PUBBLICITÁ

La Campania di Caldoro

Valerio Valentini

Parla il (ri)candidato: “Io ‘vecchio’? Come Zaia e Fontana”. La tentazione leghista: “In Puglia corriamo da soli”

PUBBLICITÁ

Roma. Se gli si riporta la critica che i leghisti agitano sul suo conto, si stringe nelle spalle. “La mia sarebbe una candidatura vecchia?”. E allora Stefano Caldoro sorride, indugia un attimo prima di rispondere. “E’ vero, ho già fatto il presidente della Campania, e poi per cinque anni ho guidato l’opposizione in consiglio regionale. Ma del resto anche quello di Attilio Fontana è un profilo di un amministratore di lungo corso. Luca Zaia va verso il terzo mandato consecutivo in veneto. Jole Santelli, alla quinta legislatura da deputata è stata eletta governatrice in Calabria. Invece, ad esempio, Lucia Borgonzoni era una candidatura nuova ...”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Se gli si riporta la critica che i leghisti agitano sul suo conto, si stringe nelle spalle. “La mia sarebbe una candidatura vecchia?”. E allora Stefano Caldoro sorride, indugia un attimo prima di rispondere. “E’ vero, ho già fatto il presidente della Campania, e poi per cinque anni ho guidato l’opposizione in consiglio regionale. Ma del resto anche quello di Attilio Fontana è un profilo di un amministratore di lungo corso. Luca Zaia va verso il terzo mandato consecutivo in veneto. Jole Santelli, alla quinta legislatura da deputata è stata eletta governatrice in Calabria. Invece, ad esempio, Lucia Borgonzoni era una candidatura nuova ...”.

PUBBLICITÁ

  

Ma il veleno nella coda della battuta è quasi involontario, instillato più dalla sicurezza di cui rivendica la sua storia che non dalla malizia di chi vuole garantirsi un futuro. “Non sono stato io a candidarmi”, dice Caldoro, sessantenne molisano d’origine, ma napoletano d’adozione, che nel consiglio regionale della Campania ha costruito una buona parte della sua carriera politica. Ci entrò per la prima volta nel 1985, come esponente di quel Partito socialista a cui è sempre rimasto affezionato. E infatti Lucio Barani, con l’immancabile garafano rosso sul bavero della giacca, intercettandolo davanti all’entrata di Montecitorio, lo saluta come si fa con gli amici più cari: “Alle 13: 30 al Pastation”, gli ricorda, invitandolo al ristorante di Denis Verdini. Invece Maria Tripodi, deputata di Forza Italia, si avvicina con deferenza e lo saluta: “Buongiorno, presidente”.

  

PUBBLICITÁ

Perché, in effetti, Caldoro lo è stato. “Vinsi nel 2010 con undici punti di distacco su Vincenzo De Luca. Cinque anni dopo, fu lui a battermi, nonostante il recupero degli ultimi giorni, perché fu Ciriaco De Mita a tradire il patto che avevamo fatto, e a dirottare sul Pd le sue preferenze”. Questa, quindi, sarebbe la bella. “Sì, sempre che poi, alla fine, saremo davvero noi gli sfidanti”. Perché in effetti, al momento, nessuna delle due candidature è certa fino in fondo. “Per avere la certezza di vincere, il Pd dovrebbe fare l’accordo col M5s, ma a quel punto dubito che il nome di De Luca sarebbe spendibile. E non a caso si parla molto del ministro dell’Ambiente grillino Sergio Costa, o di quello appena nominato all’Università in quota Pd, Gaetano Manfredi. E circola pure l’opzione di Raffaele Cantone”.

  

Questo, per quanto riguarda il centrosinistra. E a destra? “Ripeto, io non ho chiesto nulla”, dice Caldoro. “E non mi sembra ci sia ancora nulla di definito, ancora. E anzi, mi pare la si stia tirando un po’ troppo per le lunghe”, aggiunge. E lo fa, non a caso, dopo essere stato per un quarto d’ora abbondante a colloquio con due colonnelli della Lega: il vicesegretario Lorenzo Fontana e l’ex sottosegretario all’Interno Nicola Molteni. “Io credo che a questo punto si debba chiudere – riprende Caldoro, già deputato, viceministro, ministro nel governo di Silvio Berlusconi tra il 2005 e il 2006 – e lo si debba fare in tempi rapidi. Se Matteo Salvini ambisce, come mi pare sia legittimo, a essere il leader dell’intera coalizione di centrodestra, deve essere lui a indicare una soluzione che trovi un equilibrio condivisibile dai suoi alleati su tutte e sei le regioni che vanno al voto a maggio. Un po’ come ha fatto a piazza San Giovanni a ottobre scorso: un gesto da guida di un’intera coalizione, e non solo di un partito”.

  

E lo dice, Caldoro, con l’aria di chi evidentemente le ha sentite quelle voci che circolano su un possibile strappo della Lega. Perché in effetti l’opposizione di Salvini a Raffaele Fitto, l’uomo scelto da Giorgia Meloni per riconquistare la Puglia, non pare in alcun caso sanabile: “Le minestre riscaldate non vanno bene”, si ripetono tra loro i leghisti più vicini al segretario. E i malumori sono così forti, e la fermezza della leader di FdI così incrollabile, che qualcuno nel Carroccio comincia persino ad accarezzare l’idea di rompere il fronte comune del centrodestra e presentare una candidatura leghista, “magari per rompere con la Meloni e provare ad aprire un dialogo coi renziani per un governo di larghe intese”. Caldoro alza le mani, si cuce la bocca: “Non entro nelle dinamiche leghiste, non riesco a capire bene quali siano le reali differenze di pensiero, e se ce ne sono, tra Salvini e Giorgetti. Qualcuno forse tra i leghisti ci sta pensando, a uno scenario del genere. Ma di certo una strategia che puntasse alla rottura sulle regionali sarebbe funzionale ad aprirsi nuove prospettive qui a Roma, ma davvero non riesco a giudicare”.

PUBBLICITÁ

  

PUBBLICITÁ

E però, in ogni caso, un candidato leghista in Campania davvero reggerebbe l’urto dei ricordi neanche troppo lontani, di un certo antimeridionalismo urlato a colpi di brindisi contro i napoletani? Non si rischierebbe di consumare l’intera campagna elettorale nella cagnara più sguaiata? “Probabilmente a quel punto si andrebbe su un profilo più civico, magari un imprenditore. Chissà. Ma il sud ha dinamiche particolari, le personalità troppo divisive non funzionano: e infatti De Luca faticò assai più del previsto, nel 2015, consumando quasi tutto il vantaggio che i sondaggi gli attribuivano ancora a un mese dal voto. Al sud si vince tranquillizzando tutti, facendo sentire tutti in qualche modo tutelati, compartecipi. Serve unire, più che spaccare”. Come finirà? “Non lo so. Credo sia difficile modificare di molto gli accordi che si erano raggiunti. Anche perché Giorgia la conosciamo, è una tipa che non molla facilmente”.

PUBBLICITÁ