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I 1.500 miliardi sul tavolo e i bazooka dell’Europa. Parla Sassoli

Salvatore Merlo

“La protezione dei paesi passa dalla capacità dell’Europa di avere politiche comuni”, dice il presidente del Parlamento europeo

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Roma. “I paesi membri dell’Unione adesso sono nelle condizioni di poter spendere”, dice. “E devono spendere”, aggiunge. “Cambia tutto in Europa. E’ tutto cambiato per effetto del coronavirus.  Jean Monnet diceva che l’Europa si fa con le crisi. Non bisogna augurarsele, ma  è lo stato di necessità che consente di superare le barriere nazionali”. E allora niente più vincoli di bilancio, ossessioni da rapporto deficit/pil, regole sugli aiuti di stato… “Quello è il mondo di ieri. Questa crisi non sarà affrontata come la grande crisi del 2008 che produsse forti ineguaglianze. E’ già chiaro. Siamo in una scena profondamente diversa”. Così David Sassoli, presidente del Parlamento europeo stende un elenco: “Ogni paese può derogare al Patto di stabilità fino al 20 per cento del proprio pil, significa che la Germania potrà spendere fino 550 miliardi,  l’Italia 350, la Francia 300, la Spagna 200”.

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Roma. “I paesi membri dell’Unione adesso sono nelle condizioni di poter spendere”, dice. “E devono spendere”, aggiunge. “Cambia tutto in Europa. E’ tutto cambiato per effetto del coronavirus.  Jean Monnet diceva che l’Europa si fa con le crisi. Non bisogna augurarsele, ma  è lo stato di necessità che consente di superare le barriere nazionali”. E allora niente più vincoli di bilancio, ossessioni da rapporto deficit/pil, regole sugli aiuti di stato… “Quello è il mondo di ieri. Questa crisi non sarà affrontata come la grande crisi del 2008 che produsse forti ineguaglianze. E’ già chiaro. Siamo in una scena profondamente diversa”. Così David Sassoli, presidente del Parlamento europeo stende un elenco: “Ogni paese può derogare al Patto di stabilità fino al 20 per cento del proprio pil, significa che la Germania potrà spendere fino 550 miliardi,  l’Italia 350, la Francia 300, la Spagna 200”.

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A queste cifre bisogna aggiungere  i 500 miliardi del Fondo di stabilità, il Mes”, dice David Sassoli. “E  poi ci sono i 120 miliardi della Bce per il Quantitative easing fino alla fine dell’anno. Una somma cui vanno aggiunti i  20 miliardi che la Bce  stanzia ogni mese. Alla fine, in totale, quelli della Bce sono oltre 300 miliardi. Si tratta di un inizio, da oltre 1.500 miliardi complessivi. Mi sembra una partenza convincente. Per una settimana abbiamo avuto tanti paesi europei che hanno cercato di organizzarsi per conto proprio. E hanno dato una cattiva immagine complessiva: l’idea unilaterale di chiudere le frontiere con l’Italia da parte di alcuni, l’idea di altri di limitare il commercio delle attrezzature sanitarie. Per una settimana alcuni governi hanno cercato una via nazionale alla crisi cercando una risposta solitaria. Ma da venerdì scorso questa impostazione è stata corretta. Il pacchetto presentato dalla Commissione europea è stato sostenuto lunedì dall’Eurogruppo e martedi il Consiglio europeo l’ha fatto proprio. Adesso sarà necessario il voto del Parlamento europeo. Insomma l’Europa ha corretto la linea dei singoli paesi. E l’ha fatto mettendo in campo delle dotazioni finanziarie e di elasticità espansiva che sono evidentemente a tutela dei paesi più esposti e più fragili”.

 

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Cambia il paradigma, rispetto alla crisi del 2008. Rimangono fortissimi dubbi, tuttavia, sul Fondo salva stati. Criticato da diverse forze politiche, in Italia. Sarebbe pericoloso, dicono. Imporrebbe condizioni pesanti a chi volesse farne uso. “Non è così. E’ invece una opportunità. E’ un fondo da 500 miliardi. Penso sia uno strumento da tenere presente in questo momento”.

 

Ma le condizioni? C’è chi teme il commissariamento della politica economica. Chi teme per l’Italia uno scenario alla greca, con richieste sanguinose, tipo la ristrutturazione del debito. “Le condizioni non vengono imposte. Il cosiddetto Mes è un fondo che ha una sua governance che comprende tra l’altro i membri dell’Eurogruppo e il commissario agli affari economici, che oggi è Paolo Gentiloni. Le proposte concrete sono della Commissione. Il processo è democratico tanto è vero che le decisioni vengono prese a maggioranza qualificata dell’85 per cento dei voti espressi e vedono il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali. E’ così che funziona, al di là delle fantasie. Non è un oscuro organismo  tecnocratico.  E’ un organo politico-democratico.  Sento pure dire che il Mes prevederebbe l’intervento della Troika. Sciocchezze. La Troika  non esiste più dalla scorsa legislatura, perché il Parlamento europeo ha modificato i meccanismi che portarono a quel tipo di interventi durante la crisi greca. Quello scenario non si ripeterà mai più. Lo ripeto: il Mes è uno strumento, e credo che il contraccolpo di questa crisi potrebbe metterne in luce l’utilità. Bisognerebbe capire un po’ meglio di cosa stiamo parlando. Il coronavirus provoca confusione, caos finanziario, stasi produttiva. Una miscela che può essere insopportabile per molti stati membri. Ecco perché un fondo come il Mes può essere utile. Può darsi non risulti alla fine necessario utilizzarlo, certo. Intanto però è meglio averlo un fondo da 500 miliardi che non averlo. Voi che dite?”.

 

Anche all’interno della nuova filosofia espansiva l’Italia potrebbe trovarsi in difficoltà. In difficoltà persino a spendere. Siamo gravati dal più alto debito pubblico d’Europa. Ragione per cui ieri lo spread è salito fino a toccare i 320 punti. Appena un mese fa era placidamente assestato a 130 punti. “Per questo, una volta fermato il virus, una volta esauriti gli investimenti necessari a garantire la liquidità al sistema industriale, italiano ed europeo, servirà un ‘secondo tempo’. Ci vorranno misure inedite e gli Eurobond potrebbero essere uno strumento appropriato.   Martedì al Consiglio europeo è iniziata una riflessione su questo argomento. E ne sono contento. Eurobond significa mettere tutti i paesi nelle stesse condizioni. Significa  non far subire ai singoli paesi il riflesso delle loro condizioni economiche. Oggi un euro preso in prestito dall’Italia non ha lo stesso costo che ha per altri paesi. Con gli Eurobond cambierebbe tutto.  Sarebbero uno straordinario strumento per consolidare la ripresa una volta usciti dal tunnel dell’emergenza coronavirus.  Sappiamo che ci sono alcuni paesi molto restii ad aprire questa discussione, ma questo è  il tempo di osare. Serve coraggio. E mi ha fatto piacere che anche all’interno di alcuni gruppi politici del Parlamento la discussione si stia aprendo.  Però gli Eurobond riguardano la seconda fase, ripeto. Quella di medio e lungo termine, una volta  sconfitto il virus, quando si dovrà rilanciare l’economia. Ora siamo all’emergenza, dobbiamo salvare vite, garantire funzionalità agli ospedali, imprimere un forte sostegno alla ricerca del vaccino, e far sì che le aziende abbiano la liquidità necessaria a superare questa fase in cui sono ferme. Adesso è il momento di spendere i soldi. I paesi adesso devono spendere. E possono farlo. Non hanno più il vincolo del Patto di stabilità e degli aiuti di stato. Quindi: forza!”.

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E quella che descrive Sassoli è l’ipotesi di un futuro che sembrava semplicemente impossibile anche solo da immaginare fino a qualche settimana fa, stando ai principi che hanno fin qui regolato l’Unione europea. E le sue scelte. Che Europa ci attende? “C’è una prima lezione che molti governi non capirono durante la crisi del 2008. Il coronavirtus è la prova di una forte interdipendenza non solo europea ma mondiale. Paradossalmente non c’è miglior esempio del mostruoso coronavirus per dimostrare che abbiamo bisogno di risposte complesse e comuni ai processi di globalizzazione. In questi ultimi giorni abbiamo capito che se i governi europei vanno in ordine sparso, soccombono. E questo riguarda tutte le dinamiche della globalizzazione.   Ma gli stati europei hanno una carta di riserva, che è l’Unione europea. Ora l’Europa sta intervenendo sull’emergenza sanitaria, che è di competenza degli stati nazionali, e ci accorgiamo che nessun paese può affrontare sfide di questo genere da solo. La protezione dei nostri paesi passa dunque dalla capacità dell’Europa di avere politiche comuni. Per fare questo, però, ci vuole visione e coraggio. Bisogna andare avanti. Imparare da questa emergenza che stiamo vivendo, e fare passi in avanti nell’integrazione europea. Basti pensare alla dotazione di risorse che l’Europa unita può sviluppare, l’ho detto prima: 1.500 miliardi complessivi solo in questa prima fase. E’ di più di quanto gli Stati Uniti abbiano messo sul piatto. Gli ultimi quattro giorni rivelano con estrema chiarezza che l’Europa può essere una soluzione alle fragilità dell’Italia. E non solo dell’Italia. Tutto va in una unica direzione: l’Unione va resa più funzionale. Bisognerà però  affidare all’Europa nuove competenze, salvare il processo democratico delle decisioni”. 

 

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L’Italia però è diventato uno dei paesi più euroscettici del continente. Questo è successo anche per colpa dell’Europa e della gestione europea della crisi del 2008. Stavolta sembra diverso. Ma lo sarà davvero? “Alla fine del coronavirus ci sarà un’opera di ricostruzione da compiere. Pensate solo al dissesto industriale in cui si ritroverà l’Europa intera. Servirà un’opera di ricostruzione. In Italia e negli altri paesi.  Servirà dunque una politica molto coraggiosa. E anche classi dirigenti, nei singoli paesi, che spieghino alle proprie opinioni pubbliche l’utilità di un rafforzamento dell’unione. Molti governi sono paralizzati dalla pancia dei loro paesi. Ma adesso dovrebbero spiegare cosa sarebbe successo, già ora, in questi giorni, in queste settimane, se fossero andati da soli. Per questo dicevo prima che il nuovo pacchetto d’interventi è una cosa molto importante”. Cadono dei dogmi. Forse.  Cambia la filosofia. Forse. “E’ già cambiato tutto. E’ così chiaro”.

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