla giustizia, dal Recovery fund al Mes, dal futuro della maggioranza alla sfida per una burocrazia più efficiente.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Una volta risolto il tema della sfiducia, dove per sfiducia in questo caso si intende la sessione di mozioni presentate ieri al Senato contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, tutte respinte, il governo italiano avrà il dovere nelle prossime settimane di occuparsi di un altro aspetto della parola fiducia. Un aspetto che non ha a che fare con i numeri della maggioranza in Parlamento – la maggioranza c’è, i numeri ci sono, l’equilibrio è meno precario di quello che si potrebbe credere, almeno per il momento – ma che ha a che fare con numeri persino più importanti: quelli dell’Italia. Fiducia, in questo caso, significa molto semplicemente fare tutto ciò che è necessario fare, whatever it takes, per evitare che un paese come l’Italia, il cui debito pubblico promette di arrivare oltre il 160 per cento nel rapporto deficit/pil entro la fine dell’anno, la cui disoccupazione promette di passare dal 9,8 per cento al 15 per cento entro la fine dell’anno e il cui prodotto interno lordo promette di crollare di 9,5 punti percentuali sempre entro la fine dell’anno, possa collassare su se stesso. In una fase straordinaria occorrono misure, progetti e proposte non ordinarie e su questi temi ieri pomeriggio il Foglio ha conversato a lungo con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E il presidente Conte, senza rinunciare in alcuni passaggi alla tradizionale pratica dello slalom gigante, ha accettato di parlare di tutto: dal modello Genova, alla riforma del fisco, dal caso Fca ai guai sulla giustizia, dal Recovery fund al Mes, dal futuro della maggioranza alla sfida per una burocrazia più efficiente.

PUBBLICITÁ

 

La nostra conversazione con Giuseppe Conte parte dalle polemiche a tratti surreali sul caso Fca – e sulla possibilità o meno che Fca Italia avendo la casa madre la sede legale e fiscale fuori dall’Italia possa ottenere il prestito chiesto a Intesa Sanpaolo e garantito da Sace per sostenere le attività produttive della sua controllata italiana – e con il presidente del Consiglio partiamo da un dettaglio della conferenza stampa di sabato scorso, quando Conte ha riconosciuto che alcune aziende vanno nei Paesi Bassi non tanto per i vantaggi fiscali ma per il diverso trattamento giuridico. In altre parole, è il diritto societario più che il fisco ad attrarre le imprese in un paese come l’Olanda. Chiediamo dunque a Conte: quali sono i capisaldi della strategia del governo per provare a rendere più attraente il nostro paese anche per le imprese straniere? E la strada di introdurre incentivi che supportino le imprese che decidano di trasferire in Italia attività produttive svolte in stati extra Ue, come suggerito dal Foglio negli ultimi giorni, può essere o no un’idea da seguire? “Le ragioni per cui il nostro sistema paese rischia di essere poco attraente per le società sono molteplici. Un primo obiettivo è introdurre alcune modifiche al diritto societario per favorire la capitalizzazione delle imprese e introdurre modelli di governance più snelli ed efficaci, senza comprimere i diritti delle minoranze. Queste modifiche contiamo di introdurle nel prossimo decreto legge sulle semplificazioni. Un secondo obiettivo è rendere più efficiente il ‘sistema giustizia’, accelerando i tempi della giustizia civile, penale e tributaria. In Parlamento abbiamo inviato disegni di riforma delle prime due, dobbiamo ora lavorare alla riforma della giustizia tributaria. Un terzo obiettivo è creare a livello europeo un quadro regolatorio, sul piano fiscale, sufficientemente omogeneo, in modo da bandire le pratiche di dumping fiscale all’interno dell’Unione; da quest’ultimo punto di vista le proposte che hanno annunciato Macron e Merkel vanno nella direzione che l’Italia ha più volte tracciato in sede europea. L’effetto di questi interventi renderanno il nostro paese più attraente, più competitivo, e indirizzeranno molte aziende verso un ‘reshoring’ delle loro attività. Completate queste riforme, la qualità e i controlli sui nostri prodotti e servizi costituirà elemento di attrazione”.

 

PUBBLICITÁ

Nella polemica su Fca, facciamo notare a Conte, c’è un elemento che sembra essere sfuggito a molti osservatori: una delle ragioni per cui alcune aziende scelgono di trasferire le proprie sedi fuori dall’Italia ha a che fare con i tempi della giustizia. La durata media di una controversa civile in Italia è circa di 1.120 giorni, il doppio della media Ocse, e in Olanda è di 589,6 giorni. Su questo fronte, sul fronte della giustizia, cosa farà il governo per rendere l’Italia un posto più attraente? “Come ho appena anticipato, in Parlamento sono stati depositati due disegni delega di riforma della giustizia civile e della giustizia penale. Aggiungo che in Parlamento è depositato anche il disegno delega per la riforma del codice civile, che risale al 1942 e che non è mai stato organicamente modificato. Ora spetta al Parlamento offrire il proprio contributo e approvare il prima possibile queste riforme, che sono pilastri fondamentali nella strategia di modernizzazione del paese. Avere un codice civile più moderno, tempi dei processi più brevi, significa creare un ambiente più favorevole agli investitori. Negli anni Settanta ci si doleva della invasione delle multinazionali. Oggi nel quadro della competizione globale il timore maggiore, come sottolinea il sociologo Ulrich Beck, è di non riuscire ad attrarre capitali e investitori stranieri”.

 

Rispetto ai temi della giustizia, lei è d’accordo con chi nella sua maggioranza sostiene che per avere una magistratura più equilibrata sia auspicabile separare le carriere dei magistrati e rivedere il sistema delle correnti nella magistratura? “Ogni progetto di riforma deve garantire l’autonomia della magistratura e l’indipendenza dalla politica. La libertà associativa dei giudici è un valore da preservare, ma sicuramente vanno contrastate le distorsioni correntizie. Quanto alla separazione delle carriere, questa esiste già. Si può fare qualcosa in più, forse, sulla distinzione delle funzioni. In ogni caso sarebbe auspicabile che ogni progetto di riforma possa svilupparsi nel confronto con la magistratura stessa in modo da trovare soluzioni condivise, che non suonino punitive”.

 

“Gli italiani? Responsabili. Chiedo adesso ai cittadini di non abbassare la guardia: non è il tempo degli assembramenti, dei party”

Lei, presidente, ha lasciato intendere, in alcune interviste, che l’Italia userà il Mes solo se lo farà anche la Francia. Ma Parigi, come saprà, si finanzia già a tassi inferiori del Mes: se lo utilizzasse, ci perderebbe 1 miliardo, mentre l’Italia, visti i tassi attuali, se lo utilizzasse risparmierebbe tra i 5 e i 6 miliardi. Esiste un pregiudizio ideologico da parte del governo relativamente all’utilizzo del Mes? “Colgo l’occasione per chiarire: non ho mai dichiarato né pensato che l’Italia potrà utilizzare il Mes dopo la Francia. Sul Mes la mia posizione non è cambiata: il Mes è uno strumento nato dall’esito di crisi molto diverse rispetto a quella che stiamo vivendo. La presenza di una nuova linea di credito dedicata alla sanità ed erogata dal Mes è una possibilità in più per i paesi che ne necessitano e farà senz’altro parte del pacchetto di risposta europea alla crisi. Ma non dobbiamo dimenticarci che l’Italia sta contribuendo a scrivere una nuova pagina della storia europea con l’introduzione del Recovery fund, un piano di investimenti autenticamente europeo, di cui ieri anche Francia e Germania hanno riconosciuto l’importanza strategica. E’ su questo punto che si gioca la vera partita per il rilancio della nostra economia”. Se le condizioni per l’accesso al Recovery fund dovessero riguardare la discesa del debito pubblico, possiamo dire che sarebbero condizioni del tutto accettabili per il nostro governo? “Pervenire a una riduzione del debito/pil è un obiettivo nostro, da raggiungere però con gradualità. Non possiamo rischiare di ripetere l’errore degli anni 2010-2011: le politiche comunitarie non devono costituire un freno alla crescita ma devono promuovere lo sviluppo”.

PUBBLICITÁ

 

Possiamo dire che il lockdown ha mostrato il volto di un’Italia responsabile, più di ogni previsione. Oggi è il momento in cui verrà testata la responsabilità delle istituzioni e la capacità anche del governo di non aver sprecato questi mesi. Che cosa la fa essere ottimista sui prossimi mesi? Quali sono i punti di forza dell’Italia del post lockdown? E in che modo il governo implementerà la sua strategia nelle misure di tracciamento, di terapie e di tamponi? “Gli italiani hanno dimostrato grande senso di responsabilità e questo genera fiducia, oltre a spingere il governo a fare sempre di più e meglio. Chiedo adesso ai cittadini di non abbassare la guardia: non è il tempo degli assembramenti, dei party. Bisogna sempre continuare a rispettare distanze, regole e precauzioni per non vanificare gli sforzi fatti”. 

PUBBLICITÁ

 

“L’Italia può contare su tanti punti di forza: il valore supremo che la nostra società accorda da sempre alla tutela della salute, la capacità di reinventarsi e ripartire nonostante le difficoltà. In aggiunta, il piano nazionale predisposto dal ministro Speranza con il Comitato tecnico-scientifico ci garantisce un costante monitoraggio e la possibilità di interventi selettivi in caso di risalita della curva epidemiologica. Nel decreto ‘Rilancio’ ci sono oltre 3 miliardi per potenziare il sistema sanitario; da inizio crisi abbiamo messo in campo migliaia di assunzioni di personale sanitario e il raddoppio dei posti letto di terapia intensiva. Sono stati acquistati 150 mila test sierologici e siamo pronti ad acquistarne altri 150 mila, nei prossimi giorni parte la sperimentazione dell’app Immuni per il tracciamento. Abbiamo decisamente rafforzato la rete di protezione che ci permette di convivere con il virus”.

 

“La libertà associativa dei giudici è un valore da preservare, ma sicuramente vanno contrastate le distorsioni correntizie”

La scelta di mettere un tetto al prezzo delle mascherine secondo lei è stata efficace? E se lo è stata, perché il governo non sceglie di applicare un tetto anche ad altri prodotti cruciali in questa fase, come possono essere i guanti e i disinfettanti? “La fissazione del prezzo massimo per le mascherine chirurgiche è stata necessaria, nell’interesse dei cittadini, per contrastare le indebite speculazioni. Succede spesso nelle emergenze che un bene diventi prezioso e il suo prezzo cresca a dismisura. A vantaggio di pochi e a danno dei più. Ed è giusto intervenire. Se questo dovesse accadere anche per altri prodotti utilizzeremo lo stesso metodo”. Rispetto alla riapertura delle scuole, tema che preoccupa milioni di italiani, può spiegarci in che modo le scuole italiane, quando riapriranno a settembre, avranno caratteristiche tali da proteggere la salute dei bambini e dei loro genitori? “I nostri ragazzi sono stati i primi che abbiamo protetto quando è iniziata la pandemia. La loro sicurezza resta per noi una priorità. La ministra Azzolina sta lavorando, insieme al comitato di esperti, per mettere a punto varie soluzioni sulla base dei diversi possibili scenari. Nelle prossime settimane partirà un piano articolato di edilizia scolastica che renderà le nostre scuole più sicure. Il nostro obiettivo è di riportare gli studenti a scuola a settembre e contiamo di poterlo fare grazie alla preziosa sinergia con le scuole e gli enti locali”. A proposito di pandemia: due giorni fa, l’assemblea dell’Oms ha approvato una risoluzione che sancisce l’accordo di “avviare al momento opportuno e in consultazione con gli stati membri un processo graduale di valutazione imparziale, indipendente e globale della risposta sanitaria coordinata dall’Oms” nella crisi del coronavirus, per capire cosa non ha funzionato per il verso giusto in Cina. Ci spiega perché il governo è favorevole alla scelta di una commissione di inchiesta internazionale? “La risoluzione – sottoscritta, ricordo, da 140 paesi, Cina inclusa – ha il merito di riconoscere la necessità di identificare con chiarezza gli errori fatti, per non ripeterli in futuro. Dobbiamo imparare da questa pandemia, preservando al contempo quel quadro di collaborazione globale che l’Italia ha promosso sin dall’inizio, quale strumento fondamentale per una efficace reazione”.

 

Nell’ultimo decreto, il decreto “Rilancio”, sono state stanziate risorse anche per alleggerire in via temporanea il peso dell’Irap per le imprese. E’ intenzione di questo governo ridurre l’Irap in modo strutturale nel corso di questa legislatura? E non pensa anche lei che ridurre le tasse in modo strutturale possa essere una grande iniezione di liquidità e di fiducia per il paese e per le imprese? “L’intervento sull’Irap è stato mirato. Ma ricorderete che il governo si era ripromesso una complessiva riforma del fisco già prima dell’emergenza del Covid-19. Riformare un sistema fiscale stratificato e, per buona parte, iniquo e inefficiente, è sicuramente uno degli obiettivi qualificanti di questo governo”. Rispetto a chi vede una grande esplosione del debito e si chiede se questo debito si trasformerà presto in un aumento delle tasse, lei è in grado di garantire che questo governo non metterà mano allo strumento dell’aumento delle tasse e a quello della patrimoniale? “Il debito italiano è sostenibile: lo ha riconosciuto la Commissione europea e ne abbiamo avuto un esempio anche in questi giorni in cui il Btp Italia ha avuto un grande successo, con sottoscrizioni per oltre 12 miliardi di euro. Non c’è nessuna patrimoniale in arrivo e c’è anzi l’intenzione, da parte del governo, di continuare ad alleggerire la pressione fiscale, rimodulandola con puntuali interventi, per rilanciare la crescita. Dovremo fare un uso attento delle risorse europee che arriveranno con il Recovery fund, allo scopo di finanziare un nuovo programma di rinascita produttiva. E’ soltanto così che potremo ridurre gradualmente tanto il debito quanto la pressione fiscale”. E’ d’accordo con chi dice che la fase che si apre è anche quella delle riforme a costo zero, dove per riforme a costo zero si intendono riforme finalizzate a sburocratizzare l’Italia e ad aumentare la produttività del paese? Pensa che il modello utilizzato per la costruzione del ponte di Genova possa essere utilizzato anche per sbloccare le grandi opere? “La riforma per semplificare e sburocratizzare il paese è la madre di tutte le riforme, l’unica in grado di rilanciare la competitività e di accrescere la produttività. E’ sempre stata un’impresa difficile per qualsiasi governo. Resistenze, difese corporative, incrostazioni varie hanno soffocato, in passato, ogni istanza riformatrice. L’Italia non può più attendere ed è questo il momento della svolta. Abbiamo iniziato a definire i contenuti del nuovo decreto legge: una sezione specifica sarà dedicata agli investimenti pubblici, al rafforzamento della capacità di spesa e all’accelerazione dei cantieri. Il ‘modello Genova’ viene ormai evocato ogni giorno, credo che sia giunto il momento di ribattezzarlo ‘modello Italia’”. Nel corso degli ultimi mesi è emerso un tema culturale in un certo senso cruciale: il mondo che sognavano i sovranismi è diventato un incubo, il mondo che i sovranismi consideravano un incubo, un mondo fatto cioè di maggiore apertura, più Europa, meno decrescita, meno protezionismo, maggiore solidarietà tra gli stati, è diventato un sogno. Lei pensa che il nazionalismo populista uscirà più forte o più debole da questa stagione pandemica? “Molto dipende dalle risposte che verranno dalle istituzioni. La crisi ci ha imposto il distanziamento fisico, ma ci ha resi più coesi e orgogliosi di appartenere alla medesima comunità. Ai responsabili delle istituzioni spetta un costante impegno per abbattere le distanze con i cittadini. Le promesse facili e irrealizzabili, le ricette distruttive e divisive di certe derive nazionalistiche e sovranistiche perdono di credibilità quando lo stato riesce a rispondere ai bisogni delle persone, tutelando l’interesse nazionale senza perdere di vista la solidarietà, anche nella dimensione europea ed internazionale. La sfida di oggi è quella di saper ascoltare le istanze delle persone e offrire risposte adeguate, facendo leva su competenza, scelte ponderate e incisive. Ma non dobbiamo commettere l’errore di ripudiare, se mai con sussiego intellettuale, concetti come ‘popolo’ e ‘sovranità’: sono i concetti cardine richiamati del primo articolo della nostra Costituzione. Da ripudiare è la corruzione di quei concetti, di cui indebitamente si appropria la cattiva politica, quella che perde contatto con la vita reale e degenera nella autoriproduzione della classe dirigente”. Presidente, concludiamo la nostra conversazione con un’idea difficile ma forse non impossibile. Se l’opposizione ci stesse, ci può dire tre grandi riforme alle quali intenderebbe lavorare e sulle quali lei auspicherebbe di trovare in Parlamento un consenso capace di coinvolgere anche le forze dell’opposizione? “Sono tanti i progetti di riforma su cui l’opposizione può offrire il proprio contributo. A partire dagli interventi normativi per accelerare i tempi dei processi per finire alla più ampia riforma per la semplificazione di tutto il sistema. Con il decreto ‘Rilancio’ siamo intervenuti in maniera significativa su alcuni settori cruciali, destinati a lasciare una importante eredità. Mi riferisco al potenziamento del sistema e di tutto il personale sanitario, ma soprattutto agli investimenti nella scuola, nell’università, nella ricerca. Capitale umano, ricerca e innovazione saranno le leve fondamentali su cui il paese deve puntare per rinascere. Di fronte a un domani tutto da costruire, dobbiamo riorientare il nostro modello di formazione verso un sistema basato su un processo continuo di apprendimento delle conoscenze e delle competenze, per edificare un paese più equo, più solidale, più verde”.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ