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Casa Salvini

Salvatore Merlo

Le notti bianche di Matteo. Le dirette dalla cucina di casa all’una del mattino. Cornetti, piatti non lavati e mutandoni

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Pigiamone blu, pantaloncini del Milan e s’intuisce anche un vago rumore d’infradito ai piedi. “Scusate la divisa, però è tardi. Non so come siate in giro voi. Io maglietta da baseball e braga corta. A mezzanotte e mezza penso che ciascuno possa stare tranquillo a casa sua”. E insomma da un paio di notti, tra mezzanotte e l’una, il segretario federale della Lega ed ex ministro dell’Interno si collega su Instagram e avvia una diretta: casa Salvini, le notti bianche di Matteo. Un intreccio di vita vissuta in movimento tra soggiorno e tinello, mentre lui si muove e palpita come l’acqua in un secchio, consegnandosi a gesti “spontanei” quali per esempio mondare i ravanelli all’una di notte, tra un commento all’attualità (“non è possibile chiudere in casa le persone per bene mentre spacciatori, ladri e rompipalle fanno più casini di sempre”) e uno sguardo cupido al Buondì Motta, “un saluto agli amici di Pizzo Calabro” e un continuo battibecco, cercato e compiaciuto, con quei follower che lo insultano nei modi più assurdi (spesso un matto pensa cose che dieci sani non prendono in considerazione, perciò uno gli chiede: “Matteo, tu pippi cocaina?”). 

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Pigiamone blu, pantaloncini del Milan e s’intuisce anche un vago rumore d’infradito ai piedi. “Scusate la divisa, però è tardi. Non so come siate in giro voi. Io maglietta da baseball e braga corta. A mezzanotte e mezza penso che ciascuno possa stare tranquillo a casa sua”. E insomma da un paio di notti, tra mezzanotte e l’una, il segretario federale della Lega ed ex ministro dell’Interno si collega su Instagram e avvia una diretta: casa Salvini, le notti bianche di Matteo. Un intreccio di vita vissuta in movimento tra soggiorno e tinello, mentre lui si muove e palpita come l’acqua in un secchio, consegnandosi a gesti “spontanei” quali per esempio mondare i ravanelli all’una di notte, tra un commento all’attualità (“non è possibile chiudere in casa le persone per bene mentre spacciatori, ladri e rompipalle fanno più casini di sempre”) e uno sguardo cupido al Buondì Motta, “un saluto agli amici di Pizzo Calabro” e un continuo battibecco, cercato e compiaciuto, con quei follower che lo insultano nei modi più assurdi (spesso un matto pensa cose che dieci sani non prendono in considerazione, perciò uno gli chiede: “Matteo, tu pippi cocaina?”). 

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Quasi un’ora di spettacolo, talvolta un po' ripetitivo, divertente e insieme inquietante, sospeso tra il Grande Fratello e casa Vianello (“scusate c’è la Francesca di là che mi dice di abbassare la voce”), una trama che lui amministra con consumata perizia – “guardate la pizza con la farina di Kamut che mi sono mangiato” – da protagonista e regista di se stesso, mentre come tutti, occupa saldamente il fortilizio casalingo. Gli occhi dell’insonne, i lineamenti appesantiti, la stanchezza ottusa nello sguardo di chi evidentemente va a letto dopo le 2 “e domani sveglia alle sette”. Non ha più l’aria vincente di quando era ministro dell’Interno, anzi, forse torna a essere quello che era prima: una specie di garzone di macelleria. L’espressione d’una incongrua bonomia proletaria, imbottita di egoismo, foderata di paure e trapunta di nazionalismo. “Feltri sul sud ha detto una cazzata. Chi ci vuole fottere sta all’estero. A Berlino, a Parigi, a Bruxelles”.

Quando si alza dal divano grigio per raggiungere la cucina, poco prima di tirare fuori il mirto di Sardegna (“fatto in casa, eh”) e i tortellini (“come li fanno a Bologna non li fanno da nessuna parte del mondo”), ecco che un campo di battaglia si spalanca agli occhi dell’osservatore d’Instagram (nella notte tra mercoledì e giovedì erano circa 10.0000 persone, tra cui Elisabetta Gregoraci e la formosa Francesca Cipriani che gli mandavano bacini). E insomma in cucina s’intravedono cipolle abbandonate, orfani di spicchi d’aglio, coltelli e forchette da lavare, piatti accatastati, l’idea di un rapporto sommario con la lavastoviglie e con i saponi in generale, l’ostentazione d’una intimità sbracata, come il piagiamone blu e i pantaloncini corti, che non è precisamente invitante. Al punto che uno dei follower, dopo aver dato uno sguardo a delle fragole che devono aver visto tempi migliori (“le avete mai provate? Sono quelle di Terracina”) s’immagina pure che sotto il lavabo ci possano essere le formiche.

 

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E insomma, pur tra le centinaia di messaggi del tipo “sei grande”, “ti prego diventa mio padre” e addirittura un ammiccante “tiralo fuori” (con la variante regionalistica “escilo”), in realtà c’è forse da dubitare che a questa disordinata esibizione del Salvini casalingo corrisponda in effetti un’identificazione capace di portare voti. Non è infatti detto che tutti gli italiani che hanno una cucina messa male, o un pigiama orrendo, vogliano votare uno che non lava manco i piatti ma vorrebbe uscire dall’euro. Specie in un paese che adesso sembra forse più alla ricerca di conforto che di immedesimazione, di forme di speranza e di vecchie tradizioni che ritornano, al punto che persino gli astri nascenti della Lega, come Luca Zaia, prendono proprio queste sembianze, che non sono certo quelle del pittoresco, della Madonna di Medjugorje (“guardate qua il braccialetto”) e della chitarra (“domani vi suono la Canzone del sole”). Ma chissà. Di certo Salvini, nella sua quarantena dal potere, ha perso la violenza del gradasso, la spacconeria del vincente. Ora porta pure gli occhiali, ed è simpaticamente patetico quando dice di non vederci più. L’impressione è che il gioco gli sia finito nelle mani, per esaurimento. Resta Instagram. “Ragazzi perdonatemi è l’1 e 20. Vi devo lasciare. Mi dedico al cornetto Algida. Ci vediamo domani notte”.

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