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Tentazione nel Pd: o si cambia la prescrizione o si cambia Bonafede

Salvatore Merlo

Il ministro parla in Aula e allude alla marcia indietro sulla sua riforma. Orfini: “Ci farà rimpiangere Di Maio”

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Roma. Il capannello di deputati del Pd è allegro e spigliato, dev’essere l’effetto Emilia-Romagna. “Sostituire Bonafede? Ma magari. Ottima idea”, dice a un certo punto Alfredo Bazoli, il capogruppo del Pd in commissione Giustizia. Alché il sottosegretario Alessia Morani sorride, diplomatica. Non parla. Si accorge dei giornalisti: Shhh. “Ma no, dobbiamo tenercelo. Chissà chi verrebbe dopo”, ribatte il vicepresidente della commissione Giustizia, Franco Vazio. “Guarda che al peggio non c’è mai fine”. Ecco. Pochi minuti prima, alla bouvette, altri due democratici chiacchierano in amicizia. Tono ironico. Frammenti di conversazione. “Ma la laurea in legge esattamente chi gliela avrebbe data?”, chiede Alessandro Maran con sapiente uso del condizionale (che insieme al congiuntivo è una rarità in Parlamento). “Credo l’Università di Firenze, ma non mi stupirei arrivassero gli ispettori del ministero”, risponde Andrea Romano. Questo è il clima. Un coro di pernacchie al ministro della Giustizia che non sa la differenza tra colpa e dolo, quello di “nessun innocente va in carcere”, l’autore della cosiddetta riforma della prescrizione che fa impallidire gli ex pm di Mani pulite come Gherardo Colombo. I grillini ieri lo hanno premiato nominandolo capo delegazione al governo. Nel Pd sono meno prodighi, diciamo. “O Bonafede rivede la sua posizione o è inevitabile che sarà messo in discussione”, dice Fausto Raciti. Ma lui, il ministro, se ne deve essere proprio accorto. O meglio, forse gliel’hanno spiegato con i segni. E infatti prende la parola in Aula: “Ci sono divergenze nella maggioranza. Ma su quelle divergenze ci stiamo confrontando”. Sintesi di quelli del Pd: “Ha fatto pippa”. 

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Roma. Il capannello di deputati del Pd è allegro e spigliato, dev’essere l’effetto Emilia-Romagna. “Sostituire Bonafede? Ma magari. Ottima idea”, dice a un certo punto Alfredo Bazoli, il capogruppo del Pd in commissione Giustizia. Alché il sottosegretario Alessia Morani sorride, diplomatica. Non parla. Si accorge dei giornalisti: Shhh. “Ma no, dobbiamo tenercelo. Chissà chi verrebbe dopo”, ribatte il vicepresidente della commissione Giustizia, Franco Vazio. “Guarda che al peggio non c’è mai fine”. Ecco. Pochi minuti prima, alla bouvette, altri due democratici chiacchierano in amicizia. Tono ironico. Frammenti di conversazione. “Ma la laurea in legge esattamente chi gliela avrebbe data?”, chiede Alessandro Maran con sapiente uso del condizionale (che insieme al congiuntivo è una rarità in Parlamento). “Credo l’Università di Firenze, ma non mi stupirei arrivassero gli ispettori del ministero”, risponde Andrea Romano. Questo è il clima. Un coro di pernacchie al ministro della Giustizia che non sa la differenza tra colpa e dolo, quello di “nessun innocente va in carcere”, l’autore della cosiddetta riforma della prescrizione che fa impallidire gli ex pm di Mani pulite come Gherardo Colombo. I grillini ieri lo hanno premiato nominandolo capo delegazione al governo. Nel Pd sono meno prodighi, diciamo. “O Bonafede rivede la sua posizione o è inevitabile che sarà messo in discussione”, dice Fausto Raciti. Ma lui, il ministro, se ne deve essere proprio accorto. O meglio, forse gliel’hanno spiegato con i segni. E infatti prende la parola in Aula: “Ci sono divergenze nella maggioranza. Ma su quelle divergenze ci stiamo confrontando”. Sintesi di quelli del Pd: “Ha fatto pippa”. 

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Bonafede si alza in piedi, allunga il microfono sullo scranno del governo, acchiappa dei fogli dattiloscritti chissà da chi, e comincia a snocciolare parole con voce monotona, come in un’interminabile litania da far pensare al verso di certi animali notturni o al cigolio di un apparecchio meccanico. Attorno a lui l’Aula è un campo di guerra. L’opposizione vuole discutere e mettere ai voti un emendamento, firmato dal forzista Enrico Costa, che cancella la sua riforma. I renziani sono tentati. Pure parecchi deputati del Pd, tra cui Enza Bruno Bossio. Per un po’ si pensa che la maggioranza possa anche spaccarsi, com’era accaduto qualche settimana fa in commissione. E lui? Lui che fa? Lui legge i suoi foglietti, e sorride. Sorride di quel suo sorriso costante, appena accennato, inspiegabile ma perenne, come stampato sul volto. I Cinque stelle perdono le elezioni europee, e Bonafede sorride. Prendono il 4 per cento in Emilia-Romagna, e Bonafede sorride. Si dimette Di Maio, e Bonafede sorride. La maggioranza barcolla per un suo provvedimento alla Camera, e lui, annaspando mentre legge un discorsetto da assemblea di classe autoconvocata, sorride. “Questo ci fa rimpiangere Di Maio e persino Toninelli”, sentenzia Matteo Orfini, definitivo. Terminale.

 

  

Alla fine il Pd disinnesca tutto. Il ministro sorridente, i deputati sfotticchianti, i renziani contundenti, l’opposizione gongolante: si ritorna in commissione. Rinviare. Allontanare. Troncare. Sopire. Addormentare. E come sempre succede, sono le facce – ah le facce! – a spiegare ogni cosa. Quelle dei grillini: pallide. Tendenza bianco latte. Quattrovirgolasette per cento in Emilia. Zero eletti in Calabria. Zero. E la certezza aritmetica che un qualsiasi incidente, per un qualsiasi motivo, futile o fondato, con lo scioglimento della legislatura significherebbe tornare alla vita di prima. Fuori dal Parlamento. Senza stipendio. L’idea di andare a votare ne mina, nel corpo e nell’animo, a decine. A frotte. Vita agra, o come direbbe Paola Taverna: “’Na cosa brutta brutta brutta”. E infatti la foga ideologica gli è sbollita di colpo, e negli occhi tondi e sgranati dilaga qualcosa di assai meno battagliero, assai meno rivoluzionario: una paura bestiale. Tipo: “La revoca delle concessioni autostradali? Spingo convintamente per la revoca, ma in politica la convinzione conta poco” (Giancarlo Cancelleri, viceministro grillini ai Trasporti). Ed ecco allora come Bonafede in Aula difende la riforma Bonafede, portando persino i renziani a rinfoderare la clava in un impeto di tenero compatimento: “Ci stiamo confrontando” disse l’erede di Piero Calamandrei e Francesco Carnelutti, Dj Fofò, quello che confondeva la colpa con il dolo e fino a due giorni fa non arretrava d’un millimetro, niente prescrizione e processi infiniti.

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