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Così Napoli e Roma bocciano Di Maio e Salvini

Valerio Valentini

Sia le ambizioni nazionaliste della Lega, sia le velleità autonomiste del M5s escono con le ossa rotte dalle suppletive

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Per quel poco che possono valere due elezioni suppletive, il segnale è comunque abbastanza chiaro: sia le ambizioni nazionaliste di Matteo Salvini, sia le velleità autonomiste di Luigi Di Maio, crollano sotto il peso delle sconfitte di Napoli e Roma.

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Per quel poco che possono valere due elezioni suppletive, il segnale è comunque abbastanza chiaro: sia le ambizioni nazionaliste di Matteo Salvini, sia le velleità autonomiste di Luigi Di Maio, crollano sotto il peso delle sconfitte di Napoli e Roma.

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Nella Capitale, che pure il M5s amministra con Virginia Raggi, nel collegio del centro storico chiamato a scegliere il sostituto di Paolo Gentiloni, l'anonima candidata grillina Rossella Rendina racimola la miseria di 1.422 preferenze. Eccola, quanto pesa, “l'alternativa a 5 stelle” che non vuole schierarsi né a destra né a sinistra: il 4,36 per cento. Più che una “terza via”, quella additata da Di Maio, riluttante a ogni ipotesi di alleanza a livello territoriale, è una strada senza uscita. Certo, ha votato solo un romano su sei (a proposito: ha vinto il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri col 62 per cento, seguito dal meloniano Maurizio Leo col 26); certo, la riserva del Trionfale, coi quartieri Prati e Parioli, resta il fortino rosso della Roma bene, quello della “sinistra ztl”. Però, anche solo confrontandolo col voto del 4 marzo del 2018, il crollo del M5s è netto: due anni fa prese il 17 per cento.

 

“Tutto prevedibile: il nostro terzo polo è non pervenuto”, sbuffa il deputato Antonio Zennaro, che da tempo si sgola invano predicando la necessità di un'alleanza organica col Pd e che del resto, nel suo Abruzzo chiamato al voto nelle amministrative a primavera, tocca con mano “la totale disorganizzazione del Movimento”, che al momento ha presentato le liste in un solo comune sui 60 chiamati alle urne. E del resto a null'altro che a una battaglia di testimonianza sono destinati i candidati grillini in Veneto e Puglia, così come in Campania se alla fine vincerà la linea di Di Maio: la stessa che ha preteso la corsa di Luigi Napolitano alle suppletive del 23 febbraio scorso nel centro di Napoli, conclusesi anche quelle con un bagno di sangue del M5s e una vittoria del centrosinistra. Mentre in Liguria, dopo le proteste dei parlamentari, tra mercoledì e giovedì prossimi si dovrebbe votare su Rousseau – un quesito ancora ignoto a tutti – per stabilire se andare col Pd o in autonomia.

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Ma ad uscire ridimensionato, dalla tornata di amministrative, è anche l'altro dioscuro del grilloleghismo, e cioè quel Salvini che insiste nel sognare lo sbarco al Sud del Carroccio. Ma né il centro di Napoli, né quello di Roma, danno per il momento buone risposte: e la battaglia emiliana ha dimostrato – per stessa ammissione del Truce – che senza i grandi centri urbani non si vince, al di fuori dei confini della Padania. È anche per questo che, in Campania, i sostenitori di Stefano Caldoro (cioè quasi tutta Forza Italia, ma non Mara Carfagna) ora provano a serrare le fila: “Se Salvini non vuole sostenerlo, corra pure da solo”, se la ride Gianfranco Rotondi. “Vediamo quanti voti prende”.

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