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L’Emilia-Romagna spiegata a chi non la vuole capire

Claudio Cerasa

Niente alleanze con il M5s, listone dei centristi, creare la torta prima di redistribuirla

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Dal punto di vista politico, le elezioni in Emilia-Romagna hanno dimostrato una verità difficile da negare e la vittoria di Stefano Bonaccini su Lucia Borgonzoni ha rappresentato la prova provata della non invincibilità dell’invincibile Salvini. Il modello dell’Emilia-Romagna meriterebbe però di essere approfondito da parte di coloro che sognano di creare un’alternativa credibile al modello del nazionalismo salviniano. E se si ha la pazienza di concentrarsi meno sui dettagli e più sulla ciccia del modello emiliano (e minuscola) si avrà la capacità di comprendere che per ripetere su scala nazionale quello che è successo su scala regionale occorre imparare rapidamente alcune lezioni offerte dalla campagna elettorale appena conclusa. Dal punto di vista politico, il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che ha avuto il merito di rivitalizzare un Pd sulla cui vitalità in pochi avrebbero scommesso fino a pochi giorni fa, dovrebbe valutare con attenzione se sia opportuno o no replicare su scala regionale un modello opposto rispetto a quello vincente osservato in Emilia-Romagna (alleanza con il M5s dove si vuoi). E non può essere sfuggito alla classe dirigente del Pd che la vittoria di Stefano Bonaccini è maturata perché il centrosinistra in Emilia-Romagna è andato da solo e non ha avuto bisogno di allearsi con i candidati grillini per conquistare i voti degli elettori a cinque stelle. In seconda battuta, poi, la seconda lezione politica che si può trarre dal voto in Emilia-Romagna è che, come testimonia il discreto successo della lista Bonaccini all’interno della quale vi erano anche i candidati del partito di Matteo Renzi e del partito di Carlo Calenda, coloro che desiderano offrire al Pd una gamba diversa rispetto a quella grillina dovrebbero smetterla di azzuffarsi tra loro e dovrebbero tentare in tutti i modi di ripetere l’esperimento della lista unica sia alle prossime elezioni regionali sia alle prossime elezioni nazionali (un nome possibile di una donna ci sarebbe, per federare le liste, ma ne parleremo con calma).

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Dal punto di vista politico, le elezioni in Emilia-Romagna hanno dimostrato una verità difficile da negare e la vittoria di Stefano Bonaccini su Lucia Borgonzoni ha rappresentato la prova provata della non invincibilità dell’invincibile Salvini. Il modello dell’Emilia-Romagna meriterebbe però di essere approfondito da parte di coloro che sognano di creare un’alternativa credibile al modello del nazionalismo salviniano. E se si ha la pazienza di concentrarsi meno sui dettagli e più sulla ciccia del modello emiliano (e minuscola) si avrà la capacità di comprendere che per ripetere su scala nazionale quello che è successo su scala regionale occorre imparare rapidamente alcune lezioni offerte dalla campagna elettorale appena conclusa. Dal punto di vista politico, il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che ha avuto il merito di rivitalizzare un Pd sulla cui vitalità in pochi avrebbero scommesso fino a pochi giorni fa, dovrebbe valutare con attenzione se sia opportuno o no replicare su scala regionale un modello opposto rispetto a quello vincente osservato in Emilia-Romagna (alleanza con il M5s dove si vuoi). E non può essere sfuggito alla classe dirigente del Pd che la vittoria di Stefano Bonaccini è maturata perché il centrosinistra in Emilia-Romagna è andato da solo e non ha avuto bisogno di allearsi con i candidati grillini per conquistare i voti degli elettori a cinque stelle. In seconda battuta, poi, la seconda lezione politica che si può trarre dal voto in Emilia-Romagna è che, come testimonia il discreto successo della lista Bonaccini all’interno della quale vi erano anche i candidati del partito di Matteo Renzi e del partito di Carlo Calenda, coloro che desiderano offrire al Pd una gamba diversa rispetto a quella grillina dovrebbero smetterla di azzuffarsi tra loro e dovrebbero tentare in tutti i modi di ripetere l’esperimento della lista unica sia alle prossime elezioni regionali sia alle prossime elezioni nazionali (un nome possibile di una donna ci sarebbe, per federare le liste, ma ne parleremo con calma).

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Dal punto di vista economico – e qui le cose si fanno ancora più sugose – la lezione dell’Emilia-Romagna di cui gli azionisti dell’attuale governo dovrebbero far tesoro è ancora più interessante e ha a che fare con una verità che sia il Pd sia il M5s dovrebbero forse ammettere al più presto. Per combattere il protezionismo salviniano non è sufficiente dire di essere nemici del protezionismo ma è necessario mostrare una via alternativa per offrire protezione ai cittadini. E in questo senso l’ecosistema dell’Emilia-Romagna è lì a dimostrare agli azionisti del governo che la torta del benessere prima di essere redistribuita deve essere creata. L’Emilia-Romagna funziona anche perché da anni i governanti hanno avuto il coraggio di aggredire alcuni tabù che la politica nazionale non ha sempre avuto la forza di combattere e per capire ciò che oggi manca al governo, per tentare di creare con i fatti un’alternativa da sogno al modello da incubo del populismo, è sufficiente passare in rassegna le ragioni che hanno fatto dell’Emilia-Romagna una regione modello. E’ un modello su come si utilizzano i fondi strutturali concessi dall’Unione europea – e al 31 ottobre del 2019 l’Emilia-Romagna aveva già impegnato la quasi totalità delle risorse disponibili della programmazione 2014-2020, oltre 1,2 miliardi di euro, circa il 99,6 per cento della dotazione complessiva.

  

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E’ un modello rispetto alla capacità di trasformare la robotizzazione dell’industria non in una minaccia ma in un’occasione di crescita e non deve stupire se la crescita dei posti di lavoro in Emilia-Romagna sia avvenuta proprio negli anni in cui le imprese della regione si robotizzavano sempre di più – secondo l’Istat, nel settore specializzato della Fabbricazione di robot industriali per usi molteplici a fine 2018, su 154 imprese registrate in Italia il 39 per cento si trova in Veneto, il 18,2 per cento in Emilia-Romagna, il 15,6 per cento in Lombardia. E’ un modello, infine, sulla capacità di smaltire rifiuti e se la l’Emilia-Romagna è una regione che è riuscita a superare il 70 per cento di raccolta differenziata e di riciclo, otto punti in più rispetto a due anni fa, circa 15 punti in più rispetto alla media nazionale, lo è anche perché è riuscita a fare quello che non sembrano avere intenzione di fare né la leadership del Partito democratico né ciò che resta del M5s: trasformare i rifiuti non in un problema ma in un’opportunità (portare i rifiuti di Roma in uno degli otto inceneritori dell’Emilia-Romagna costa circa 180 euro a tonnellata). L’Emilia-Romagna può dunque rappresentare un modello per il governo solo a condizione che i politici che hanno trasformato la vittoria di Stefano Bonaccini nel simbolo di una svolta nella battaglia contro Matteo Salvini capiscano che per creare un’alternativa è necessario saper fare quello che gli emiliani sanno fare molto bene: semplicemente, concentrarsi un po’ meno sui dettagli e un po’ più sulla ciccia.

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