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L’alibi della responsabilità

Valerio Valentini

Bonafede graziato da Renzi e dal Pd (che si contorce). I grillini malignano sugli alleati e Conte è l’unico vincitore

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Roma. Finita la seconda chiama, col conforto dell’aritmetica in tasca, s’è avvicinato a Nicola Morra e Paola Taverna. Due che di solito lo descrivono come qualcosa di appena meno orribile del mostro di Düsseldorf. “Visto? Senza i nostri voti Bonafede cadeva, oggi”, ha detto loro Matteo Renzi, ben sapendo che se i suoi 17 voti li avesse spostati tutti dall’altra parte, la mozione di sfiducia del centrodestra sarebbe finita con 146 sì e 144 no. E Bonafede a casa. Non l’ha fatto, dirà Renzi ai suoi senatori, “perché così dovranno riconoscerci appieno il nostro ruolo di forza di governo, decisiva per le sorti della maggioranza”.

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Roma. Finita la seconda chiama, col conforto dell’aritmetica in tasca, s’è avvicinato a Nicola Morra e Paola Taverna. Due che di solito lo descrivono come qualcosa di appena meno orribile del mostro di Düsseldorf. “Visto? Senza i nostri voti Bonafede cadeva, oggi”, ha detto loro Matteo Renzi, ben sapendo che se i suoi 17 voti li avesse spostati tutti dall’altra parte, la mozione di sfiducia del centrodestra sarebbe finita con 146 sì e 144 no. E Bonafede a casa. Non l’ha fatto, dirà Renzi ai suoi senatori, “perché così dovranno riconoscerci appieno il nostro ruolo di forza di governo, decisiva per le sorti della maggioranza”.

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E questo riconoscimento servirà forse, a Renzi, per ottenere qualcosa sia in termini di agenda politica sia in termini di poltrone, ché del resto, con buona pace degli ipocriti, per fare politica servono eccome. “Il piano choc sui cantieri resta la nostra priorità”, ripete l’ex premier, che certo su quel progetto ha investito tanto. Ma la verità è che se alla fine perfino il più spregiudicato dei leader politici, quello che ama vedersi riflesso nelle pagine di Machiavelli, s’è dovuto appellare al senso di “responsabilità”, è perché questo è stato il rifugio più comodo per sciogliere le troppe contraddizioni di una battaglia contro il giustizialismo e l’incompetenza del Guardasigilli che Renzi ha abbandonato proprio quando il risultato era a portata di mano. E così gli è capitato un po’ l’infortunio che un altro suo riferimento politico, Mino Martinazzoli, descrisse nella sua intervista più celebre: ché “le astuzie e le trappole non possono essere troppe, sennò finisci col cascarci dentro”.

 

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Non che sia l’unico, Renzi, beninteso, a ripararsi dietro l’alibi della “responsabilità”. E’ quello a cui tutti i ministri del M5s, d’altronde, ricorrono per dire, come ieri ha detto Stefano Patuanelli, che “no, mettersi a parlare di rimpasto in una situazione del genere è da irresponsabili”, appunto. Se non fosse che poi sono gli stessi capi della comunicazione di Palazzo Chigi ad accreditare quelle voci: “Renzi vuole un sottosegretariato per Migliore o Rosato”, dicono (dimenticando che il numero massimo di esponenti del governo previsto per legge, e cioè 65, è già stato coperto, e quindi aggiungere in modo indolore non si può); “o due presidenze di commissione per Boschi e Marattin”, aggiungono (senza contare che a giugno tutte le presidenze scadranno, e a Iv alcune spettano a prescindere).

 

E poi c’è la responsabilità del Pd, partito che più d’ogni altro sta facendo esercizio di sopportazione. Difendere Bonafede, per l’ennesima volta, non è stato facile: al punto che, martedì sera, al termine di un’assemblea di gruppo tribolata, Franco Mirabelli, sentendosi accusato di eccessiva accondiscendenza col Guardasigilli, ha fatto sapere ai suoi colleghi senatori: “Domani intervengo in Aula e poi mi dimetto da capogruppo in commissione Giustizia”. Non l’ha fatto, in verità, e anzi il suo discorso ha reso la gravità con cui il Pd è costretto a condannare le stravaganze forcaiole del grillismo pur difendendone l’estensore principale. E allora ecco che, rivolgendosi ai suoi colleghi di partito, martedì Tommaso Nannicini lo ha evidenziato chiaramente, il paradosso della “responsabilità”. Perché il punto non è rinnovare la fiducia a un ministro palesemente inadeguato, il punto è non dare per scontata la fiducia del Pd a un governo che non governa, che “al massimo tappa i buchi” e “punta sui bonus anziché sulla crescita”. E però “se vogliamo salvare il governo non dobbiamo difenderlo dai giochi di palazzo dell’estate, ma dalla crisi sociale dell’autunno. Quando rinnegare le nostre idee per sorreggere una maggioranza che non dà risposte a un paese che soffre, diventerà un atto di irresponsabilità”.

 

E a quel punto ogni ipocrisia verrà deposta. Non a caso di fronte al Renzi conciliante che furbescamente ricordava il peso dell’aritmetica, la Taverna ieri s’è quasi rammaricata di non avere mai avuto il suo numero di cellulare: “Sennò qualche volta ti chiamerei, solo per il gusto di mandarti a quel paese”. Ridevano tutti, in realtà. Ma era una risata stonata.

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