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I calzoni lunghi di Renzi e Zingaretti

Redazione

Gli adulti nella stanza di governo ora possono dettare l’agenda. Serve un patto

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Per dirla in modo rozzamente elementare, l’esito delle elezioni in Emilia-Romagna dice che il Pd può rappresentare una alternativa competitiva al populismo, quello della Calabria dice che per rendere effettiva questa possibilità c’è ancora della strada da fare, il crollo dei 5 stelle dice che non ci si può cullare nell’illusione che da lì verranno contributi seri alla ricostruzione di un bipolarismo maturo. La conclusione, altrettanto elementare, è che le formazioni riformiste devono trovare rapidamente un’intesa. La permanente tensione tra il partito, esistente, di Nicola Zingaretti e quello ancora embrionale di Matteo Renzi non ha senso e dovrebbe trasformarsi in un accordo tra gentiluomini basato su una competizione al rialzo. Se gli ultimi tre segretari del Pd, poi, compreso persino Pier Luigi Bersani, si riunissero, senza telecamere, e discutessero di come reagire alla fase terminale dei 5 stelle, di come gestire una fase di governo difensiva concordando sulle condizioni da porre all’alleato questo darebbe un segno rilevante. Aver tenuto in Emilia è importante, ma non cancella le altre numerose sconfitte e non garantisce che quando si voterà in Toscana, nelle Marche, in Campania e in Puglia, si riuscirà a difendere le posizioni. Ci sono questioni specifiche, dalla prescrizione alle concessioni alla gestione della sicurezza, alla legge elettorale, su cui è importante che il centrosinistra contratti unitariamente le soluzioni nella maggioranza. Questo però non basta se il “campo aperto” di cui parla Zingaretti resta un campo di Agramante, disseminato di insidie e diffidenze reciproche. Il centrosinistra è diviso in formazioni diverse, delle quali il Pd è di gran lunga la maggiore, ma per tenere nel confronto col centrodestra in presenza di un disfacimento progressivo dei 5 stelle, ha bisogno di tutte le sue componenti. Non serve e niente rifare a ritroso i conti restati aperti negli ultimi anni. Se si vuole diventare interlocutori credibili delle imprese e dei lavoratori e non solo dei ceti medi urbani e intellettuali, bisogna presentare una visione convergente e la rinuncia alle battaglie intestine retrospettive. L’occasione c’è, ma questa volta non bisogna perderla.

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Per dirla in modo rozzamente elementare, l’esito delle elezioni in Emilia-Romagna dice che il Pd può rappresentare una alternativa competitiva al populismo, quello della Calabria dice che per rendere effettiva questa possibilità c’è ancora della strada da fare, il crollo dei 5 stelle dice che non ci si può cullare nell’illusione che da lì verranno contributi seri alla ricostruzione di un bipolarismo maturo. La conclusione, altrettanto elementare, è che le formazioni riformiste devono trovare rapidamente un’intesa. La permanente tensione tra il partito, esistente, di Nicola Zingaretti e quello ancora embrionale di Matteo Renzi non ha senso e dovrebbe trasformarsi in un accordo tra gentiluomini basato su una competizione al rialzo. Se gli ultimi tre segretari del Pd, poi, compreso persino Pier Luigi Bersani, si riunissero, senza telecamere, e discutessero di come reagire alla fase terminale dei 5 stelle, di come gestire una fase di governo difensiva concordando sulle condizioni da porre all’alleato questo darebbe un segno rilevante. Aver tenuto in Emilia è importante, ma non cancella le altre numerose sconfitte e non garantisce che quando si voterà in Toscana, nelle Marche, in Campania e in Puglia, si riuscirà a difendere le posizioni. Ci sono questioni specifiche, dalla prescrizione alle concessioni alla gestione della sicurezza, alla legge elettorale, su cui è importante che il centrosinistra contratti unitariamente le soluzioni nella maggioranza. Questo però non basta se il “campo aperto” di cui parla Zingaretti resta un campo di Agramante, disseminato di insidie e diffidenze reciproche. Il centrosinistra è diviso in formazioni diverse, delle quali il Pd è di gran lunga la maggiore, ma per tenere nel confronto col centrodestra in presenza di un disfacimento progressivo dei 5 stelle, ha bisogno di tutte le sue componenti. Non serve e niente rifare a ritroso i conti restati aperti negli ultimi anni. Se si vuole diventare interlocutori credibili delle imprese e dei lavoratori e non solo dei ceti medi urbani e intellettuali, bisogna presentare una visione convergente e la rinuncia alle battaglie intestine retrospettive. L’occasione c’è, ma questa volta non bisogna perderla.

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