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Il Pd punta ai servizi

Valerio Valentini

Le mosse degli alleati del M5s per togliere una casella chiave di Palazzo Chigi dalle mani di Conte

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Roma. La pietra d’inciampo, a quanto pare, sarà sulla Via della seta. Nel senso che è proprio sui rapporti con la Cina, e sulla relativa baruffa intorno al 5G, che la gestione solitaria dei servizi segreti da parte di Giuseppe Conte, e del suo uomo di fiducia a capo del Dis Gennaro Vecchione, verrà ufficialmente contestata. Ma di certo la questione è anche – se non soprattutto – politica. Ed è così che, quando la tanto attesa “fase due” del governo giallorosso avrà inizio, archiviata l’emergenza del coronavirus, tra le richieste che il Pd avanzerà al premier ci sarà quella di cedere la delega sui servizi. E di cederla, ovviamente, a un esponente dem, che andrebbe promosso come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: bilanciando, così, uno squilibrio evidente a Palazzo Chigi, presidiato da ben tre sottosegretari riconducibili a Conte o al M5s (Riccardo Fraccaro, Roberto Chieppa e Mario Turco) e dal solo Andrea Martella, del Pd, al dipartimento dell’Editoria.

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Roma. La pietra d’inciampo, a quanto pare, sarà sulla Via della seta. Nel senso che è proprio sui rapporti con la Cina, e sulla relativa baruffa intorno al 5G, che la gestione solitaria dei servizi segreti da parte di Giuseppe Conte, e del suo uomo di fiducia a capo del Dis Gennaro Vecchione, verrà ufficialmente contestata. Ma di certo la questione è anche – se non soprattutto – politica. Ed è così che, quando la tanto attesa “fase due” del governo giallorosso avrà inizio, archiviata l’emergenza del coronavirus, tra le richieste che il Pd avanzerà al premier ci sarà quella di cedere la delega sui servizi. E di cederla, ovviamente, a un esponente dem, che andrebbe promosso come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: bilanciando, così, uno squilibrio evidente a Palazzo Chigi, presidiato da ben tre sottosegretari riconducibili a Conte o al M5s (Riccardo Fraccaro, Roberto Chieppa e Mario Turco) e dal solo Andrea Martella, del Pd, al dipartimento dell’Editoria.

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Dalle parti del Nazareno se ne sono convinti da tempo: la delega ai servizi non è un incarico che si possa gestire nei ritagli di tempo, specie con una guerra civile tutt’altro che in via di conclusione alle porte di casa nostra (in un paese, come la Libia, che per l’Italia è fondamentale per almeno tre ragioni: immigrazione, terrorismo ed energia). E del resto c’è un motivo se dal 2007, quando una legge specifica ha introdotto l’autorità delegata ai servizi, tutti i premier ne hanno usufruito: e così, a guidare l’intelligence, a Palazzo Chigi si sono succeduti, negli anni, Gianni Letta, Gianni De Gennaro e Marco Minniti. Fino ad arrivare alla prima eccezione: e cioè quel Paolo Gentiloni che, arrivato alla guida del governo nel dicembre del 2016, rinunciò di assegnare la delega, ma nella consapevolezza che il suo sarebbe stato un esecutivo di breve durata. Ora, l’eccezione non può diventare la norma. Specie perché, nel Pd, sta crescendo una certa insofferenza nei confronti di Vecchione, il generale della Guardia di Finanze che Conte, anche in virtù di una stima personale, ha voluto alla guida del Dipartimento per l’informazione e la sicurezza, ovvero il vertice della nostra intelligence, confermandogli la fiducia anche dopo la bufera sul caso Mifsud.

 

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E non a caso era stato proprio in quell’inizio di ottobre del 2019, funestato dal Russiagate e dalla fuoriuscita di notizia sulle visite romane del ministro della giustizia americano William Barr, che per la prima era stata avanzata a Conte la richiesta di cedere la delega ai servizi. A farla, in quel caso, era stato Matteo Renzi, leader della neonata Italia viva, seguito subito da Pier Ferdinando Casini. Non servì, in verità: anche perché in quel caso, pur nascondendo a stento un certo malumore nei confronti di Conte e Vecchione, sia dal Pd sia dal M5s era arrivata una difesa al premier.

 

Cosa che invece, stavolta, potrebbe non accadere in virtù di una tensione arrivata ai livelli di guardia tra i partiti di maggioranza e il capo del Dis. Lo si è capito ieri pomeriggio, durante il consiglio di presidenza del Copasir dove, per l’ennesima volta, si è discusso del 5G. Troppo distante l’approccio del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, alquanto diffidente nei confronti dei colossi cinesi (Huawei e Zte) interessi all’infrastruttura cibernetica italiana, da quello di Vecchione e di Conte, che sottolineano invece l’esigenza di rispettare le regole del libero mercato, di fatto non precludendo alle imprese di Pechino di partecipare ai bandi sul 5G. Le ultime uscite del capo del Dis sul tema, poi, hanno fatto il resto: aggiungendo, alla contrapposizione politica di merito, l’irritazione dell’intero Copasir per l’eccessiva visibilità mediatica di Vecchione, arrivato a spiegare ai giornali le ragioni per cui non intende dare seguito alle raccomandazioni inserite dal comitato nella sua relazione annuale del dicembre scorso. E così, il Copasir – presieduto dal leghista Raffaele Volpi, a cui di certo non dispiace vedere il premier in affanno – ha valutato l’opportunità di convocare proprio Conte a riferire sul tema, compatibilmente con gli impegni incombenti che riguardano l’emergenza del coronavirus.

 

Finita la quale, però, da parte del Pd arriverà anche la richiesta che da questa tensione discende: e cioè un passo indietro del premier rispetto alla gestione dei servizi. Il che, evidentemente, segna anche l’avvio di una stagione nuova, nella maggioranza di governo: quella di un Pd sempre meno disposto a recitare il ruolo di pretoriano di Conte a tempo permanente. E d’altronde su questo, a Palazzo Chigi, nei giorni scorsi sono stati avvisati.

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